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ASSOCIAZIONE
“BIBLIOTECA DELLE DONNE DI SOVERATO”
Palazzo
di Città - 88068 Soverato (CZ)
LIBERATI
DELLA BRAVA BAMBINA
di
Maura Gancitano e Andrea Colamedici
a
cura di Marisa Rotiroti
Maura
Gancitano e Andrea Colamedici e sono autore/trice del libro “Liberati
della brava bambina” su cui oggi riflettiamo. Andrea e Maura,
filosofi, hanno fondato e divulgano Tlon, scuola di filosofia, casa
editrice e libreria - teatro.
Maura
si occupa di parità di genere, diversità e inclusione, spazi
pubblici digitali e comunicazione culturale, collabora con numerose
Università e Istituzioni E’ appassionata di editoria e fin da
giovanissima organizzava eventi culturali nel suo paese Mazzara del
Vallo.
Andrea
Colamedici è filosofo, editore, regista, attore teatrale e
insegnante di filosofia per bambini. Assieme a Maura Gangitano ha
scritto: “Tu non sei Dio” 2016; “Lezioni di Meraviglia” 2017,
“La Società della performance” 2018; “Liberati della brava
Bambina” – 2019.
Insieme
conducono per Audible podcast Scuola di filosofia e sono gli
ideatori/trici della Festa della Filosofia e della Maratone
online “Prendiamola con filosofia”
Il
progetto Tlon nasce nel 2015 dal bisogno di parlare di filosofia
riflettendo sull’attualità e sui fenomeni sociali disegnando in
modo chiaro un processo di fioritura, di rinascita individuale e
collettiva
La
Filosofia viene percepita come qualcosa di distante dalla vita reale,
mentre è “Arte di vivere” e “Cura della vita “ e,
applicata al linguaggio della quotidianità, ci inocula pillole
di saggezza.
Presentando
in Italia e all’estero spettacoli culturali sul Web hanno aggiunto
alla loro formazione filosofica competenze imprenditoriali, digitali,
editoriali e organizzative.
Il
libro “Liberati della brava bambina” ha
come protagonista la Donna ed è una rilettura di storie antiche e
moderne sotto una nuova luce, quella del “problema senza nome” e
delle sue possibili risoluzioni.
Il
problema senza nome è il senso d’insoddisfazione, d’inquietudine
che una donna prova ripetutamente nel corso della sua vita in
molteplici situazioni e non riesce mai a sopire del tutto.
Il
problema senza nome non è il retaggio di una brutta storia passata
né il frutto di una scelta di vita sbagliata e non è nemmeno il
senso di colpa dovuto a un’azione sgradevole che si è compiuta e
poi è stata dimenticata. E’ la memoria di un dolore che non
riguarda la storia personale, ma quella collettiva, per tutto quello
che le altre donne hanno subito nel corso della storia a causa del
loro bisogno di essere libere e di realizzare se stesse. Lei, la
Donna, e nella parola DONNA ci siamo tutte, ancora oggi, pur
vivendo in una società apparentemente progressista e ugualitaria,
porta inconsciamente nel corpo questo dolore come se
l’avesse ricevuto in eredità da chi l’ha preceduta. Questo
problema non è solo suo, è di tante altre donne nel mondo, ed è
una cicatrice talmente profonda e invisibile che non si riesce a
condividere neppure tra donne.
In
questo libro Maura e Andrea nel mettere in luce gli aspetti del
problema senza nome: i conflitti interiori, le
cicatrici archetipiche che la fanno stare sulla difensiva e che le
scatenano la paura di essere invasa e violata nel corpo e nella
psiche, ci raccontano 8 storie di donne, alcune tratte dal mito,
altre da film, romanzi, religione: Era, Medea, Elena di Sparta,
Malefica, Difred, Daenerys, Morgana, Dina.
“Le
è stato detto di essere una brava bambina, poi una brava moglie e
una brava mamma. E, anche se forse non se n’è accorta, le sono
state raccontate delle storie in cui le donne che non rispettavano
queste istruzioni diventano pazze, o venivano uccise o rimanevano
sole. In realtà molte di queste storie venivano narrate a metà o
manipolate, perché nascondevano delle protagoniste forti e volitive
che non si erano piegate alle imposizioni sociali”. In definitiva
sono state interpretate e raccontate per
millenni in chiave patriarcale e i modelli di donne forti sono sempre
stati ridotti al silenzio.
Questo
libro invita a guardare alle loro storie dalla parte delle
protagoniste, così Medea non
è un’infanticida, ma una donna che riprende in mano la propria
vita a cui aveva rinunciato per l’amore di un uomo che voleva solo
usarla, così come Era non
è una moglie petulante, ma una donna che per troppo tempo ha vissuto
un ruolo che non poteva abbandonare vivendo nel dolore; le sue
emozioni non vengono ascoltate ma ridicolizzate, si sente costretta
in un ruolo che ad altre potrebbe sembrare invidiabile, ma che per
lei è una prigione.
Rileggere
queste vecchie storie con uno sguardo nuovo è per le donne un atto
di sopravvivenza
dice Adrienne Rich (nel 1971). E Paola Bono riflettendo su questo
concetto in “Riscritture d’amore” si chiede e ci chiede: dopo
50 anni si riuscirà a trasmettere FINALMENTE una tradizione in cui
le donne hanno il diritto e la capacità di essere se stesse e non lo
specchio, l’eco, il riflesso o la negazione del maschio?
Quindi
se noi partiamo dal concetto originario di filosofia che è “arte
di vivere” e la trasferiamo nella quotidianità, essa ci induce a
domandarci il significato delle cose. Questi ritratti femminili
possono insegnare con le loro storie come trasformare le gabbie in
chiavi e volgere le difficoltà in opportunità. LEI dovrà
sciogliere il problema senza nome e distruggerlo.
Il
primo
passo è smettere di far finta che non esista; il
secondo è smettere di trovare un
passatempo per allontanarlo; il terzo
passo è rendersi conto di quale sia la reale condizione della donna
nella nostra società. Sebbene siano crollate tante convinzioni
e le donne siano più libere di scegliere se sposarsi, avere figli,
esprimere il proprio orientamento sessuale, è ancora forte la voce
di chi sostiene che essere donne sia un destino e che essere
femminili significa comportarsi in una
maniera ben precisa.
Solo
così LEI si potrà finalmente permettere di esistere, e non aver
paura di fiorire.
Fare
filosofia aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle
parole, come fossero esplosivi: non più “donna”, ma “donna?”,
non più “si fa così”, ma “si fa così?”, non più “è
sempre stato così”, ma “è sempre stato così?”. In questo
modo ogni preconcetto esplode, e si aprono nuovi passaggi altrimenti
invisibili
“La
vera protagonista del libro, la DONNA, inizia il suo nuovo
percorso attraversando le storie delle otto protagoniste, ognuna
delle quali evidenzia uno stato d’animo, un aspetto del problema
senza nome, come se fossero otto tappe della sua liberazione.”
ERA:
RINUNCIA ALLA REALIZZAZIONE
Primo
aspetto
Entriamo
nel dettaglio delle storie delle donne
ERA,
sembra che provenisse dalle isole
Pelagie dove era venerata come Grande
Dea Madre per cui il rispetto e il
culto che le venivano tributati erano molto lontani da come viene
ricordata dagli scritti di Omero.
