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ASSOCIAZIONE “BIBLIOTECA DELLE DONNE DI SOVERATO”

Palazzo di Città - 88068 Soverato (CZ)

 

LIBERATI DELLA BRAVA BAMBINA

di Maura Gancitano e Andrea Colamedici

a cura di Marisa Rotiroti

 

Maura Gancitano e Andrea Colamedici e sono autore/trice del libro “Liberati della brava bambina” su cui oggi riflettiamo. Andrea e Maura, filosofi, hanno fondato e divulgano Tlon, scuola di filosofia, casa editrice e libreria - teatro.

Maura si occupa di parità di genere, diversità e inclusione, spazi pubblici digitali e comunicazione culturale, collabora con numerose Università e Istituzioni E’ appassionata di editoria e fin da giovanissima organizzava eventi culturali nel suo paese Mazzara del Vallo.

Andrea Colamedici è filosofo, editore, regista, attore teatrale e insegnante di filosofia per bambini. Assieme a Maura Gangitano ha scritto: “Tu non sei Dio” 2016; “Lezioni di Meraviglia” 2017, “La Società della performance” 2018; “Liberati della brava Bambina” – 2019.

Insieme conducono per Audible podcast  Scuola di filosofia e sono gli ideatori/trici della Festa della Filosofia e della Maratone online “Prendiamola con filosofia”

Il progetto Tlon nasce nel 2015 dal bisogno di parlare di filosofia riflettendo sull’attualità e sui fenomeni sociali disegnando in modo chiaro un processo di fioritura, di rinascita individuale e collettiva

La Filosofia viene percepita come qualcosa di distante dalla vita reale, mentre è “Arte di vivere”  e “Cura della vita “ e, applicata al linguaggio della  quotidianità, ci inocula pillole di saggezza. 

Presentando in Italia e all’estero spettacoli culturali sul Web hanno aggiunto alla loro formazione filosofica competenze imprenditoriali, digitali, editoriali e organizzative.

Il libro “Liberati della brava bambina” ha come protagonista la Donna ed è una rilettura di storie antiche e moderne sotto una nuova luce, quella del “problema senza nome” e delle sue possibili risoluzioni.

Il problema senza nome è il senso d’insoddisfazione, d’inquietudine che una donna prova ripetutamente nel corso della sua vita in molteplici situazioni e non riesce mai a sopire del tutto.

Il problema senza nome non è il retaggio di una brutta storia passata né il frutto di una scelta di vita sbagliata e non è nemmeno il senso di colpa dovuto a un’azione sgradevole che si è compiuta e poi è stata dimenticata. E’ la memoria di un dolore che non riguarda la storia personale, ma quella collettiva, per tutto quello che le altre donne hanno subito nel corso della storia a causa del loro bisogno di essere libere e di realizzare se stesse. Lei, la Donna, e nella parola DONNA ci siamo tutte,  ancora oggi, pur vivendo in una società apparentemente progressista e ugualitaria,  porta  inconsciamente  nel corpo questo dolore come se l’avesse ricevuto in eredità da chi l’ha preceduta.  Questo problema non è solo suo, è di tante altre donne nel mondo, ed è una cicatrice talmente profonda e invisibile che non si riesce a condividere neppure tra donne.

In questo libro Maura e Andrea nel mettere in luce gli aspetti del problema senza nome: i conflitti interiori, le cicatrici archetipiche che la fanno stare sulla difensiva e che le scatenano la paura di essere invasa e violata nel corpo e nella psiche, ci raccontano 8 storie di donne, alcune tratte dal mito, altre da film, romanzi, religione: Era, Medea, Elena di Sparta, Malefica, Difred, Daenerys, Morgana, Dina.

Le è stato detto di essere una brava bambina, poi una brava moglie e una brava mamma. E, anche se forse non se n’è accorta, le sono state raccontate delle storie in cui le donne che non rispettavano queste istruzioni diventano pazze, o venivano uccise o rimanevano sole. In realtà molte di queste storie venivano narrate a metà o manipolate, perché nascondevano delle protagoniste forti e volitive che non si erano piegate alle imposizioni sociali”. In definitiva sono state interpretate e raccontate per millenni in chiave patriarcale e i modelli di donne forti sono sempre stati ridotti al silenzio. Questo libro invita a guardare alle loro storie dalla parte delle protagoniste, così Medea non è un’infanticida, ma una donna che riprende in mano la propria vita a cui aveva rinunciato per l’amore di un uomo che voleva solo usarla, così come Era non è una moglie petulante, ma una donna che per troppo tempo ha vissuto un ruolo che non poteva abbandonare vivendo nel dolore; le sue emozioni non vengono ascoltate ma ridicolizzate, si sente costretta in un ruolo che ad altre potrebbe sembrare invidiabile, ma che per lei è una prigione.

Rileggere queste vecchie storie con uno sguardo nuovo è per le donne un atto di sopravvivenza dice Adrienne Rich (nel 1971). E Paola Bono riflettendo su questo concetto in “Riscritture d’amore” si chiede e ci chiede: dopo 50 anni si riuscirà a trasmettere FINALMENTE una tradizione in cui le donne hanno il diritto e la capacità di essere se stesse e non lo specchio, l’eco, il riflesso o la negazione del maschio?

Quindi se noi partiamo dal concetto originario di filosofia che è “arte di vivere” e la trasferiamo nella quotidianità, essa ci induce a domandarci il significato delle cose. Questi ritratti femminili possono insegnare con le loro storie come trasformare le gabbie in chiavi e volgere le difficoltà in opportunità. LEI dovrà sciogliere il problema senza nome e distruggerlo. 

Il primo passo è smettere di far finta che non esista; il secondo è smettere di trovare un passatempo per allontanarlo; il terzo passo è rendersi conto di quale sia la reale condizione della donna nella nostra società.  Sebbene siano crollate tante convinzioni e le donne siano più libere di scegliere se sposarsi, avere figli, esprimere il proprio orientamento sessuale, è ancora forte la voce di chi sostiene che essere donne sia un destino e che essere femminili significa comportarsi in una maniera ben precisa.

Solo così LEI si potrà finalmente permettere di esistere, e non aver paura di fiorire.

Fare filosofia aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi: non più “donna”, ma “donna?”, non più “si fa così”, ma “si fa così?”, non più “è sempre stato così”, ma “è sempre stato così?”. In questo modo ogni preconcetto esplode, e si aprono nuovi passaggi altrimenti invisibili

La vera protagonista del libro, la DONNA, inizia il suo nuovo percorso attraversando le storie delle otto protagoniste, ognuna delle quali evidenzia uno stato d’animo, un aspetto del problema senza nome, come se fossero otto tappe della sua liberazione.”

ERA: RINUNCIA ALLA REALIZZAZIONE

Primo aspetto

Entriamo nel dettaglio delle storie delle donne

ERA, sembra che provenisse dalle isole Pelagie dove era venerata come Grande Dea Madre per cui il rispetto e il culto che le venivano tributati erano molto lontani da come viene ricordata dagli scritti di Omero.

