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RESPIRANDO…IO STO A CASA

di MARIA  PROCOPIO



È strano, a volte quasi irreale, questo tempo sospeso. Cessato d’un colpo il flusso continuo tra il dentro e il fuori, l’andare e venire, il transitare ed il sostare secondo i propri desideri o le proprie necessità, senza percezione di limiti o pericolo in questo movimento. Oggi guardo il mondo, e il rapporto tra il dentro e il fuori, separata da un cancello. È un confine materiale ma anche simbolico. Un confine, il cui attraversamento sino a un mese fa era cosa scontata, senza necessità alcuna di essere valutata o considerata, oggi sembra rappresentare una linea che divide il mondo in due: da una parte lo spazio personale, vitale, con noi al centro da proteggere o da difendere, dall’altra il mondo esterno pieno di pericoli, di minacce alla nostra vita. È così, mi pare, in maniera semplificata la percezione del mondo ai tempi del coronavirus. E la cosa più incredibile è che la minaccia viene da noi stessi, dalla prossimità dei corpi che, pertanto, devono essere tenuti isolati, distanti, soprattutto non raggiungibili dal respiro.

E così, in questo spazio sospeso, c’è tutto il tutto il tempo perché pensieri ed emozioni si formino, si incontrino e si confrontino anche con le contraddizioni, che possono essere feconde se non intese come contrapposizioni. Guardando al di là del cancello una strada solitamente poco trafficata ed ora assolutamente deserta, ma con la fortuna di avere una veranda assolata, un piccolo giardino e un orto, nascono in me alcune riflessioni. Mi appaiono in gioco alcuni aspetti che a me sembrano essenziali: l’importanza della relazione e l’importanza del respiro, che sono tra loro strettamente interconnessi. Innanzitutto, la relazione con se stessi, la capacità di sostare in sé e presso di sé, di accogliersi anche con tutte le proprie paure e di avere cura di sé con tutte le proprie fragilità. Per quello che mi riguarda, in questo rapporto con me stessa mi è di grande aiuto la consapevolezza del e nel respiro attraverso la pratica della meditazione e dello yoga. È il respiro che rappresenta la vita, che mette in comunicazione il dentro e il fuori di me, in uno scambio continuo in cui si prende e si dà e questa è la vita.

Trovo nelle parole di Etty Hillesum, dal suo Diario, uno dei più significativi modi di raccontare questa capacità di essere in contatto con se stessi, di dimorare in sé, nel proprio mondo interiore:  “E oggi voglio ritirarmi a riposare nel mio silenzio, nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedo ospitalità per un giorno intero” (1).

Così come, a proposito del respiro, mi piace riportare le parole della filosofa e femminista Luce Irigaray, contenute in una intervista della giornalista Maria Grosso, pubblicata su l’Espresso del 5 gennaio 2020, dal titolo “Il potere del respiro”, in cui afferma: “è il respiro che ci permette di confrontarci con gravi pericoli e con la crisi. Sarebbe utile imparare a coltivarlo per affrontare prove come la perdita dei genitori, l’esilio, la malattia, e per avere cura della vita nelle situazioni limite tra la vita e la morte”.

 Ed è questa capacità di essere in relazione con se stessi, col proprio respiro, il fondamento della relazione con gli altri e le altre. Una relazione che, nella sua più piena espressione, non può fare a meno della prossimità dei corpi. È nella vicinanza fisica, è nella corporeità che prendono consistenza pensieri ed emozioni, che si attivano flussi, scambi, travasi, che mettono in gioco la nostra permeabilità, fisica e mentale, alla “contaminazione” reciproca nel rapporto con l’altro/a.  Sto facendo esperienza in questi giorni della differenza tra relazione virtuale, riconoscendo ed essendo grata per tutte le possibilità di comunicazione che la tecnologia per fortuna ci consente, e relazione “in presenza”, di cui avverto tanto la mancanza.

Ma se il respiro e la relazione sono questo, e tanto altro ancora, la diffusione del virus ci ha posto e continua a porci di fronte ad una enorme contraddizione: il respiro che è la vita/il respiro che può portare pericolo e minaccia di morte; la relazione che è fonte di vita/la relazione che può portare malattia a morte. Possiamo leggere l’effetto del coronavirus in senso reale e metaforico: colpisce il respiro, colpisce l’autonomia e la libertà, attacca le relazioni.

E’ una dicotomia dura da affrontare e da pensare, ma può essere un’occasione di rinnovamento e di rinascita se non ci limitiamo ad aspettare soltanto la panacea di un vaccino, immaginando così di poter riprendere tutto come prima.

In realtà la posta in gioco è molto più alta, perché respirare ed essere in relazione con noi stessi e col mondo, in un rapporto di vita e non di morte, significa ripensare i nostri rapporti con la Natura, con la Terra, per fare in modo che il respiro del mondo comprenda e sia in sintonia con la bellezza del nostro universo.

Intanto, in questi giorni difficili, mi sono ancora di conforto le parole di Etty Hillesum, che, è vero, si riferiscono ad una immane tragedia, quale quella della Shoah, non assolutamente paragonabile a ciò che stiamo vivendo noi oggi. Ma le parole, una volta che vedono la luce, possono essere significanti di altre esperienze e vivificarle proprio per il senso ed il luogo da cui provengono:

 “Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto. …. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. (2)

 

 

(1)   (Diario 1941-1943, Adelphi Edizioni, pag. 148)

(2)   (Diario 1941-1943, Adelphi Edizioni, pag 126/127)

 
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