Era
- Giunone, secondo la tradizione
misogina, era molto corteggiata da Giove, ma lo aveva sempre
rifiutato per mantener fede al patto con se stessa di preservare la
sua libertà e autonomia. Giove, però, che era prepotente, non si
rassegnò e, trasformatosi in un tenero cuculo tremante e zuppo di
acqua si poggiò sulle sue ginocchia. Lei intenerita lo pose nel suo
seno per riscaldarlo; a quel punto Zeus si manifestò e la sedusse e
lei gli offrì il suo cuore rendendosi vulnerabile e rinunciando alla
sua libertà. (leggendo
la storia da un’altra prospettiva, lui le si avvicina con l’inganno
e la stupra). Sembra
un vero amore così detto, allora perché Era viene fatta passare per
una dea gelosa e vendicativa? Perché Zeus la tradiva continuamente e
non la teneva in alcuna considerazione. Allora Era cosa fece? Legò
Zeus al letto e gli rubò le folgori con l’intento di ribaltare i
rapporti di potere, ma lui fuggì e riuscì a soggiogarla. Era
potrebbe sembrare l’archetipo per tante donne che agiscono per far
piacere all’altro, anziché scegliere per sé, però ella non ha
scelto, ci si è trovata e, quindi, leggendo questa storia si può
riflettere per individuare il proprio malessere.
Il
desiderio di essere moglie non è né giusto né sbagliato: è un
desiderio, ma diventa un problema quando impedisce di diventare altro
e la donne soffre. Il risentimento di questa donna rappresentato
dalla condizione di Era è il dolore della mancanza di ascolto e
comprensione: rinuncia alla
realizzazione di sé. Sebbene
la caratteristica di Era sembri essere la gelosia, a guardar bene, è
la sua resistenza, che non nasce dal
fastidio vissuto (vale anche per le donne di oggi), ma dal dolore di
chi vorrebbe tornare alla propria libertà, alla propria forza
originaria. Mentre Zeus tradiva per soddisfare un desiderio di
potere, per lussuria, per accumulare conquiste, il bisogno di Era
aveva a che fare con la piena espressione di sé che è qualcosa di
molto più profondo e prezioso: il
collegamento sacro con la vita. “Ora
Era deve anche imparare a separarsi da Zeus dentro e fuori di sé e a
riconciliarsi con lui in un nuovo equilibrio basato sull’esperienza
trascorsa e su nuovi patti”.
Lei,
la donna, deve separarsi dai condizionamenti che la vogliono
sottomessa, svilita. Ciò non significa lasciare il proprio partner
per sentirsi viva, ma significa che, per vivere pienamente la
relazione di coppia, sia fondamentale il recupero della sua natura
originaria compromessa dall’educazione familiare e sociale.
E’
vero, l’Olimpo greco ha messo in scena la psiche umana, ma ha anche
fatto una terribile sottrazione di potere al Femminile che ha
scalzato la Grande Madre, divinità della Natura fonte di vita e di
morte.
MALEFICENT:
LA RABBIA INCONTROLLATA
Secondo
aspetto
Il
secondo aspetto del problema senza nome è la rabbia
incontrollata, che è un’emozione latente, un istinto
incomprensibile e incontrollabile sempre sul punto di esplodere. Lei
tende a nasconderla oppure la riversa sugli altri senza pensarci, è
un tarlo che la rode dentro e le fa male, ma per poterla combattere e
distruggerla deve innanzi tutto riconoscerla.
Maura
e Andrea rinarrano la fiaba della bella addormentata. Conosciamo
tutte e tutti lastoria della fata che, non essendo stata invitata
alla festa indetta dal re, fece irruzione nella sala e avvicinatasi
alla culla della bimba disse <<a sedici anni la principessa
si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta>> forse
questa fiaba nasconde un segreto: chi è veramente la
strega cattiva? Qual è la ragione per cui
maledice una bambina innocente? e da dove nasce quella rabbia?
che cosa era successo prima?
Si
pone queste domande Linda Woolverton, la sceneggiatrice del film
Maleficent, con Angelina Jolie che ci offre una nuova versione
della fiaba svelandone il segreto. “Lasciate che di nuovo vi narri
una vecchia storia. E si vedrà quanto bene la conosciate” così
inizia Maleficent. Apre il racconto su due regni vicini: “in
uno dei due regni vivono persone sempre scontente e invidiose,
governate da un re vanesio e avido che vuole conquistare l’altro
regno, la Brughiera, perché lì vivono, in piena felicità,
innumerevoli, strane e prodigiose creature che si fidano le une delle
altre. In quel regno vive Malefica, una fata bellissima, diversa da
tutte le altre creature della Brughiera. Ha corna e ali imponenti e i
suoi piedi si muovono sull’albero come le zampe di un uccello, le
sue unghie sono quelle di una bestia. Malefica ha qualcosa che
incanta, è potente”.
Un
giorno riesce a entrare nella Brughiera un giovane che vuole
appropriarsi di alcuni gioielli e Malefica lo trova. È
Stefano, un ragazzo solo, orfano, senza casa e senza futuro. Ha però
un grande desiderio: vivere nel castello del re. Tra i due si è
creata un’empatia perché entrambi sono orfani e diversi dagli
altri e il giorno del sedicesimo compleanno di Malefica Stefano le dà
il bacio del vero amore. Subito dopo si allontana ed entra al
servizio del re diventando cavaliere. Malefica non capisce cosa sia
successo e continua a sperare che lui ritorni. Tornerà infatti, ma
per tradirla. Dopo averla fatta bere, lei si addormenta e lui
dovrebbe ucciderla per esaudire le richieste del re, ma non ha il
coraggio e si limita a tagliarle le ali. Malefica si sveglia per il
dolore e urla, urla in maniera straziante e riporta in superficie
tutto il dolore accumulato dalle donne che sono state tradite,
torturate e violate. E’ il dolore del tradimento. Lui
consegna le sue ali al re: di lei non gli importa niente, ha fatto la
sua scelta e pensa solamente al trono. Ha sacrificato l’amore per
il potere. Malefica è diventata ossessiva, pensa solo a vendicarsi.
Questa è anche la condizione di tante donne ferite che avvertono una
forte rabbia e vivono in uno stato di perenne insoddisfazione senza
speranza per il futuro. Oggi è Malefica quella che si allontana
dagli schemi prefissati e dalla tradizione scritta da altri per lei,
è Malefica chi vuole vivere in piena libertà. Potrebbe avere tante
opportunità, ma non ha la forza di tirar fuori di sé il fuoco che
ha dentro e vive in una condizione di rabbia costante rinunciando a
se stessa. Il suo intento è riappropriarsi di sé, ricostruire le
sue ali e fare in modo che la rabbia diventi combustibile per la sua
fioritura.