Era  - Giunone, secondo la tradizione misogina, era molto corteggiata da Giove, ma lo aveva sempre rifiutato per mantener fede al patto con se stessa di preservare la sua libertà e autonomia. Giove, però, che era prepotente, non si rassegnò e, trasformatosi in un tenero cuculo tremante e zuppo di acqua si poggiò sulle sue ginocchia. Lei intenerita lo pose nel suo seno per riscaldarlo; a quel punto Zeus si manifestò e la sedusse e lei gli offrì il suo cuore rendendosi vulnerabile e rinunciando alla sua libertà. (leggendo la storia da un’altra prospettiva, lui le si avvicina con l’inganno e la stupra). Sembra un vero amore così detto, allora perché Era viene fatta passare per una dea gelosa e vendicativa? Perché Zeus la tradiva continuamente e non la teneva in alcuna considerazione. Allora Era cosa fece? Legò Zeus al letto e gli rubò le folgori con l’intento di ribaltare i rapporti di potere, ma lui fuggì e riuscì a soggiogarla. Era potrebbe sembrare l’archetipo per tante donne che agiscono per far piacere all’altro, anziché scegliere per sé, però ella non ha scelto, ci si è trovata e, quindi, leggendo questa storia si può riflettere per individuare il proprio malessere.

Il desiderio di essere moglie non è né giusto né sbagliato: è un desiderio, ma diventa un problema quando impedisce di diventare altro e la donne soffre. Il risentimento di questa donna rappresentato dalla condizione di Era è il dolore della mancanza di ascolto e comprensione: rinuncia alla realizzazione di sé. Sebbene la caratteristica di Era sembri essere la gelosia, a guardar bene, è la sua resistenza, che non nasce dal fastidio vissuto (vale anche per le donne di oggi), ma dal dolore di chi vorrebbe tornare alla propria libertà, alla propria forza originaria. Mentre Zeus tradiva per soddisfare un desiderio di potere, per lussuria, per accumulare conquiste, il bisogno di Era aveva a che fare con la piena espressione di sé che è qualcosa di molto più profondo e prezioso: il collegamento sacro con la vita.   “Ora Era deve anche imparare a separarsi da Zeus dentro e fuori di sé e a riconciliarsi con lui in un nuovo equilibrio basato sull’esperienza trascorsa e su nuovi patti”.

 Lei, la donna, deve separarsi dai condizionamenti che la vogliono sottomessa, svilita. Ciò non significa lasciare il proprio partner per sentirsi viva, ma significa che, per vivere pienamente la relazione di coppia, sia fondamentale il recupero della sua natura originaria compromessa dall’educazione familiare e sociale.

E’ vero, l’Olimpo greco ha messo in scena la psiche umana, ma ha anche fatto una terribile sottrazione di potere al Femminile che ha scalzato la Grande Madre, divinità della Natura fonte di vita e di morte.

MALEFICENT: LA RABBIA INCONTROLLATA

Secondo aspetto

Il secondo aspetto del problema senza nome è la rabbia incontrollata, che è un’emozione latente, un istinto incomprensibile e incontrollabile sempre sul punto di esplodere. Lei tende a nasconderla oppure la riversa sugli altri senza pensarci, è un tarlo che la rode dentro e le fa male, ma per poterla combattere e distruggerla deve innanzi tutto riconoscerla.

 Maura e Andrea rinarrano la fiaba della bella addormentata.   Conosciamo tutte e tutti lastoria della fata che, non essendo stata invitata alla festa indetta dal re, fece irruzione nella sala e avvicinatasi alla culla della bimba disse <<a sedici anni la principessa si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta>> forse questa fiaba nasconde un segreto: chi è veramente la strega cattiva?  Qual è la ragione per cui maledice una bambina innocente? e da dove nasce quella rabbia? che cosa era successo prima?

Si pone queste domande Linda Woolverton, la sceneggiatrice del film Maleficent, con Angelina Jolie che ci offre una nuova versione della fiaba svelandone il segreto. “Lasciate che di nuovo vi narri una vecchia storia. E si vedrà quanto bene la conosciate” così inizia Maleficent. Apre il racconto su due regni vicini: “in uno dei due regni vivono persone sempre scontente e invidiose, governate da un re vanesio e avido che vuole conquistare l’altro regno, la Brughiera, perché lì vivono, in piena felicità, innumerevoli, strane e prodigiose creature che si fidano le une delle altre. In quel regno vive Malefica, una fata bellissima, diversa da tutte le altre creature della Brughiera. Ha corna e ali imponenti e i suoi piedi si muovono sull’albero come le zampe di un uccello, le sue unghie sono quelle di una bestia. Malefica ha qualcosa che incanta, è potente”.

Un giorno riesce a entrare nella Brughiera un giovane che vuole appropriarsi di alcuni gioielli e Malefica lo trova.  È Stefano, un ragazzo solo, orfano, senza casa e senza futuro. Ha però un grande desiderio: vivere nel castello del re. Tra i due si è creata un’empatia perché entrambi sono orfani e diversi dagli altri e il giorno del sedicesimo compleanno di Malefica Stefano le dà il bacio del vero amore. Subito dopo si allontana ed entra al servizio del re diventando cavaliere. Malefica non capisce cosa sia successo e continua a sperare che lui ritorni. Tornerà infatti, ma per tradirla. Dopo averla fatta bere, lei si addormenta e lui dovrebbe ucciderla per esaudire le richieste del re, ma non ha il coraggio e si limita a tagliarle le ali. Malefica si sveglia per il dolore e urla, urla in maniera straziante e riporta in superficie tutto il dolore accumulato dalle donne che sono state tradite, torturate e violate. E’ il dolore del tradimento. Lui consegna le sue ali al re: di lei non gli importa niente, ha fatto la sua scelta e pensa solamente al trono. Ha sacrificato l’amore per il potere. Malefica è diventata ossessiva, pensa solo a vendicarsi. Questa è anche la condizione di tante donne ferite che avvertono una forte rabbia e vivono in uno stato di perenne insoddisfazione senza speranza per il futuro. Oggi è Malefica quella che si allontana dagli schemi prefissati e dalla tradizione scritta da altri per lei, è Malefica chi vuole vivere in piena libertà. Potrebbe avere tante opportunità, ma non ha la forza di tirar fuori di sé il fuoco che ha dentro e vive in una condizione di rabbia costante rinunciando a se stessa. Il suo intento è riappropriarsi di sé, ricostruire le sue ali e fare in modo che la rabbia diventi combustibile per la sua fioritura.

