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Il
silenzio dell’anima al tempo del Coronavirus
a
cura di Rosa Filia
Un
tempo ricercavo il silenzio, dopo tanto parlare e a volte gridare.
Non riuscivo ad afferrarlo, se non la sera quando i bambini dormivano
e nella quiete dello studio la mente lavorava per il giorno dopo.
Spesso
l’ho rimpianto quel silenzio, era una conquista, l’apprezzavo.
Completava le giornate intrecciate di relazioni, di parole semplici,
ricercate, studiate, diverse per ogni momento.
Qualche
anno fa, alle soglie della terza età, avvertivo la solitudine delle
nuove generazioni e sentivo il clic dei loro compagni di vita: i
telefonini.
Non
più parole, queste hanno perduto il suono e il significato; il
vocabolario linguistico paurosamente ridotto, trionfava l’economia
delle parole.
Oggi
in piena pandemia il silenzio è la nostra vita. Solitudine che
dall’interno si travasa e solidifica nella realtà oggettiva.
Strade ammutolite, circospette; città abbandonate perché il virus
si nasconde dietro le quinte. Non c’è traccia dell’uomo, chiuso
in casa, ascoltando il silenzio della vita.
Il
silenzio è stato visto attraverso i tempi e la letteratura in modi
diversi: come simbolo di forza; come segno di stupidità.
Cos’è
il silenzio, quale il suo vero valore? E’ opportuno dare voce ad
ogni impulso interiore, proiettandolo fuori di noi o, a volte, è
preferibile tacere?
Può
essere, è vero, uno stato di quiete dovuto alla cessazione di ogni
suono o rumore, ma spesso tutto ciò che non riusciamo a scorgere
fuori di noi, accade dentro di noi.
Abbiamo
l’opportunità di sentire il rumore della nostra anima: conflitti,
pensieri, paure.
Tomas
Transtromer (premio Nobel 2011 per la letteratura) scrisse che “il
silenzio ha la facoltà di mettere in relazione l’esteriore con
l’interiore”.
Lucio
Anneo Seneca vissuto nel 1° secolo d.c. nel sesto libro di epistole
scritte a Lucilio precisa la sua concezione del silenzio necessario
per guardare dentro noi stessi, comprendere fino in fondo la nostra
interiorità. Non importa, dice ancora, che l’ambiente che ci
circonda sia tormentato, l’importante è che non ci sia caos dentro
di noi.
Posizione
affine a quella di Nietzsche che nel suo libro”Così parlò
Zarathustra” assegnò la centralità della nostra esistenza alle
ore di silenzio non a quelle più rumorose. Uomini saggi sono coloro
che sanno scegliere la strada del silenzio. Tutti parlano, nessuno ha
voglia di ascoltare.
In
queste ore di angoscia si levano anche le parole di Papa Francesco “…
In questo tempo c’è tanto silenzio, si può anche sentire il
silenzio. E questo silenzio, che è un po’ nuovo nelle nostre
abitudini, ci insegni ad ascoltare,ci faccia crescere nella capacità
di ascolto”.
Occorrerà
per lungo tempo rivedere i nostri stili di vita e purtroppo anche il
silenzio e la distanza saranno qualcosa con cui dovremo convivere.
1919-1920
→ la Spagnola
2019-2020
→ Coronavirus
A
un secolo di distanza due pandemie, una lotta contro un virus
invisibile, subdolo che non ti guarda in faccia.
Lo
vediamo la sera nella lettura dei dati, incollati davanti al
televisore ad aspettare la sentenza di morti. Questi numeri che si
avvicendano e scorrono sullo schermo ordinati, ma nello stesso tempo
confusi,riempiono le nostre teste e ballano la danza della morte.
E’
uno dei momenti della giornata più angosciante. Muti, in religioso
silenzio osserviamo sul monitor i grafici, linee rosse, bianche
- ad ascoltare il capo della protezione civile enunciare il
bollettino, ricordare le norme, raccomandare. L’equilibrio
psicologico umano vacilla, mostrando tutta la fragilità della nostra
esistenza, di fronte all’elevata mortalità di questo virus. E’
il rituale di ogni sera. Solo da qualche giorno la curva sta
prendendo la strada della discesa e ci si prepara così
alla fase 2, il lento ritorno alla normalità. Quale normalità? Non
certamente quella del “prima virus”.
La
paura invece di abbatterci potrebbe essere la molla per una maggiore
responsabilità e per rifondare ex novo il tessuto sociale.
Abbiamo
tutto il tempo che vogliamo.
Vogliamo
ciò che non abbiamo.
“Tutto
andrà bene” questo è lo slogan che spadroneggia dappertutto e fa
capolino anche dentro di noi.
Quel
clic dei compagni di vita: i telefonini, occupa anche le nostre
giornate.
La
solitudine, la malinconia ci fa abbracciare virtualmente il mondo
intero. Intrecciamo e cementiamo relazioni, riempiamo parte delle
nostre giornate.
Per
fortuna noi abbiamo anche i libri.
I
ragazzi scoprono lo studio a distanza e i loro compagni virtuali
acquistano una valenza in più, si recupera in assenza dalle lezioni,
ma si approfondisce il divario dalla realtà.
Vorrei
concludere con le parole di Simone Cristicchi “Credo che non c’è
peggior peccato che non stupirsi più di niente e che tutta
l’intelligenza e la cultura del mondo resti muta e si inchini
davanti a questo grande mistero, al miracolo di questa vita che va
avanti,nonostante tutto,che non si ferma, che si trasforma ogni
secondo. Perché la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non
credere”
(“Credo”)
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