Stefano
rappresenta sia chi ha tradito per il proprio tornaconto sia
la società che ha impedito alla donna di esprimere il proprio
potere tarpandole le ali. La violenza di quel gesto si trasforma in
rabbia e la rabbia chiede vendetta: Malefica aspetta che Stefano
diventi re, che abbia una figlia e lancia la maledizione ad Aurora. A
questo punto appare chiaro che la sua rabbia non è determinata dal
non essere stata invitata alla festa, ma dal tradimento di Stefano.
Egli, tagliandole le ali, aveva compiuto un gesto patriarcale basato
sul dominio dell’uomo sulla donna, ma con la sua maledizione
Malefica sta adottando lo stesso metodo impedendo a una giovane donna
di essere se stessa, perpetuando la violenza subita e riversandola
sulle altre donne: si diventa cattive con le altre e questo processo
diventa un circolo vizioso. Malefica nella pellicola si accorge
proprio di questo e comprende che l’unico metodo per trasformarsi è
permettere ad Aurora di vincere la maledizione ricevuta. Aurora è
una nuova possibilità per le donne. Malefica si trasforma da strega
cattiva a fata madrina: inizia ad amare Aurora e l’amore
supera l’odio.
ELENA:
RESPONSABILITA’ DELLE PROPRIE SCELTE
Terzo
aspetto
Il
terzo aspetto del
problema senza nome è la
responsabilità delle proprie scelte
e ci viene introdotto dalla rilettura della figura di Elena
di Sparta, meglio conosciuta come
Elena di Troia. Elena era regina di Sparta ma la tradizione misogina
preferisce ricordarla come Elena di Troia. Era la donna bellissima
che aveva causato la guerra di Troia, che per lei fu distrutta. La
memoria collettiva preferisce associarla al danno commesso e non alla
sua città di provenienza. Questa la storia ufficiale raccontata da
Omero. Anche qui la dea della discordia esclusa dalla festa di
matrimonio di Peleo e Teti aveva buttato sul tavolo intorno al quale
erano sedute Era, Afrodite e Atena una mela dorata su cui era scritto
: “alla più bella”. Paride,
un mortale, figlio di Priamo, chiamato a giudicare sceglie Venere
perché gli ha promesso l’amore della donna più bella del mondo.
Paride, come spiega Isocrate nel suo “Encomio”, l’aveva scelta
non solo per il suo aspetto fisico, ma perché era figlia di Zeus e
sperava che imparentandosi col re degli dèi si sarebbe garantita la
vita eterna. Ma, facciamo un passo indietro e vediamo chi era Elena
prima della guerra e di Omero. Alcuni studi ci dicono di un culto
antico risalente al secondo millennio a.C. nel quale Elena era
venerata come divinità della vegetazione e della fertilità. Era
anche la dea legata ai culti di iniziazione femminili e curava il
passaggio della donna da giovane ad adulta in un processo di morte e
rinascita, di rapimento e di riconsegna. Anche la guerra può essere
letta come un processo di iniziazione: il rapimento è la sua morte
rituale, la conquista di Troia è
la prova iniziatica e il ritorno a
Sparta è una rinascita
sotto una nuova forma.
Dal
racconto di Omero emerge sempre la mancanza di scelta da parte di
Elena: c’è sempre qualcuno che la rapisce (prima Teseo e poi
Paride), qualcuno che la tiene prigioniera, qualcuno che alla fine la
riporta a casa. Però a ben rileggere la sua condizione, sì, è la
moglie di Menelao, ma è lei a sceglierlo tra i tanti pretendenti, è
lei a scegliere Paride, un combattente mediocre ma bello. Lei,
segnata dallo stupro di Teseo, lo ha scelto non per amore, ma perché
desiderava una vita avventurosa e vedeva Troia come la città senza
ginecei, che le avrebbe dato la libertà. Ha deciso di non essere
proprietà di Menelao e sceglie di fare nuove esperienze. Elena sa di
essere bella, la più bella del mondo, ama il suo corpo ed è
convinta che la bellezza sia un potere, però non comprende perché
non possa utilizzarlo senza il consenso di chi è più in alto di
lei. Le
piaceva essere bella (era stata educata a esserlo) e non si biasima
per questo. Farlo sarebbe da ipocrita. In” Elena di Sparta” di
Loreta Minutilli leggiamo..”avevo sempre concepito la bellezza come
qualcosa di mio, non come dono per gli uomini… Vogliono specchiarsi
in noi. Ed essere virtuose vuol dire lasciarglielo fare…Io avevo
distrutto quel riflesso”. Elena fa le sue scelte responsabilmente e
consapevolmente, ma la società che la circonda non le permette di
essere padrona della sua vita. Il monito di Elena è quello di non
farsi plagiare, di non farsi influenzare da quel che è giusto fare.
Elena è una cagna immorale
per tutti coloro che presumono di avere una vita perfetta. Elena
mette ogni donna di fronte al fatto che non esistono vite perfette:
esistono vite autentiche e vite non autentiche, vite che seguono il
cuore e vite vissute reprimendo i propri desideri. Elena fa paura, è
per gli uomini quello che Freud definisce perturbante:
genera attrazione e repulsione. Non
sarà rassicurante, è vero, ma obbligherà gli altri ad essere
autentici a far cadere le maschere. E’ razionale e irrazionale, si
fa guidare dalle emozioni, ma rimane sempre vigile. Vive al di fuori
delle regole, ma ha la consapevolezza di ciò che accade intorno a
lei. Quando è tornata a Sparta da Menelao è rimasta ancora padrona
della sua vita. E’ regina di Sparta ed è serena. Anche oggi se Lei
è confusa e ha la sensazione che la sua storia sia un labirinto
piena di desideri contrastanti, si ricordi di Elena, la cui storia ci
dice che nessuna vita autentica è una linea dritta. Elena non si
vergogna perché ha consapevolezza di sé.
DIFRED:
LIBERTA’ DI AZIONE
Quarto
aspetto
Il
Quarto aspetto del problema senza nome:
Libertà di azione
ci viene narrato attraverso il “Racconto
dell’Ancella”, un romanzo
distopico di Margaret Atwood.
Il
romanzo, attraverso la voce di June, (una trentenne di Boston con
marito e figlia), ci racconta come da un momento all’altro si sia
potuta trasformare la vita di una donna cui vengono bloccati i conti
correnti e i soldi trasferiti sui conti dei mariti, dei padri, dei
fratelli in modo che le donne non possano spendere autonomamente. Una
legge, poi, negli Stati Uniti stabilisce che le donne non possono più
lavorare, né leggere e scrivere; le poche donne fertili vengono
rapite e fatte diventare Ancelle perché vengano usate e abusate per
ripopolare il pianeta. Perdono anche il loro nome per acquisire
quello dell’uomo potente che le possiederà; Jean diventerà Difred
che significa Di-Fred, il nome del comandante d’alto rango cui è
stata assegnata. Una volta al mese, nel periodo fertile, viene
praticata una Cerimonia durante la quale sarà fecondata alla
presenza della moglie del Comandante (cerimonia sacra secondo il
codice Gilead, rivoltante per chi vi partecipa e violenza sessuale
per l’Ancella) nella speranza che resti incinta, se ciò avverrà,
dopo l’allattamento lascerà il bambino/a ai nuovi genitori e
ricomincerà la missione con un’altra famiglia. La democrazia è
stata sostituita da uno stato totalitario creato da integralisti
religiosi: I Figli di Giacobbe. Gli Stati Uniti diventano
Gilead. È vero che questo nome è stato inventato, ma Margaret
Atwood assicura che le pratiche descritte sono verità storiche
tratte dalla realtà e attuate contro le donne del passato, ma ancora
attuali in alcuni Stati.