Stefano rappresenta sia chi ha tradito per il proprio tornaconto sia la società che ha impedito alla donna di esprimere il proprio potere tarpandole le ali. La violenza di quel gesto si trasforma in rabbia e la rabbia chiede vendetta: Malefica aspetta che Stefano diventi re, che abbia una figlia e lancia la maledizione ad Aurora. A questo punto appare chiaro che la sua rabbia non è determinata dal non essere stata invitata alla festa, ma dal tradimento di Stefano. Egli, tagliandole le ali, aveva compiuto un gesto patriarcale basato sul dominio dell’uomo sulla donna, ma con la sua maledizione Malefica sta adottando lo stesso metodo impedendo a una giovane donna di essere se stessa, perpetuando la violenza subita e riversandola sulle altre donne: si diventa cattive con le altre e questo processo diventa un circolo vizioso. Malefica nella pellicola si accorge proprio di questo e comprende che l’unico metodo per trasformarsi è permettere ad Aurora di vincere la maledizione ricevuta. Aurora è una nuova possibilità per le donne. Malefica si trasforma da strega cattiva a fata madrina: inizia ad amare Aurora e l’amore supera l’odio.

ELENA: RESPONSABILITA’ DELLE PROPRIE SCELTE

Terzo aspetto

Il terzo aspetto del problema senza nome è la responsabilità delle proprie scelte e ci viene introdotto dalla rilettura della figura di Elena di Sparta, meglio conosciuta come Elena di Troia. Elena era regina di Sparta ma la tradizione misogina preferisce ricordarla come Elena di Troia. Era la donna bellissima che aveva causato la guerra di Troia, che per lei fu distrutta. La memoria collettiva preferisce associarla al danno commesso e non alla sua città di provenienza. Questa la storia ufficiale raccontata da Omero. Anche qui la dea della discordia esclusa dalla festa di   matrimonio di Peleo e Teti aveva buttato sul tavolo intorno al quale erano sedute Era, Afrodite e Atena una mela dorata su cui era scritto : “alla più bella”. Paride, un mortale, figlio di Priamo, chiamato a giudicare sceglie Venere perché gli ha promesso l’amore della donna più bella del mondo.  Paride, come spiega Isocrate nel suo “Encomio”, l’aveva scelta non solo per il suo aspetto fisico, ma perché era figlia di Zeus e sperava che imparentandosi col re degli dèi si sarebbe garantita la vita eterna. Ma, facciamo un passo indietro e vediamo chi era Elena prima della guerra e di Omero. Alcuni studi ci dicono di un culto antico risalente al secondo millennio a.C. nel quale Elena era venerata come divinità della vegetazione e della fertilità. Era anche la dea legata ai culti di iniziazione femminili e curava il passaggio della donna da giovane ad adulta in un processo di morte e rinascita, di rapimento e di riconsegna. Anche la guerra può essere letta come un processo di iniziazione: il rapimento è la sua morte rituale, la conquista di Troia è la prova iniziatica e il ritorno a Sparta è una rinascita sotto una nuova forma.

Dal racconto di Omero emerge sempre la mancanza di scelta da parte di Elena: c’è sempre qualcuno che la rapisce (prima Teseo e poi Paride), qualcuno che la tiene prigioniera, qualcuno che alla fine la riporta a casa. Però a ben rileggere la sua condizione, sì, è la moglie di Menelao, ma è lei a sceglierlo tra i tanti pretendenti, è lei a scegliere Paride, un combattente mediocre ma bello. Lei, segnata dallo stupro di Teseo, lo ha scelto non per amore, ma perché desiderava una vita avventurosa e vedeva Troia come la città senza ginecei, che le avrebbe dato la libertà. Ha deciso di non essere proprietà di Menelao e sceglie di fare nuove esperienze. Elena sa di essere bella, la più bella del mondo, ama il suo corpo ed è convinta che la bellezza sia un potere, però non comprende perché non possa utilizzarlo senza il consenso di chi è più in alto di lei.  Le piaceva essere bella (era stata educata a esserlo) e non si biasima per questo. Farlo sarebbe da ipocrita. In” Elena di Sparta” di Loreta Minutilli leggiamo..”avevo sempre concepito la bellezza come qualcosa di mio, non come dono per gli uomini… Vogliono specchiarsi in noi. Ed essere virtuose vuol dire lasciarglielo fare…Io avevo distrutto quel riflesso”. Elena fa le sue scelte responsabilmente e consapevolmente, ma la società che la circonda non le permette di essere padrona della sua vita. Il monito di Elena è quello di non farsi plagiare, di non farsi influenzare da quel che è giusto fare. Elena è una cagna immorale per tutti coloro che presumono di avere una vita perfetta. Elena mette ogni donna di fronte al fatto che non esistono vite perfette: esistono vite autentiche e vite non autentiche, vite che seguono il cuore e vite vissute reprimendo i propri desideri. Elena fa paura, è per gli uomini quello che Freud definisce perturbante: genera attrazione e repulsione. Non sarà rassicurante, è vero, ma obbligherà gli altri ad essere autentici a far cadere le maschere. E’ razionale e irrazionale, si fa guidare dalle emozioni, ma rimane sempre vigile. Vive al di fuori delle regole, ma ha la consapevolezza di ciò che accade intorno a lei. Quando è tornata a Sparta da Menelao è rimasta ancora padrona della sua vita. E’ regina di Sparta ed è serena. Anche oggi se Lei è confusa e ha la sensazione che la sua storia sia un labirinto piena di desideri contrastanti, si ricordi di Elena, la cui storia ci dice che nessuna vita autentica è una linea dritta. Elena non si vergogna perché ha consapevolezza di sé.

DIFRED: LIBERTA’ DI AZIONE

Quarto aspetto

Il Quarto aspetto del problema senza nome: Libertà di azione ci viene narrato attraverso il “Racconto dell’Ancella”, un romanzo distopico di Margaret Atwood.

Il romanzo, attraverso la voce di June, (una trentenne di Boston con marito e figlia), ci racconta come da un momento all’altro si sia potuta trasformare la vita di una donna cui vengono bloccati i conti correnti e i soldi trasferiti sui conti dei mariti, dei padri, dei fratelli in modo che le donne non possano spendere autonomamente. Una legge, poi, negli Stati Uniti stabilisce che le donne non possono più lavorare, né leggere e scrivere; le poche donne fertili vengono rapite e fatte diventare Ancelle perché vengano usate e abusate per ripopolare il pianeta. Perdono anche il loro nome per acquisire quello dell’uomo potente che le possiederà; Jean diventerà Difred che significa Di-Fred, il nome del comandante d’alto rango cui è stata assegnata. Una volta al mese, nel periodo fertile, viene praticata una Cerimonia durante la quale sarà fecondata alla presenza della moglie del Comandante (cerimonia sacra secondo il codice Gilead, rivoltante per chi vi partecipa e violenza sessuale per l’Ancella) nella speranza che resti incinta, se ciò avverrà, dopo l’allattamento lascerà il bambino/a ai nuovi genitori e ricomincerà la missione con un’altra famiglia. La democrazia è stata sostituita da uno stato totalitario creato da integralisti religiosi: I Figli di Giacobbe. Gli Stati Uniti diventano Gilead. È vero che questo nome è stato inventato, ma Margaret Atwood assicura che le pratiche descritte sono verità storiche tratte dalla realtà e attuate contro le donne del passato, ma ancora attuali in alcuni Stati.

