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Il
lavoro delle donne
a
cura di Alessandra Merola
Guardo la biancheria stesa ad
asciugare, disposta in modo ordinato, e torno a distendere qualche
piega di troppo, a correggere la simmetria dei capi stesi sul filo
per fare in modo che l’aria circoli, che gli indumenti diventino
asciutti più velocemente. Intanto lo sguardo mi corre alla finestra,
i vetri che dovrebbero brillare al sole di primavera (già, queste
ultime settimane sono trascorse velocemente …) mi appaiono un po’
appannati, la polvere anche se non evidente si è depositata. Annoto
mentalmente che appena possibile devo provvedere.
Questi lenti giorni del lockdown
– termine inglese che ormai ci è familiare- scorrono pigri, ma
nemmeno tanto. Il mondo fuori è irraggiungibile, presto dimenticato.
In casa, ora che non devo uscire per andare al lavoro ogni giorno, i
compiti da svolgere si moltiplicano. Niente sfugge al mio sguardo
vigile e non posso fare a meno di notare gli oggetti fuori posto, le
piante nei vasi che andrebbero curate con l’amore che meritano,
specialmente ora che spuntano – quasi all’improvviso- le
foglioline di un bel verde tenero e alla sommità degli steli fiori
dai teneri colori. Ora che si sta in casa tutto quello che ho sempre
rinviato in attesa di tempi migliori, di pause (impossibili) dal
solito ritmo lavorativo, dagli impegni familiari pressanti, incombe
su di me. Ne sento il peso.
Ogni giorno cerco di
rispettare un programma che finisce sempre per saltare: la mattina la
didattica a distanza, e quindi lunghe ore per destreggiarmi tra i
nuovi strumenti che – lo confesso - non ho mai voluto acquisire e
che ora devo padroneggiare. Inizialmente quindi di fronte a
innumerevoli tentativi e qualche richiesta di aiuto, Incredulità e
sorrisetti negli altri membri della famiglia, che conoscono la mia
avversione per il digitale; poi, pian piano, la loro distaccata e
superiore ironia lascia posto sempre più spesso a momenti di
apprezzamento e a sguardi complessivamente più benevoli. La cosa,
però, mi lascia del tutto indifferente, perché in questo momento
sono altre le mie priorità: devo ingegnarmi per ottenere risultati
apprezzabili (?) e quantificabili (?) nell’insegnamento attraverso
l’utilizzo di piattaforme digitali ad hoc e video lezioni. A
proposito di queste ultime già serpeggia legittima diffidenza,
quando non addirittura aperta ostilità, tra i docenti di tutte le
età e discipline. Circolano sui social video che mettono
sapientemente in evidenza i rischi e i problemi connessi a tale
inconsueta pratica, che in modo esemplare mostrano-diciamo- il lato
“divertente” della lezione in streaming…
Tuttavia una brava e seria
insegnante non può non compiere ogni possibile sforzo per
raggiungere i suoi obiettivi. E quindi letture, sintesi, mappe
concettuali, selezione di video significativi messi a disposizione da
case editrici, enti culturali, intellettuali di ogni ordine e grado,
esercizi creati su misura per questo o quell’argomento. E poi
dubbi, ripensamenti, lunghi colloqui con colleghe (siamo quasi tutte
donne: chissà perché…) perché tanto siamo sulla stessa
barca.
Ma la giornata in casa prosegue.
L’ora del pranzo segna una incoercibile battuta d’arresto. La
ciurma deve mangiare, anzi qualcuno, uno per l’esattezza, no,
perché come al solito salta il pranzo, svolgendo per lo più
lavoretti utili o bricolage. Ma non sia mai un suo impegno in cucina,
alle prese con la miseria delle necessità materiali degli altri
componenti della famiglia! Qui i ruoli sono rigidamente codificati,
nonostante i miei sforzi. C’è però una certa collaborazione nei
maschi più giovani. Concluso il momento mangereccio, nel primo
pomeriggio, dopo aver corretto parte del materiale che gli alunni
diligentemente inviano, probabilmente anche seguiti e pungolati da
genitori preoccupati, ci sono le incombenze domestiche, quelle che in
tempi “normali” avrei con qualche senso di colpo ignorato per
buona parte della settimana, per affrontarle poi nel fine settimana.
Ora invece sono ben presenti alla mia mente. All’inizio della
quarantena causata dal coronavirus mi sembrava quasi quasi di stare
in vacanza, una vacanza oltremodo angosciante, scandita dalle notizie
drammatiche di quello che stava succedendo “fuori”, ma che
interrompeva il ritmo faticoso delle mie giornate.
Adesso scopro (in realtà l’ho
sempre saputo: è una riconferma) che il lavoro quotidiano in casa,
sia pure quello solo casalingo, non è meno gravoso. Prendersi cura
degli ambienti in cui si vive, organizzare i tempi per la spesa, per
la cucina, occuparsi dei figli (magari anche piccoli), sostenere gli
anziani di famiglia (anche semplicemente con una telefonata serale e
fingendo un ottimismo che non senti…), e poi occuparsi della
biancheria, dei vasi sul balcone o del giardino, del cane, del gatto
o del criceto, sono tutte incombenze che gravano sulle spalle di noi
donne. E qualcuno ci rimprovera di essere indispensabili, perché in
fondo in fondo vogliamo essere onnipotenti, non vogliamo in realtà
cedere il potere nell’ambito familiare. Siamo (o saremmo) le regine
della casa…
Penso che noi donne siamo state
brave. Abbiamo lottato per poter studiare, svolgere un lavoro anche
fuori casa, ottenere una libertà di movimento e di pensiero,
rinnovare le istituzioni. Abbiamo organizzato manifestazioni, ci
siamo riunite nei “piccoli gruppi” per l’autocoscienza, abbiamo
creato circoli femministi per la riflessione su noi stesse e il
nostro stare al mondo, abbiamo avviato anche il dialogo con gli
uomini perché avvenisse un cambiamento e una presa di coscienza pure
da parte loro. E intanto abbiamo inciso con le nostre produzioni
culturali e artistiche sulla civiltà contemporanea in un modo nuovo
rispetto al passato. Abbiamo svolto tutte tanto lavoro prezioso
dentro e fuori le mura domestiche. Le donne hanno dato il loro
contributo allo sviluppo tecnologico e scientifico, alla politica e
si sono fatte valere in tutti gli ambiti del sapere.
Eppure, l’ultimo schiaffo alla
nostra dignità, alla serietà e compostezza del lavoro di tante
scienziate e ricercatrici, ci è venuto proprio in questi giorni,
quando abbiamo dovuto constatare con rammarico che nelle Commissioni
e nella taskforce per gestire la Fase 2 dell’emergenza ci
sono pochissime donne, perché ancora una volta non si vuole dare
loro spazio, non si vuole riconoscere il loro valore. Come è stato
scritto, tutto ciò non è solo “un mancato riconoscimento al
patrimonio di competenze femminili, ma così facendo non si offre
nemmeno una giusta rappresentazione della nostra Italia”.
Soverato, 23 aprile 2020
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