Chi
avrebbe mai potuto immaginare che alle donne venissero soppresse le
libertà personali? “Niente cambia all’istante, in una vasca che
si scalda di colpo finiremmo bolliti vivi” dice Difred”. Si
riferisce al principio della rana
bollita di Noam Chomsky: una rana
nuota tranquilla in una pentola piena di acqua fredda, non si accorge
del fuoco acceso sotto la pentola e nuota serena senza rendersi conto
che l’acqua si sta riscaldando fino a bollire, lei non ha la forza
di reagire e di fuggire e muore. Se fosse caduta direttamente
nell’acqua bollente sarebbe riuscita a fuggire e non sarebbe morta.
Ecco perché la storia di Difred può ancora parlare alle donne di
oggi e dire quanto sia importante la libertà personale e quanto sia
importante proteggerla anche quando si pensa di averla raggiunta.
Difred mette in luce il quarto
aspetto del problema senza nome e la
soluzione è riprendersi la proprietà del proprio corpo e
autodeterminarsi, perché la libertà non è negoziabile e non c’è
niente che valga di più. Jean torna spesso col pensiero alla sua
vita prima della nascita del regime, alla madre che non si fidava
degli uomini, ma che nel suo cuore ritiene che la figlia sia
fortunata ad avere Luke. Con Luke la vita scorre serena perché lui
non vuole sottometterla, ma vuole essere pari a lei nella
condivisione della famiglia e se la loro vita scorre serena lo devono
anche alle piccole conquiste di libertà fatte dalla madre. E se oggi
tanti uomini tornando a casa sanno che dovranno cambiare il/la
bambina o preparare la cena lo devono alle battaglie di chi è venuta
prima. Nello Stato di Gilead i diritti civili e le libertà sono
stati aboliti perché si temeva che la libertà fosse rischiosa, che
creasse una società senza regole, ma la libertà è un bene tanto
prezioso che nessuno può farne a meno. Gli stessi comandanti che
hanno dettato le regole sono pronti ad infrangerle, infatti Fred
porta di nascosto a Difred riviste, scarpe, vestiti e la conduce in
un locale notturno Gezabel pieno di alcol, droghe e prostitute,
sempre per soddisfare il loro piacere (Gezabele è una
principessa fenicia che aveva sposato un re ebreo di nome Acab.
Nell’Apocalisse di Giovanni è accusata di indurre i capi della
Chiesa a commettere atti impuri, e perciò è diventata simbolo di
lussuria e di peccato). In quel luogo i capi di Gilead si nascondono
per commettere tutto ciò che il regime da loro creato ha bandito.
“In fondo la carne è debole” dice il comandante.
Anche loro hanno bisogno di libertà
perché quel mondo in cui vivono non è un mondo possibile. Non può
esserlo per nessuno. Le mogli e le Ancelle reagiscono con la
depressione, gli Occhi e i Custodi con la rabbia e la violenza e i
Comandanti con l’abuso dei corpi delle donne riaffermando così il
potere patriarcale. L’avvertimento della Atwood alle donne è
quello di non farsi mai usare.
Lo fa lasciare scritto da un’ancella
“Nolite te bastardes carborundorum” – non consentire che i
bastardi ti annientino”
L’esperienza
a Gezabel permette a Difred di comprendere meglio l’ipocrisia di
Gilead in cui tutti sono infelici e in nome di quella libertà che le
hanno tolto inizia una relazione clandestina con Nik, un ragazzo che
lavora nella casa del comandante. Quella scelta rappresenta la
speranza che la sua vita possa cambiare e che il regime possa essere
sovvertito.
Nessuna
conquista è per sempre, nessuna dittatura è per sempre.
MEDEA:
IL TRADIMENTO DI SÉ
Ha
messo la parte migliore di sé al servizio delle passioni più
ordinarie del marito.
Quinto
aspetto
Il
quinto aspetto del
problema senza nome: il
tradimento di sé o La rinuncia a se stessa è tratteggiato dalla
figura di Medea. Medea è una figura
misteriosa, ma per come ci è stata tramandata dalla tradizione è,
nell’immaginario collettivo, una figura inquietante che, ferita
nell’orgoglio per essere stata abbandonata dal marito Giasone,
diventa un’assassina anche dei propri figli. Naturalmente questa
immagine ci è stata data da Euripide che l’ha trasformata in
un’infanticida. Forse conviene che io racconti in breve chi era
Medea, prima e dopo Euripide. Cominciamo col dire il significato del
suo nome, Medea
deriva dal termine sanscrito Medha che indica la sapienza divina,
principessa e maga, nipote della maga Circe e di Elio o di Apollo,
secondo altre fonti, e figlia di Eeta
re della Colchide – attuale Georgia - è una guaritrice carismatica
e nelle sue origini antiche si leggono i tratti della libertà, della
forza scatenata e pura e della bellezza senza orpelli. E fintanto che
non incontra Giasone lei vive a diretto contatto con le forze della
natura e in uno stato di completa meraviglia. E’
la Meraviglia che dà origine alla filosofia: ce lo spiega Platone
nel Teeteto, termine
che indica la capacità di osservare il mondo, di percepirne la
potenza e di stupirsi. Per Medea
tutto era santo: lei
sapeva guardare, ascoltare, curare.
Giasone,
a prima vista ci appare un eroe
positivo e sfortunato per essere stato vittima di ingiustizie fin
dalla nascita. Il padre Esone,
re di Iolco in Tessaglia, era stato detronizzato dal fratellastro
Pelia
uccidendo tutti i suoi discendenti. Non sapeva però che Alcimede, la
moglie di Esone che aveva appena partorito il piccolo Giasone lo
aveva salvato facendo raggruppare le donne intorno al bambino e
facendole piangere per far credere che fosse nato morto. Per
allontanarlo da Pelia lo fa educare dal Centauro Chirone che era il
migliore, infatti era preposto all’educazione degli dèi e degli
eroi. Simbolicamente Chirone era la rappresentazione interiore della
ferita originaria ed era il guaritore di se stesso. Quando
Giasone, cresciuto, rivendica il suo diritto al trono lo zio gli
impone la condizione di portargli il vello d’oro che si trova nella
Colchide regione sconosciuta e selvaggia. Si reca nella Colchide dopo
essersi imbarcato con 50 eroi. Lì incontra e conosce Medea che
sviene appena lo vede perché Era aveva chiesto a Eros che la facesse
innamorare di Giasone. Così avviene e Medea, per amore, lo aiuta a
conquistare il vello e parte con lui, tradendo il padre, abbandonando
la famiglia e la sua terra. Giasone sposa Medea che riesce anche a
fargli conquistare il regno grazie a un incantesimo che fa morire
Pelia. Ma Giasone e Medea vengono banditi da Iolco e si rifugiano a
Corinto, dove vivono felici per 10 anni, fino a quando il re di
Corinto offre la propria figlia Glauce in sposa a Giasone che, a
insaputa di Medea da cui aveva avuto due figli, accetta . Da questo
momento comincia la tragedia di
Euripide. Medea esordisce nella
tragedia con un urlo
animalesco perché la sua vita comprende tutto ciò che oltrepassa la
logica. Questo atteggiamento ce lo spiega meglio Pier Paolo Pasolini
nella sua trasformazione contemporanea del mito e fa dire a Chirone ,
l’uomo cavallo che aveva educato Giasone “guardati alle spalle,
cosa vedi? Forse qualcosa di naturale? No: è un’apparizione quella
che tu vedi alle tue spalle…. In ogni punto in cui i tuoi occhi
guardano è nascosto un dio. E, se non c’è, ha lasciato i segni
della sua presenza sacra, o silenzio, o odore di erba o fresco di
acque dolci”. Quello del centauro è anche lo sguardo di Medea,
depositaria di un sapere antico che inizialmente aveva anche Giasone,
ma che aveva smarrito.