Chi avrebbe mai potuto immaginare che alle donne venissero soppresse le libertà personali? “Niente cambia all’istante, in una vasca che si scalda di colpo finiremmo bolliti vivi” dice Difred”. Si riferisce al principio della rana bollita di Noam Chomsky: una rana nuota tranquilla in una pentola piena di acqua fredda, non si accorge del fuoco acceso sotto la pentola e nuota serena senza rendersi conto che l’acqua si sta riscaldando fino a bollire, lei non ha la forza di reagire e di fuggire e muore. Se fosse caduta direttamente nell’acqua bollente sarebbe riuscita a fuggire e non sarebbe morta. Ecco perché la storia di Difred può ancora parlare alle donne di oggi e dire quanto sia importante la libertà personale e quanto sia importante proteggerla anche quando si pensa di averla raggiunta. Difred mette in luce il quarto aspetto del problema senza nome e la soluzione è riprendersi la proprietà del proprio corpo e autodeterminarsi, perché la libertà non è negoziabile e non c’è niente che valga di più. Jean torna spesso col pensiero alla sua vita prima della nascita del regime, alla madre che non si fidava degli uomini, ma che nel suo cuore ritiene che la figlia sia fortunata ad avere Luke. Con Luke la vita scorre serena perché lui non vuole sottometterla, ma vuole essere pari a lei nella condivisione della famiglia e se la loro vita scorre serena lo devono anche alle piccole conquiste di libertà fatte dalla madre. E se oggi tanti uomini tornando a casa sanno che dovranno cambiare il/la bambina o preparare la cena lo devono alle battaglie di chi è venuta prima. Nello Stato di Gilead i diritti civili e le libertà sono stati aboliti perché si temeva che la libertà fosse rischiosa, che creasse una società senza regole, ma la libertà è un bene tanto prezioso che nessuno può farne a meno. Gli stessi comandanti che hanno dettato le regole sono pronti ad infrangerle, infatti Fred porta di nascosto a Difred riviste, scarpe, vestiti e la conduce in un locale notturno Gezabel pieno di alcol, droghe e prostitute, sempre per soddisfare il loro piacere (Gezabele  è una principessa fenicia che aveva sposato un re ebreo di nome Acab. Nell’Apocalisse di Giovanni è accusata di indurre i capi della Chiesa a commettere atti impuri, e perciò è diventata simbolo di lussuria e di peccato). In quel luogo i capi di Gilead si nascondono per commettere tutto ciò che il regime da loro creato ha bandito.  “In fondo la carne è debole” dice il comandante. Anche loro hanno bisogno di libertà perché quel mondo in cui vivono non è un mondo possibile. Non può esserlo per nessuno. Le mogli e le Ancelle reagiscono con la depressione, gli Occhi e i Custodi con la rabbia e la violenza e i Comandanti con l’abuso dei corpi delle donne riaffermando così il potere patriarcale. L’avvertimento della Atwood alle donne è quello di non farsi mai usare. Lo fa lasciare scritto da un’ancella “Nolite te bastardes carborundorum” – non consentire che i bastardi ti annientino”

L’esperienza a Gezabel permette a Difred di comprendere meglio l’ipocrisia di Gilead in cui tutti sono infelici e in nome di quella libertà che le hanno tolto inizia una relazione clandestina con Nik, un ragazzo che lavora nella casa del comandante. Quella scelta rappresenta la speranza che la sua vita possa cambiare e che il regime possa essere sovvertito.

Nessuna conquista è per sempre, nessuna dittatura è per sempre.

MEDEA: IL TRADIMENTO DI SÉ

Ha messo la parte migliore di sé al servizio delle passioni più ordinarie del marito.

Quinto aspetto

Il quinto aspetto del problema senza nome: il tradimento di sé o La rinuncia a se stessa è tratteggiato dalla figura di Medea. Medea è una figura misteriosa, ma per come ci è stata tramandata dalla tradizione è, nell’immaginario collettivo, una figura inquietante che, ferita nell’orgoglio per essere stata abbandonata dal marito Giasone, diventa un’assassina anche dei propri figli. Naturalmente questa immagine ci è stata data da Euripide che l’ha trasformata in un’infanticida. Forse conviene che io racconti in breve chi era Medea, prima e dopo Euripide. Cominciamo col dire il significato del suo nome, Medea deriva dal termine sanscrito Medha che indica la sapienza divina, principessa e maga, nipote della maga Circe e di Elio o di Apollo, secondo altre fonti, e figlia di Eeta re della Colchide – attuale Georgia - è una guaritrice carismatica e nelle sue origini antiche si leggono i tratti della libertà, della forza scatenata e pura e della bellezza senza orpelli. E fintanto che non incontra Giasone lei vive a diretto contatto con le forze della natura e in uno stato di completa meraviglia. E’ la Meraviglia che dà origine alla filosofia: ce lo spiega Platone nel Teeteto, termine che indica la capacità di osservare il mondo, di percepirne la potenza e di stupirsi. Per Medea tutto era santo: lei sapeva guardare, ascoltare, curare. 

Giasone, a prima vista ci appare un eroe positivo e sfortunato per essere stato vittima di ingiustizie fin dalla nascita. Il padre Esone, re di Iolco in Tessaglia, era stato detronizzato dal fratellastro Pelia uccidendo tutti i suoi discendenti. Non sapeva però che Alcimede, la moglie di Esone che aveva appena partorito il piccolo Giasone lo aveva salvato facendo raggruppare le donne intorno al bambino e facendole piangere per far credere che fosse nato morto. Per allontanarlo da Pelia lo fa educare dal Centauro Chirone che era il migliore, infatti era preposto all’educazione degli dèi e degli eroi. Simbolicamente Chirone era la rappresentazione interiore della ferita originaria ed era il guaritore di se stesso.  Quando Giasone, cresciuto, rivendica il suo diritto al trono lo zio gli impone la condizione di portargli il vello d’oro che si trova nella Colchide regione sconosciuta e selvaggia. Si reca nella Colchide dopo essersi imbarcato con 50 eroi. Lì incontra e conosce Medea che sviene appena lo vede perché Era aveva chiesto a Eros che la facesse innamorare di Giasone. Così avviene e Medea, per amore, lo aiuta a conquistare il vello e parte con lui, tradendo il padre, abbandonando la famiglia e la sua terra. Giasone sposa Medea che riesce anche a fargli conquistare il regno grazie a un incantesimo che fa morire Pelia. Ma Giasone e Medea vengono banditi da Iolco e si rifugiano a Corinto, dove vivono felici per 10 anni, fino a quando il re di Corinto offre la propria figlia Glauce in sposa a Giasone che, a insaputa di Medea da cui aveva avuto due figli, accetta . Da questo momento comincia la tragedia di Euripide. Medea esordisce nella tragedia con un urlo animalesco perché la sua vita comprende tutto ciò che oltrepassa la logica. Questo atteggiamento ce lo spiega meglio Pier Paolo Pasolini nella sua trasformazione contemporanea del mito e fa dire a Chirone , l’uomo cavallo che aveva educato Giasone “guardati alle spalle, cosa vedi? Forse qualcosa di naturale? No: è un’apparizione quella che tu vedi alle tue spalle…. In ogni punto in cui i tuoi occhi guardano è nascosto un dio. E, se non c’è, ha lasciato i segni della sua presenza sacra, o silenzio, o odore di erba o fresco di acque dolci”. Quello del centauro è anche lo sguardo di Medea, depositaria di un sapere antico che inizialmente aveva anche Giasone, ma che aveva smarrito.