Il
sacro non è una statua, è l’erba è l’acqua, è
il cielo.
Medea
a questo punto non è più la donna della Colchide: ha perso il
rapporto con se stessa legandosi a un amore totalizzante che l’ha
indotta a intaccare una parte di sé, il rapporto con la natura.
Rimane comunque sempre una donna diversa dalle donne di Corinto che
invece sono un’appendice degli uomini. Euripide lo fa dire a Medea
che ha appena giurato vendetta al marito e alla sua nuova compagna.
“Fra
quante creature han senso e spirito/noi, donne siam di tutte le più
misere”
PERCHE’
·
prima di tutto
devono comprare un marito a un prezzo alto e quel marito sarà
padrone del loro corpo;
·
poi dovranno
imparare il modo per affrontarlo e se non avvertirà il peso del
matrimonio, vivranno bene, altrimenti sarà preferibile la morte.
Quando un uomo non sta bene con la moglie può cercare compagnia
altrove, ma lei deve avere occhi solo per lui.
A
loro verrà detto che sono libere perché non vanno a far la guerra,
ma sono protette. E Medea in un discorso dice: “Come sbagliano!
preferirei stare tre volte con uno scudo in battaglia, piuttosto che
partorire una volta sola. ” Con questo documento Medea
evidenzia le discriminazioni di quella società che si diceva
superiore. Lei della barbara Colchide era libera di esprimersi,
mentre a Corinto si sente ingabbiata. Rifiuta il ruolo deciso
dagli uomini per le donne. La donna tradita arriva perciò a dire:
“meglio la guerra che il parto” perché attraverso il tradimento
del marito, si accorge del tradimento fatto a se stessa. Ha
rinunciato a se stessa.
Poiché
mette in luce i lati oscuri degli uomini, Euripide alla sua Medea fa
recitare:
Perduta
io sono:
più
non ho gioia della vita, e voglio
morire,
amiche, quando l’uom che tutto,
lo
vedo or bene, era per me, lo sposo
mio,
s’è mostrato il più tristo degli uomini.
Nella
tragedia di Euripide Giasone è un personaggio cinico, si
sente superiore alla moglie perché ritiene la sua cultura più
avanzata di quella di lei barbara e primitiva; In effetti egli non ha
valori profondi, è preso dal desiderio di potere e la parola data
non ha alcun senso. Medea, al contrario riconosce se stessa e
scopre chi è veramente Giasone. Egli cerca di raggirarla e offre
soldi, le offre cura e persino perdono, ma più lui parla più Medea
diventa furiosa. Lei desiderava solo l’amore. Nei loro dialoghi
Giasone contrappone i valori, anzi i principi, di una società
avanzata a quelli divini e irrazionali della Colchide. - Il
rapporto tra Medea e Giasone – possiamo dire non è solo quello tra
un uomo e una donna tradita, ma il rapporto tra il mondo arcaico e
quello moderno, il conflitto tra due parti del femminile: una che
cerca il successo e l’altra che ha bisogno del contatto con la
natura, con la vita, con la meraviglia. Se come mette in luce Chirone
nel fim di Pasolini lei rappresenta la spiritualità e lui la
materialità, il rapporto non può essere recuperabile se Giasone non
cercherà di riconoscere il Giasone che ha dentro di sé, che ascolti
le emozioni e non prevarichi Medea.
Tornando
alla tragedia, Medea, nell’incontro con Giasone, si finge pentita e
si comporta come potrebbe piacere al re, ma intanto ordisce
l’uccisione di Glauce e di Creonte e non sa se salvare i figli o
ucciderli. Alla fine, li uccide. Leggendo in senso letterale, il
gesto è esecrabile, ma, simbolicamente, Medea non può permettere al
passato di interrompere il rapporto con la parte più profonda di sé.
Se lo farà si sentirà incompleta. È vero, Il passato è più
importante, più concreto del futuro, ma non le permette di
allontanarsi dal proprio Giasone interiore. Sente contemporaneamente
dentro di sé che ha sacrificato qualcosa, un desiderio di bambina
che ha seppellito e che torna a farsi sentire per essere esaudito. La
tentazione di rifiutarlo è forte, ma per ritornare a se stessa deve
uccidere il passato ed evitare che ricompaia il vecchio problema
senza nome di nome Giasone, che si riproporrà in un circolo vizioso
fino a quando non smetterà di piegare la testa e compiere un
sacrificio.
Quando
dopo l’uccisione dei figli Giasone torna a casa per piangere sui
loro corpi non trova nessuno.
Nell’ultima
scena della tragedia Medea appare sul carro alato del dio Sole,
suo nonno. Questo sta a indicare che non avrà alcuna punizione
dagli dèi, ma sarà aiutata a fuggire da Corinto. E’ tornata
padrona di se stessa con i propri poteri, salda alla propria
ascendenza divina.
“Le
tue mani non mi potranno più toccare “dice
a Giasone tornando alla propria sacralità. “Bene
il dolore, se serve a non farti beffe di me”
afferma Medea, che ha ucciso i suoi figli per rompere qualsiasi forma
di potere dell’uomo su se stessa.
---
Ero andata al Teatro di Siracusa con Delia Fabrizi, donna della
BDS, collega e amica, per assistere alla tragedia e non nascondo che
ci fece male la rabbia e l’indignazione del pubblico presente per
l’infanticidio commesso da Medea
---
Perché Medea ha ucciso i figli? Ce lo chiediamo oggi con Maura
e Andrea.
Predirà
a Giasone quel che sta per accadere: lei seppellirà i suoi figli nel
tempio di Era perché nessun nemico possa oltraggiarli.
Sulla
loro morte ci sono state tramandate tre versioni diverse: 1 -
lapidati dai corinzi per i doni avvelenati a Glauce e Creonte;/ 2
– nel VI secolo A.C. Eumelo sostiene che Medea li abbia
uccisi per errore durante una cerimonia magica;/ 3 – solo da
Euripide emerge la consapevolezza omicida di Medea.
Poi
andrà a vivere con il re di Atene, Egeo. A Giasone dice: “Com’è
giusto per un malvagio, morirai di mala morte: ti piomberà sul capo
un rottame della nave Argo, e così vedrai l’amara fine delle mie
nozze”.