Il sacro non è una statua, è l’erba è l’acqua, è il cielo.

 Medea a questo punto non è più la donna della Colchide: ha perso il rapporto con se stessa legandosi a un amore totalizzante che l’ha indotta a intaccare una parte di sé, il rapporto con la natura. Rimane comunque sempre una donna diversa dalle donne di Corinto che invece sono un’appendice degli uomini. Euripide lo fa dire a Medea che ha appena giurato vendetta al marito e alla sua nuova compagna.

Fra quante creature han senso e spirito/noi, donne siam di tutte le più misere”

PERCHE

·      prima di tutto devono comprare un marito a un prezzo alto e quel marito sarà padrone del loro corpo;

·      poi dovranno imparare il modo per affrontarlo e se non avvertirà il peso del matrimonio, vivranno bene, altrimenti sarà preferibile la morte. Quando un uomo non sta bene con la moglie può cercare compagnia altrove, ma lei deve avere occhi solo per lui.

A loro verrà detto che sono libere perché non vanno a far la guerra, ma sono protette. E Medea in un discorso dice: “Come sbagliano!  preferirei stare tre volte con uno scudo in battaglia, piuttosto che partorire una volta sola. ” Con questo documento Medea evidenzia le discriminazioni di quella società che si diceva superiore. Lei della barbara Colchide era libera di esprimersi, mentre a Corinto si sente ingabbiata. Rifiuta il ruolo deciso dagli uomini per le donne. La donna tradita arriva perciò a dire: “meglio la guerra che il parto” perché attraverso il tradimento del marito, si accorge del tradimento fatto a se stessa. Ha rinunciato a se stessa.

 Poiché mette in luce i lati oscuri degli uomini, Euripide alla sua Medea fa recitare:

Perduta io sono:

più non ho gioia della vita, e voglio

morire, amiche, quando l’uom che tutto,

lo vedo or bene, era per me, lo sposo

mio, s’è mostrato il più tristo degli uomini.

Nella tragedia di Euripide Giasone è un personaggio cinico, si sente superiore alla moglie perché ritiene la sua cultura più avanzata di quella di lei barbara e primitiva; In effetti egli non ha valori profondi, è preso dal desiderio di potere e la parola data non ha alcun senso. Medea, al contrario riconosce se stessa e scopre chi è veramente Giasone. Egli cerca di raggirarla e offre soldi, le offre cura e persino perdono, ma più lui parla più Medea diventa furiosa. Lei desiderava solo l’amore. Nei loro dialoghi Giasone contrappone i valori, anzi i principi, di una società avanzata a quelli divini e irrazionali della Colchide. -  Il rapporto tra Medea e Giasone – possiamo dire non è solo quello tra un uomo e una donna tradita, ma il rapporto tra il mondo arcaico e quello moderno, il conflitto tra due parti del femminile: una che cerca il successo e l’altra che ha bisogno del contatto con la natura, con la vita, con la meraviglia. Se come mette in luce Chirone nel fim di Pasolini lei rappresenta la spiritualità e lui la materialità, il rapporto non può essere recuperabile se Giasone non cercherà di riconoscere il Giasone che ha dentro di sé, che ascolti le emozioni e non prevarichi Medea.

Tornando alla tragedia, Medea, nell’incontro con Giasone, si finge pentita e si comporta come potrebbe piacere al re, ma intanto ordisce l’uccisione di Glauce e di Creonte e non sa se salvare i figli o ucciderli. Alla fine, li uccide. Leggendo in senso letterale, il gesto è esecrabile, ma, simbolicamente, Medea non può permettere al passato di interrompere il rapporto con la parte più profonda di sé. Se lo farà si sentirà incompleta. È vero, Il passato è più importante, più concreto del futuro, ma non le permette di allontanarsi dal proprio Giasone interiore. Sente contemporaneamente dentro di sé che ha sacrificato qualcosa, un desiderio di bambina che ha seppellito e che torna a farsi sentire per essere esaudito. La tentazione di rifiutarlo è forte, ma per ritornare a se stessa deve uccidere il passato ed evitare che ricompaia il vecchio problema senza nome di nome Giasone, che si riproporrà in un circolo vizioso fino a quando non smetterà di piegare la testa e compiere un sacrificio.

Quando dopo l’uccisione dei figli Giasone torna a casa per piangere sui loro corpi non trova nessuno.

 Nell’ultima scena della tragedia Medea appare sul carro alato del dio Sole, suo nonno. Questo sta a indicare che non avrà alcuna punizione dagli dèi, ma sarà aiutata a fuggire da Corinto. E’ tornata padrona di se stessa con i propri poteri, salda alla propria ascendenza divina.

Le tue mani non mi potranno più toccare “dice a Giasone tornando alla propria sacralità. “Bene il dolore, se serve a non farti beffe di me” afferma Medea, che ha ucciso i suoi figli per rompere qualsiasi forma di potere dell’uomo su se stessa.

--- Ero andata al Teatro di Siracusa con Delia Fabrizi, donna della BDS, collega e amica, per assistere alla tragedia e non nascondo che ci fece male la rabbia e l’indignazione del pubblico presente per l’infanticidio commesso da Medea

--- Perché Medea ha ucciso i figli?  Ce lo chiediamo oggi con Maura e Andrea.

Predirà a Giasone quel che sta per accadere: lei seppellirà i suoi figli nel tempio di Era perché nessun nemico possa oltraggiarli.

Sulla loro morte ci sono state tramandate tre versioni diverse: 1 - lapidati dai corinzi per i doni avvelenati a Glauce e Creonte;/ 2 – nel VI secolo A.C. Eumelo sostiene che Medea li abbia uccisi per errore durante una cerimonia magica;/ 3 – solo da Euripide emerge la consapevolezza omicida di Medea.

Poi andrà a vivere con il re di Atene, Egeo. A Giasone dice: “Com’è giusto per un malvagio, morirai di mala morte: ti piomberà sul capo un rottame della nave Argo, e così vedrai l’amara fine delle mie nozze”.

Giasone morirà di morte mediocre, solo e privo di potere, mentre Medea è tornata a se stessa; anzi secondo un mito di Apollonio si credeva che i più amati dagli dei continuassero a vivere in un Paradiso. Lì Medea continuerà a vivere con Achille, l’eroe greco che da Chirone aveva ricevuto un nome dal doppio significato: “colui che porta angoscia al nemico e colui che porta addosso il dolore della guerra.

Medea e Achille portatori di dolore in vita, felici insieme nei Campi Elisi.

DAENERYS: LA CONQUISTA DEL POTERE

Sesto aspetto

Il sesto aspetto del problema senza nome ci viene proposto dalla figura di Daenerys della casa Targaryen che è una delle personagge più riuscite della saga, e probabilmente della letteratura mondiale. L’autore con la saga, che è diventata il corrispettivo contemporaneo delle tragedie greche, invita a riflettere sull’etica, sulla morale e sulle relazioni tra le persone per capire cosa siamo diventati dopo millenni di presunta civilizzazione. Se i miti sono stati il serbatoio di conoscenza dell’antichità che ci hanno permesso di leggere il mondo circostante in maniera adeguata, oggi la funzione catartica svolta dal teatro è passata alle narrazioni seriali che stanno modificando nel bene e nel male il nostro modo di stare al mondo. Il ruolo dei romanzi oggi è quello di offrire narrazioni che possono essere trasferite sullo schermo. La società che stiamo plasmando sarà molto più vicina a Daenerys che a Rousseau e sarà ispirata dai valori che queste saghe trasmettono. Tra i tanti sceneggiatori commerciali troviamo per fortuna anche quelli che si misurano con la filosofia e le questioni esistenziali. Daenerys vuole misurarsi con il potere perché pensa che il potere sia la chiave per liberarsi dal potere ed è l’obiettivo che vuole conseguire.  Appena, giovanissima, compare sullo schermo sembrerebbe una figura positiva con lo sguardo trasognato e malinconico, ma non lo è: compie moltissimi errori evidenziando gli aspetti oscuri di sé.  Riesce comunque a superare continue violenze e tradimenti, e a sopravvivere alle ferite ricevute. Acquista la forza per conquistare il proprio potere. Questo desiderio la porta a misurarsi con se stessa per capire quello che una donna può cambiare nel mondo, del mondo e di se stessa. Uno dei suoi nomi è Nata dalla Tempesta perché la madre, stuprata dal re Aerys, l’ha partorita in una notte di tempesta ed è subito morta. Nasce dalla tempesta e sono le tempeste della vita a darle la forza di ribaltare le situazioni più tragiche e uscirne rinnovate. Nel corso del tempo acquista sicurezza, diventa adulta, manifesta ambizione. Prova fastidio per il modo in cui gli altri contendenti al Trono di Spade usano il potere, ma non possiede realmente un altro modo di praticarlo. 

Bionda, bella e dolce vive col fratello Viserys in esilio a Pontos, presso un ricco mercante, in un palazzo bellissimo servita da principessa qual è. Prima che venisse ucciso durante una ribellione, il padre era il re dei sette regni. Una nuova tempesta sta per abbattersi su di lei: ha appreso che il fratello l’ha appena venduta come sposa a Khal Drogo, capo di una tribù di guerrieri, al fine di ottenere un esercito per poter riconquistare il regno perduto. Danaerys non vorrebbe sposare. Drogo, ma è costretta dal fratello contro il quale non può fare niente. Quante donne si sono trovate in balia di qualcuno disposto a tutto per inseguire i propri desideri? E vediamo in questa situazione la condizione della donna come proprietà dell’uomo. La fanciulla viene stuprata dopo il matrimonio, diverso è il rapporto descritto magistralmente da Martin nel romanzo come rapporto amoroso consensuale. Daenerys, comunque rinasce: si fa curare le ferite da un’ancella e chiede di essere iniziata all’arte dell’erotismo. Ritroviamo qui il valore della relazione tra donne, dell’iniziazione femminile e il valore della sapienza sessuale, oggi vissuta come tabù o come piacere mentre è l’arte di perdersi e riscoprirsi, apprende l’arte erotica, resta incinta e assiste imperterrita all’uccisione del fratello. Ora è più forte che mai, strappata alla sua spensieratezza si è trasformata velocemente. Anche la società di oggi costringe le donne ad affrontare prove di maturità fin da bambine. Le donne che non accettano i condizionamenti hanno tante difficoltà a raggiungere posizioni di prestigio e non riusciranno ad abbattere il soffitto di cristallo. Apparentemente non ci sono ostacoli, ma nella realtà lo scopo del soffitto è mantenere i posti di potere per gli uomini che lo hanno sempre detenuto. Danaerys è convinta di questo, ma non riesce a trovare una soluzione alternativa reale. Il trono di spade rischia di veicolare un’idea sbagliata di femminismo e un’idea di potere maschilista e patriarcale. Non è sufficiente che una donna ce la faccia per parlare di giustizia ristabilita o di fine del patriarcato. Occorre garantire in tutti i campi trattamenti equi e non far chiedere più a una donna in età fertile, in un colloquio di lavoro se ha intenzione di aver figli. Se in Italia non abbiamo tante donne al potere è perché intorno a loro aleggia un alone di sfiducia e di paura che toglie autorevolezza. Pensiamo a quanto abbia pesato il pregiudizio su Nilde Iotti, prima presidente della Camera e compagna di Togliatti: quando i colleghi la incrociavano per la strada cambiavano direzione, e dicevano anche che si facesse scrivere i discorsi da Togliatti.

A Daenerys piace il potere perché il potere è la chiave per liberare dal potere. Lo dice chiaramente quando confida i propri piani futuri, elencando i nomi delle famiglie che si sono susseguite al trono: «Lannister, Targaryen, Baratheon, Stark, Tyrell sono come raggi di una ruota. Prima uno poi un altro e un altro ancora. La ruota continua a girare schiacciando chi è sul terreno. Non voglio fermare la ruota, voglio distruggere la ruota». Daenerys, in sostanza, è più lucida di tutti gli altri, ma non ha ancora la chiave per cambiare il mondo in cui vive e distruggere la ruota rischia di essere soltanto la premessa alla creazione di una nuova ruota, i cui effetti saranno molto simili a quelli della precedente. Cosa fare, allora. La via d’uscita è immaginare un nuovo modello sociale: cambiare i rapporti tra tutti i suoi membri facendo attenzione ai gesti quotidiani, al linguaggio; tutto questo però non avviene automaticamente, come pensa Daenerys. La sfida di oggi è immaginare un potere comunitario, equo, paritario, una collaborazione tra forze diverse. Potrebbe essere un modello costruttivo, che non è meno solido. Meno solido è solo il pregiudizio.