Giasone
morirà di morte mediocre, solo e privo di potere, mentre Medea è
tornata a se stessa; anzi secondo un mito di Apollonio si credeva che
i più amati dagli dei continuassero a vivere in un Paradiso. Lì
Medea continuerà a vivere con Achille, l’eroe greco che da Chirone
aveva ricevuto un nome dal doppio significato: “colui che porta
angoscia al nemico e colui che porta addosso il dolore della
guerra.
Medea
e Achille portatori di dolore in vita, felici insieme nei Campi
Elisi.
DAENERYS:
LA CONQUISTA DEL POTERE
Sesto
aspetto
Il
sesto aspetto del problema senza nome ci viene proposto dalla figura
di Daenerys della casa Targaryen che è una delle
personagge più riuscite della saga, e probabilmente della
letteratura mondiale. L’autore con la saga, che è diventata il
corrispettivo contemporaneo delle tragedie greche, invita a
riflettere sull’etica, sulla morale e sulle relazioni tra le
persone per capire cosa siamo diventati dopo millenni di presunta
civilizzazione. Se i miti sono stati il serbatoio di conoscenza
dell’antichità che ci hanno permesso di leggere il mondo
circostante in maniera adeguata, oggi la funzione catartica svolta
dal teatro è passata alle narrazioni seriali che stanno modificando
nel bene e nel male il nostro modo di stare al mondo. Il ruolo dei
romanzi oggi è quello di offrire narrazioni che possono essere
trasferite sullo schermo. La società che stiamo plasmando sarà
molto più vicina a Daenerys che a Rousseau e sarà ispirata dai
valori che queste saghe trasmettono. Tra i tanti sceneggiatori
commerciali troviamo per fortuna anche quelli che si misurano con la
filosofia e le questioni esistenziali. Daenerys vuole misurarsi con
il potere perché pensa che il potere sia la chiave per liberarsi
dal potere ed è l’obiettivo che vuole conseguire.
Appena, giovanissima, compare sullo schermo sembrerebbe una figura
positiva con lo sguardo trasognato e malinconico, ma non lo è:
compie moltissimi errori evidenziando gli aspetti oscuri di sé.
Riesce comunque a superare continue violenze e tradimenti, e a
sopravvivere alle ferite ricevute. Acquista la forza per conquistare
il proprio potere. Questo desiderio la porta a misurarsi con se
stessa per capire quello che una donna può cambiare nel mondo, del
mondo e di se stessa. Uno dei suoi nomi è Nata dalla Tempesta
perché la madre, stuprata dal re Aerys, l’ha partorita in una
notte di tempesta ed è subito morta. Nasce dalla tempesta e sono le
tempeste della vita a darle la forza di ribaltare le situazioni più
tragiche e uscirne rinnovate. Nel corso del tempo acquista sicurezza,
diventa adulta, manifesta ambizione. Prova fastidio per il modo in
cui gli altri contendenti al Trono di Spade usano il potere, ma non
possiede realmente un altro modo di praticarlo.
Bionda,
bella e dolce vive col fratello Viserys in esilio a Pontos, presso un
ricco mercante, in un palazzo bellissimo servita da principessa qual
è. Prima che venisse ucciso durante una ribellione, il padre era il
re dei sette regni. Una nuova tempesta sta per abbattersi su di lei:
ha appreso che il fratello l’ha appena venduta come sposa a Khal
Drogo, capo di una tribù di guerrieri, al fine di ottenere un
esercito per poter riconquistare il regno perduto. Danaerys non
vorrebbe sposare. Drogo, ma è costretta dal fratello contro il quale
non può fare niente. Quante donne si sono trovate in balia di
qualcuno disposto a tutto per inseguire i propri desideri? E vediamo
in questa situazione la condizione della donna come proprietà
dell’uomo. La fanciulla viene stuprata dopo il matrimonio, diverso
è il rapporto descritto magistralmente da Martin nel romanzo come
rapporto amoroso consensuale. Daenerys,
comunque rinasce: si fa curare le ferite da un’ancella e chiede di
essere iniziata all’arte dell’erotismo. Ritroviamo qui il valore
della relazione tra donne, dell’iniziazione femminile e il valore
della sapienza sessuale, oggi vissuta come tabù o come piacere
mentre è l’arte di perdersi e riscoprirsi, apprende l’arte
erotica, resta incinta e assiste imperterrita all’uccisione del
fratello. Ora è più forte che mai, strappata alla sua
spensieratezza si è trasformata velocemente. Anche la società di
oggi costringe le donne ad affrontare prove di maturità fin da
bambine. Le donne che non accettano i condizionamenti hanno tante
difficoltà a raggiungere posizioni di prestigio e non riusciranno ad
abbattere il soffitto di cristallo.
Apparentemente non ci sono ostacoli,
ma nella realtà lo scopo del soffitto è mantenere i posti di potere
per gli uomini che lo hanno sempre detenuto. Danaerys è convinta di
questo, ma non riesce a trovare una soluzione alternativa reale. Il
trono di spade rischia di veicolare
un’idea sbagliata di femminismo e un’idea di potere maschilista e
patriarcale. Non è sufficiente che una donna ce la faccia per
parlare di giustizia ristabilita o di
fine del patriarcato. Occorre
garantire in tutti i campi trattamenti equi e non far chiedere più a
una donna in età fertile, in un colloquio di lavoro se ha intenzione
di aver figli. Se in Italia non abbiamo tante donne al potere è
perché intorno a loro aleggia un alone di sfiducia e di paura che
toglie autorevolezza. Pensiamo a quanto abbia pesato il pregiudizio
su Nilde Iotti, prima presidente della Camera e compagna
di Togliatti: quando i colleghi la incrociavano per la strada
cambiavano direzione, e dicevano anche che si facesse scrivere i
discorsi da Togliatti.
A
Daenerys piace il potere perché il potere è la chiave per
liberare dal potere. Lo dice chiaramente quando confida i propri
piani futuri, elencando i nomi delle famiglie che si sono susseguite
al trono: «Lannister, Targaryen, Baratheon, Stark, Tyrell
sono come raggi di una ruota. Prima uno poi un altro e un altro
ancora. La ruota continua a girare schiacciando chi è sul terreno.
Non voglio fermare la ruota, voglio
distruggere la ruota». Daenerys, in sostanza,
è più lucida di tutti gli altri, ma non ha ancora la chiave per
cambiare il mondo in cui vive e distruggere la ruota rischia di
essere soltanto la premessa alla creazione di una nuova ruota, i cui
effetti saranno molto simili a quelli della precedente. Cosa fare,
allora. La via d’uscita è immaginare un nuovo modello sociale:
cambiare i rapporti tra tutti i suoi membri facendo attenzione ai
gesti quotidiani, al linguaggio; tutto questo però non avviene
automaticamente, come pensa Daenerys. La sfida di oggi è immaginare
un potere comunitario, equo, paritario, una collaborazione tra forze
diverse. Potrebbe essere un modello costruttivo, che non è meno
solido. Meno solido è solo il pregiudizio.
Occorre
ripensare cosa sia il potere.
Nel
corso del tempo, Daenerys si trova più volte a offrire la libertà a
schiavi che non sapranno gestirla, o che preferiranno una schiavitù
sicura all’incertezza. Libera gli oppressi, che si trasformeranno
dopo poco in oppressori. Il sogno di Daenerys si scontra
inesorabilmente con i limiti dell’essere umano, con le radici
difficili da scalfire del patriarcato, del sessismo, della violenza.
Della stupidità. E lei stessa è violenta, durissima,
vendicativa. Opta quasi sempre per la punizione e non per
l’educazione, per la soluzione istintiva più che per la
comprensione: «Vi offro una scelta: inginocchiatevi e seguitemi,
oppure rifiutatevi e morirete» dice ai Lord dell’armata
dei Lannister appena sconfitti, convinta di mostrarsi in questo modo
migliore dei suoi predecessori. In nome dell’ideale è sempre
pronta a uccidere migliaia di colpevoli, con una giustizia spesso
sommaria e violenta. Fra i nomi di Danaerys c’è anche quello
di distruttrice delle catene, eppure non
ha gli strumenti per capire cosa fare, una volta che quelle catene
sono state spezzate.
Daenerys
ricorda che si può anche diventare un riferimento carismatico ed
esemplare da seguire, perfezionando se stesse e superando i propri
limiti, ma che questo non è sufficiente a cambiare la
società in cui si vive. È tanto, ma non è tutto. . Nel
mito della caverna, Platone mostra un individuo che, dopo essere
stato condotto a vedere il sole, torna nel luogo in cui era sempre
vissuto in catene, costretto a guardare insieme ad altri prigionieri
un carosello di ombre riflesse sul muro per tutta la vita. Questo è
il destino che tocca a Daenerys: subire quotidianamente tentativi di
assassinio, insurrezioni popolari e rivolte dettate tanto dal
fastidio dei padroni spodestati quanto dall’incapacità dei
liberati di riorganizzarsi. Sa di più, ha valori più sani,
è più umana. Ma questo non basta a far di
lei una buona governante, pur essendo un’ottima liberatrice.
MORGANA:
IL CONFLITTO CON IL MONDO
Settimo
aspetto
Per
riflettere su questo aspetto del problema senza nome è interessante
è la rilettura del personaggio di Morgana, che si rifà al mito
originario, raccontato da Marina
Zimmer Bradley
nella sua opera “le
nebbie di Avalon.
(Nella storia di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda le
donne hanno un ruolo marginale e sono sempre viste come cattive e
gelose) Morgana viene condotta sull’isola di Avalon dalla zia
Viviana,
la Dama del Lago
– somma sacerdotessa del culto di una DEA
ancestrale. È dotata della “Vista” cioè della capacità di
indagare il futuro, e compie con lei il suo apprendistato, per
diventare anch’ella sacerdotessa. I culti e le cerimonie praticati
in onore di questa dea sono sempre collegati ai cicli della natura e
della fisiologia femminile e servono anche da protezione per il suo
popolo che viveva in pace e in rapporto con la natura. Morgana era
sorella di Artù, che
viene affidato a Merlino, il quale nel corso del suo regno sarà
combattuto tra la fedeltà alle tradizioni e l’obbedienza verso i
sacerdoti cristiani, Morgana rimane fedele al culto pagano, e si
batte per affermare ciò in cui crede. Il dono della vista le
permette infatti di presagire il crollo della società in cui vive,
ed è cosciente del fatto che difficilmente riuscirà ad imprimere
agli eventi un altro corso. Traslando Morgana nella
nostra realtà di oggi potremmo dire che ha molto in comune con le
persone idealiste, che credono fermamente nell’inalienabilità di
alcuni diritti e combattono per mantenerli, cozzando con una società
che persegue fini diversi, dominati dal potere e dalla ricchezza.
Ma…come può Morgana portare il suo contributo positivo nella
società attuale? Ricominciando a mettere in circolo idee che per lei
sono scontate e raccontarle con parole nuove, mostrando
un’alternativa: creare nuove pratiche e mostrare come sia possibile
convivere, includendo etnie e credenze diverse, ma condividendo una
premessa fondamentale: il
rispetto dei diritti di tutti.
Questa comprensione l’ha portata a considerare la Giustizia come
valore supremo e a non riuscire a sopportare tutte le situazioni
ingiuste di cui è stata vittima o testimone.
Come
può agire in questa posizione? forse aspettando che poco alla volta
le sue idee vengano accolte e la società cambi. Esseri sicuri di
avere ragione non basta: occorre imparare
a dialogare con il mondo senza entrare in conflitto, anche quando la
situazione è esasperante, anche quando il baratro in cui sta cadendo
è profondissimo e chi ha gli occhi per vedere, la sensibilità per
accorgersene, viene preso dallo sconforto. E’ importante riflettere
sul conflitto che si manifesta tra Morgana e Ginevra, la moglie di
Artù. Le due donne, immagini di due culti differenti, vogliono
entrambe far prevalere il proprio punto di vista. Ginevra vuol far
abolire i culti pagani e soprattutto i fuochi di Beltane, che si
celebrano all’inizio di maggio per salutare la primavera e dare
l’addio all’inverno. Durante questa festa, chiamiamola così, si
è liberi di dar sfogo ai propri istinti sessuali. Per Ginevra è
difficile accettarlo, ma… lei è ossessionata da due aspetti della
propria vita che hanno proprio a che fare con il sesso: l’amore
segreto per Lancillotto e l’impossibilità di avere un figlio. Se
non dà spazio all’amore per Lancillotto per rispettare i doveri di
moglie e non segue il cuore e il corpo, come fece Elena, il dolore di
non riuscire a dare un erede ad Artù la rode come un tarlo. Tant’è
che Artù le chiede di passare la notte con Lancillotto, l’attrazione
è evidente, al fine di avere un erede. Ginevra cede dopo molte
resistenze, ma non rimane incinta. Lo scontro tra le due donne è lo
scontro di vivere la vita e la sessualità in modo diverso: da una
parte una libertà assoluta che diventa conflitto con il mondo,
dall’altra c’è un’autolimitazione che entra in conflitto con i
propri desideri. Se tra loro ci sono gelosie, invidie e
contrapposizioni estreme, dall’altra c’è il desiderio di essere
sorelle. Vorrebbero essere complici, ma ogni volta c’è qualcosa
che le separa. Entrambe hanno qualcosa da condividere e qualcosa di
ingombrante da cui separarsi.
“Essere
libera dall’ansia e dal controllo, seguire il cuore e non le
strategie potrebbe rendere il percorso più lento, ma se la donna
vuole fiorire deve avere relazioni autentiche ed essere in
connessione con la sua parte più profonda, con quella che è la sua
natura.”