Occorre ripensare cosa sia il potere.

Nel corso del tempo, Daenerys si trova più volte a offrire la libertà a schiavi che non sapranno gestirla, o che preferiranno una schiavitù sicura all’incertezza. Libera gli oppressi, che si trasformeranno dopo poco in oppressori. Il sogno di Daenerys si scontra inesorabilmente con i limiti dell’essere umano, con le radici difficili da scalfire del patriarcato, del sessismo, della violenza. Della stupidità. E lei stessa è violenta, durissima, vendicativa. Opta quasi sempre per la punizione e non per l’educazione, per la soluzione istintiva più che per la comprensione: «Vi offro una scelta: inginocchiatevi e seguitemi, oppure rifiutatevi e morirete» dice ai Lord dell’armata dei Lannister appena sconfitti, convinta di mostrarsi in questo modo migliore dei suoi predecessori. In nome dell’ideale è sempre pronta a uccidere migliaia di colpevoli, con una giustizia spesso sommaria e violenta. Fra i nomi di Danaerys c’è anche quello di distruttrice delle catene, eppure non ha gli strumenti per capire cosa fare, una volta che quelle catene sono state spezzate.

Daenerys ricorda che si può anche diventare un riferimento carismatico ed esemplare da seguire, perfezionando se stesse e superando i propri limiti, ma che questo non è sufficiente a cambiare la società in cui si vive. È tanto, ma non è tutto. . Nel mito della caverna, Platone mostra un individuo che, dopo essere stato condotto a vedere il sole, torna nel luogo in cui era sempre vissuto in catene, costretto a guardare insieme ad altri prigionieri un carosello di ombre riflesse sul muro per tutta la vita. Questo è il destino che tocca a Daenerys: subire quotidianamente tentativi di assassinio, insurrezioni popolari e rivolte dettate tanto dal fastidio dei padroni spodestati quanto dall’incapacità dei liberati di riorganizzarsi. Sa di più, ha valori più sani, è più umana. Ma questo non basta a far di lei una buona governante, pur essendo un’ottima liberatrice.

MORGANA: IL CONFLITTO CON IL MONDO

Settimo aspetto

Per riflettere su questo aspetto del problema senza nome è interessante è la rilettura del personaggio di Morgana, che si rifà al mito originario, raccontato da Marina Zimmer Bradley nella sua opera “le nebbie di Avalon. (Nella storia di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda le donne hanno un ruolo marginale e sono sempre viste come cattive e gelose) Morgana viene condotta sull’isola di Avalon dalla zia Viviana, la Dama del Lago – somma sacerdotessa del culto di una DEA ancestrale. È dotata della “Vista” cioè della capacità di indagare il futuro, e compie con lei il suo apprendistato, per diventare anch’ella sacerdotessa. I culti e le cerimonie praticati in onore di questa dea sono sempre collegati ai cicli della natura e della fisiologia femminile e servono anche da protezione per il suo popolo che viveva in pace e in rapporto con la natura. Morgana era sorella di Artù, che viene affidato a Merlino, il quale nel corso del suo regno sarà combattuto tra la fedeltà alle tradizioni e l’obbedienza verso i sacerdoti cristiani, Morgana rimane fedele al culto pagano, e si batte per affermare ciò in cui crede. Il dono della vista le permette infatti di presagire il crollo della società in cui vive, ed è cosciente del fatto che difficilmente riuscirà ad imprimere agli eventi un altro corso. Traslando Morgana   nella nostra realtà di oggi potremmo dire che ha molto in comune con le persone idealiste, che credono fermamente nell’inalienabilità di alcuni diritti e combattono per mantenerli, cozzando con una società che persegue fini diversi, dominati dal potere e dalla ricchezza. Ma…come può Morgana portare il suo contributo positivo nella società attuale? Ricominciando a mettere in circolo idee che per lei sono scontate e raccontarle con parole nuove, mostrando un’alternativa: creare nuove pratiche e mostrare come sia possibile convivere, includendo etnie e credenze diverse, ma condividendo una premessa fondamentale: il rispetto dei diritti di tutti. Questa comprensione l’ha portata a considerare la Giustizia come valore supremo e a non riuscire a sopportare tutte le situazioni ingiuste di cui è stata vittima o testimone.

Come può agire in questa posizione? forse aspettando che poco alla volta le sue idee vengano accolte e la società cambi. Esseri sicuri di avere ragione non basta: occorre imparare a dialogare con il mondo senza entrare in conflitto, anche quando la situazione è esasperante, anche quando il baratro in cui sta cadendo è profondissimo e chi ha gli occhi per vedere, la sensibilità per accorgersene, viene preso dallo sconforto. E’ importante riflettere sul conflitto che si manifesta tra Morgana e Ginevra, la moglie di Artù. Le due donne, immagini di due culti differenti, vogliono entrambe far prevalere il proprio punto di vista. Ginevra vuol far abolire i culti pagani e soprattutto i fuochi di Beltane, che si celebrano all’inizio di maggio per salutare la primavera e dare l’addio all’inverno. Durante questa festa, chiamiamola così, si è liberi di dar sfogo ai propri istinti sessuali. Per Ginevra è difficile accettarlo, ma… lei è ossessionata da due aspetti della propria vita che hanno proprio a che fare con il sesso: l’amore segreto per Lancillotto e l’impossibilità di avere un figlio. Se non dà spazio all’amore per Lancillotto per rispettare i doveri di moglie e non segue il cuore e il corpo, come fece Elena, il dolore di non riuscire a dare un erede ad Artù la rode come un tarlo. Tant’è che Artù le chiede di passare la notte con Lancillotto, l’attrazione è evidente, al fine di avere un erede. Ginevra cede dopo molte resistenze, ma non rimane incinta. Lo scontro tra le due donne è lo scontro di vivere la vita e la sessualità in modo diverso: da una parte una libertà assoluta che diventa conflitto con il mondo, dall’altra c’è un’autolimitazione che entra in conflitto con i propri desideri. Se tra loro ci sono gelosie, invidie e contrapposizioni estreme, dall’altra c’è il desiderio di essere sorelle. Vorrebbero essere complici, ma ogni volta c’è qualcosa che le separa. Entrambe hanno qualcosa da condividere e qualcosa di ingombrante da cui separarsi.

Essere libera dall’ansia e dal controllo, seguire il cuore e non le strategie potrebbe rendere il percorso più lento, ma se la donna vuole fiorire deve avere relazioni autentiche ed essere in connessione con la sua parte più profonda, con quella che è la sua natura.”