DINA:
IL BISOGNO DI CONDIVISIONE
Ottavo
aspetto
L’ottavo
aspetto del problema senza nome è la narrazione della storia di Dina
donna della Bibbia. E’ figlia di Giacobbe, unica femmina nata dalle
sue quattro mogli, ma il suo nome compare molto poco nel libro della
Genesi e
solo in una vicenda tragica. E’ vero nella Bibbia le donne hanno un
ruolo comprimario nel senso che seguono i padri, i mariti,
partoriscono e crescono i figli, ma non hanno voce. Vengono spesso
dimenticate. Noi abbiamo la possibilità di ricordare Dina perché la
sua storia è stata rinarrata da Anita Diamant nel suo romanzo “La
tenda rossa” del 1997 (negli anni
80 /90 le storiche e le letterate riscrivono la storia delle donne da
un punto di vista diverso: il recupero di una tradizione femminile al
fine di creare genealogia femminile). Il romanzo, diventato una serie
televisiva, partendo da pochi versetti della Bibbia racconta una
storia inventata come se fosse vera… Giacobbe tenta di rubare al
fratello il diritto di primogenitura e ricevere la benedizione del
padre Abramo, ma viene scoperto ed è costretto a scappare e
rifugiarsi presso l’accampamento di uno zio. Lì conosce Rachele e
se ne innamora. In pochissimi anni migliora la sua posizione
economica quadruplicando il bestiame, prende quattro mogli ed ha
molti figli tutti maschi tranne Dina, che cresce con le madri e viene
iniziata ai segreti della tenda
rossa,
il
luogo dell’anima, il
luogo in cui le donne si riuniscono quando hanno il menarca,
all’inizio della luna nuova, e dove restano per tre giorni. Tutte
le donne hanno il ciclo negli stessi giorni in armonia con i cicli
della luna. Se Giacobbe allontana le donne perché sono impure, per
le donne rappresenta un momento sacro: possono essere se stesse,
senza l’obbligo di interpretare dei ruoli, senza impegni familiari
si sentono finalmente libere, si raccontano, cantano le proprie
canzoni e ridono. Qui si sentono unite da un filo rosso che le rende
tutte figlie della stessa madre e tutte sorelle. Dina cresce seguendo
questi riti durante i quali vengono adorate delle statuine di donne
che si tramandano di generazione in generazione. E mentre fuori gli
uomini adorano il Dio, nella tenda rossa si adora la DEA. Questo
equilibrio sarà infranto quando Dina ha il primo ciclo mestruale e
viene iniziata ai Misteri. La moglie del fratello Levi, accolta per
la prima volta nella tenda senza conoscere il culto, racconta tutto
al marito, che a sua volta riferisce al padre. Giacobbe entra nella
tenda e distrugge gli idoli. È finita la libertà delle donne.
Quando
Giacobbe si trasferisce nella città di Sichem ottiene dal re un
luogo dove poter costruire un accampamento e sistemarsi con la sua
numerosa famiglia. Qui Rachele inizia la sua attività di ostetrica,
la sua fama l’ha preceduta, e viene chiamata da tutte le donne,
Dina l’accompagna. Ha ereditato il dono della zia, le fa da
assistente e impara l’arte. Quando Rachele viene chiamata dal re
per assistere la sua concubina, Rachele, che l’accompagna si
innamora del principe col quale intreccia una relazione favorita da
tutti gli abitanti del castello. Quando il re porta a Giacobbe tante
ricchezze e lo informa che Dina ha sposato suo figlio Shalem.
Giacobbe s’infuria perché ritiene che avrebbe dovuto saperlo
prima, i fratelli invece, gelosi dei beni e delle ricchezze toccate a
Dina, uccidono il re e il principe. Dina distrutta dalla perdita del
marito e inorridita del comportamento dei fratelli va con la suocera
in Egitto dove partorisce il figlio, ma le viene proibito di dire al
bambino chi fosse suo padre. Dina è distrutta: ha perso le persone
che amava, è stata abbandonata dalle madri e vive in un paese
sconosciuto. Si rifiuta di fare la levatrice, non può rivelare al
bambino il nome del padre e cade in un grave stato di prostrazione.
Ha bisogno di condividere
Dina
ha aiutato tante donne a partorire, è stata vicina alla loro
sofferenza con le erbe, i movimenti e i canti. Per queste donne il
rischio di morte era forte. Oggi, è vero, grazie ai progressi della
medicina le condizioni di salute sono migliorate e si partorisce in
ospedale, ma quel tipo di vicinanza tra donne che tanta condivisione
ha creato, è scomparso. Io ho fatto questa esperienza di serenità
perché ho avuto Lilly e lei me. Il momento del travaglio oggi
viene vissuto in solitudine, ma si avrebbe bisogno del
conforto di sorelle. E’ questo tipo di sorellanza, di condivisione
che Dina mette in luce. Abbiamo perso i riti di passaggio. “La
fretta, il pudore, la vergogna, la paura sono diventate barriere che
ci impediscono di ritrovarci in cerchio con le nostre madri, le
nostre nonne, le nostre sorelle, le nostre figlie e raccontarci: non
una gerarchia, non un tribunale, ma un cerchio in cui ciascuna è
importante e non c’è una leader, ma tutte sono disposte a
raccontarsi e ad ascoltare. Così è accaduto tra le donne per
migliaia di anni finché qualcosa ha interrotto la catena al punto
che oggi una tale prospettiva sembra utopica. Forse ciò spiega anche
il successo di alcune serie televisive che rappresentano il desiderio
di quasi tutte le donne di far parte di un gruppo di sorelle che non
sono in competizione, ma che hanno fiducia una nell’altra.”
Insieme
al parto anche la menopausa e la vecchiaia nella vita di una donna
rappresentano un tabù, qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi:
questo significa legare il fascino e l’energia femminile solo alla
sterilità? significa privarsi di incontri e possibilità
straordinarie?
Dina
inizia la sua fioritura nel momento in cui ha ripreso ad assistere, a
Tebe, le donne nel travaglio. Qui incontra una ragazza conosciuta da
bambina e che le racconta la sua storia. Anche Dina comincia a
raccontare e, mentre parla, piange e ricorda i suoi uomini e le sue
madri. Accade di pensare che la vita sia finita perché ci sono stati
degli eventi talmente forti da spezzarla, ma può accadere che si
abbia paura di un nuovo inizio? Ciò che permette di superare il
trauma è la condivisione con qualcuna/o che possa ascoltare e
comprendere.
Come
riuscire a trovare la propria strada
per rifiorire?
Mettersi in connessione con se stesse e ripercorrere
la propria vita per
individuare ciò che ha provocato il proprio dolore.
Alla
fine delle 8 storie uno spiraglio di positività ci viene offerto da
“il complesso di Filippo”, riferito al principe Filippo,
nella storia raccontata dal film Maleficent) significativo degli
aspetti del problema, che non bisogna banalizzare, perché lascia
intravedere, gli effetti nefasti che il patriarcato ha
prodotto sugli uomini e sull’immagine che la società cuce loro
addosso. E su questo punto si gioca il prossimo passo per il
miglioramento della vita di tutti/e: la capacità degli uomini di
occuparsi delle conseguenze della società patriarcale.
Oggi
Filippo sono quei ragazzi e quegli uomini che, pur riconoscendo il
peso del patriarcato, non sanno ancora immaginare un nuovo modo di
essere uomini: capiscono bene quello che non vogliono essere, ma non
sanno ancora come diventare.
Soverato,
19 marzo 2021
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