DINA: IL BISOGNO DI CONDIVISIONE

Ottavo aspetto

L’ottavo aspetto del problema senza nome è la narrazione della storia di Dina donna della Bibbia. E’ figlia di Giacobbe, unica femmina nata dalle sue quattro mogli, ma il suo nome compare molto poco nel libro della Genesi e solo in una vicenda tragica. E’ vero nella Bibbia le donne hanno un ruolo comprimario nel senso che seguono i padri, i mariti, partoriscono e crescono i figli, ma non hanno voce. Vengono spesso dimenticate. Noi abbiamo la possibilità di ricordare Dina perché la sua storia è stata rinarrata da Anita Diamant nel suo romanzo “La tenda rossa” del 1997 (negli anni 80 /90 le storiche e le letterate riscrivono la storia delle donne da un punto di vista diverso: il recupero di una tradizione femminile al fine di creare genealogia femminile). Il romanzo, diventato una serie televisiva, partendo da pochi versetti della Bibbia racconta una storia inventata come se fosse vera… Giacobbe tenta di rubare al fratello il diritto di primogenitura e ricevere la benedizione del padre Abramo, ma  viene scoperto ed è costretto a scappare e rifugiarsi presso l’accampamento di uno zio. Lì conosce Rachele e se ne innamora. In pochissimi anni migliora la sua posizione economica quadruplicando il bestiame, prende quattro mogli ed ha molti figli tutti maschi tranne Dina, che cresce con le madri e viene iniziata ai segreti della tenda rossa, il luogo dell’anima, il luogo in cui le donne si riuniscono quando hanno il menarca, all’inizio della luna nuova, e dove restano per tre giorni. Tutte le donne hanno il ciclo negli stessi giorni in armonia con i cicli della luna. Se Giacobbe allontana le donne perché sono impure, per le donne rappresenta un momento sacro: possono essere se stesse, senza l’obbligo di interpretare dei ruoli, senza impegni familiari si sentono finalmente libere, si raccontano, cantano le proprie canzoni e ridono. Qui si sentono unite da un filo rosso che le rende tutte figlie della stessa madre e tutte sorelle. Dina cresce seguendo questi riti durante i quali vengono adorate delle statuine di donne che si tramandano di generazione in generazione. E mentre fuori gli uomini adorano il Dio, nella tenda rossa si adora la DEA. Questo equilibrio sarà infranto quando Dina ha il primo ciclo mestruale e viene iniziata ai Misteri. La moglie del fratello Levi, accolta per la prima volta nella tenda senza conoscere il culto, racconta tutto al marito, che a sua volta riferisce al padre. Giacobbe entra nella tenda e distrugge gli idoli. È finita la libertà delle donne.

Quando Giacobbe si trasferisce nella città di Sichem ottiene dal re un luogo dove poter costruire un accampamento e sistemarsi con la sua numerosa famiglia. Qui Rachele inizia la sua attività di ostetrica, la sua fama l’ha preceduta, e viene chiamata da tutte le donne, Dina l’accompagna. Ha ereditato il dono della zia, le fa da assistente e impara l’arte. Quando Rachele viene chiamata dal re per assistere la sua concubina, Rachele, che l’accompagna si innamora del principe col quale intreccia una relazione favorita da tutti gli abitanti del castello. Quando il re porta a Giacobbe tante ricchezze e lo informa che Dina ha sposato suo figlio Shalem. Giacobbe s’infuria perché ritiene che avrebbe dovuto saperlo prima, i fratelli invece, gelosi dei beni e delle ricchezze toccate a Dina, uccidono il re e il principe. Dina distrutta dalla perdita del marito e inorridita del comportamento dei fratelli va con la suocera in Egitto dove partorisce il figlio, ma le viene proibito di dire al bambino chi fosse suo padre. Dina è distrutta: ha perso le persone che amava, è stata abbandonata dalle madri e vive in un paese sconosciuto. Si rifiuta di fare la levatrice, non può rivelare al bambino il nome del padre e cade in un grave stato di prostrazione. Ha bisogno di condividere

Dina ha aiutato tante donne a partorire, è stata vicina alla loro sofferenza con le erbe, i movimenti e i canti. Per queste donne il rischio di morte era forte. Oggi, è vero, grazie ai progressi della medicina le condizioni di salute sono migliorate e si partorisce in ospedale, ma quel tipo di vicinanza tra donne che tanta condivisione ha creato, è scomparso. Io ho fatto questa esperienza di serenità perché ho avuto Lilly e lei me. Il momento del travaglio oggi viene vissuto in solitudine, ma si avrebbe bisogno del conforto di sorelle. E’ questo tipo di sorellanza, di condivisione che Dina mette in luce. Abbiamo perso i riti di passaggio. “La fretta, il pudore, la vergogna, la paura sono diventate barriere che ci impediscono di ritrovarci in cerchio con le nostre madri, le nostre nonne, le nostre sorelle, le nostre figlie e raccontarci: non una gerarchia, non un tribunale, ma un cerchio in cui ciascuna è importante e non c’è una leader, ma tutte sono disposte a raccontarsi e ad ascoltare. Così è accaduto tra le donne per migliaia di anni finché qualcosa ha interrotto la catena al punto che oggi una tale prospettiva sembra utopica. Forse ciò spiega anche il successo di alcune serie televisive che rappresentano il desiderio di quasi tutte le donne di far parte di un gruppo di sorelle che non sono in competizione, ma che hanno fiducia una nell’altra.”

Insieme al parto anche la menopausa e la vecchiaia nella vita di una donna rappresentano un tabù, qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi: questo significa legare il fascino e l’energia femminile solo alla sterilità? significa privarsi di incontri e possibilità straordinarie?

Dina inizia la sua fioritura nel momento in cui ha ripreso ad assistere, a Tebe, le donne nel travaglio. Qui incontra una ragazza conosciuta da bambina e che le racconta la sua storia. Anche Dina comincia a raccontare e, mentre parla, piange e ricorda i suoi uomini e le sue madri. Accade di pensare che la vita sia finita perché ci sono stati degli eventi talmente forti da spezzarla, ma può accadere che si abbia paura di un nuovo inizio? Ciò che permette di superare il trauma è la condivisione con qualcuna/o che possa ascoltare e comprendere.

Come riuscire a trovare la propria strada per rifiorire? Mettersi in connessione con se stesse e ripercorrere la propria vita per individuare ciò che ha provocato il proprio dolore.

Alla fine delle 8 storie uno spiraglio di positività ci viene offerto da “il complesso di Filippo”, riferito al principe Filippo, nella storia raccontata dal film Maleficent) significativo degli aspetti del problema, che non bisogna banalizzare, perché lascia intravedere, gli effetti nefasti che il patriarcato ha prodotto sugli uomini e sull’immagine che la società cuce loro addosso. E su questo punto si gioca il prossimo passo per il miglioramento della vita di tutti/e: la capacità degli uomini di occuparsi delle conseguenze della società patriarcale.

Oggi Filippo sono quei ragazzi e quegli uomini che, pur riconoscendo il peso del patriarcato, non sanno ancora immaginare un nuovo modo di essere uomini: capiscono bene quello che non vogliono essere, ma non sanno ancora come diventare.



Soverato, 19 marzo 2021



 
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