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La
voce delle donne
Il
flashmob #datecivoce e l'autorevolezza delle donne che c'è e non
viene ascoltata
di
Monica
Lanfranco
Lunedi,
04/05/2020 - Conosco e stimo molte delle donne che hanno dato vita, e
partecipato, al flashmob virtuale con l’hastag #datecivoce per
rendere visibile l’assoluta e ingiusta invisibilità, femminile
(quindi una svalorizzazione sessista lampante), nei luoghi dove si
prendono decisioni in Italia in questa fase di emergenza. Non
è un tema nuovo: non da ora, purtroppo, e senza rinvangarel’intera
storia del mondo, almeno tre generazioni di attiviste femministe dal
dopoguerra hanno alzato la voce nello spazio pubblico per dire che
l’iniquità della rappresentanza dei due generi nei luoghi della
presa di decisione non solo è, appunto, iniqua e ingiusta, ma anche
pericolosa, perché sottrae competenze e saperi che possono, se
presenti e visibili, cambiare nettamente il corso della realtà e la
vita delle persone. Eppure si stenta. Si stenta a far passare
concetti semplici, come quello della imprescindibile necessità,
costituzionale per giunta, di praticare giustiziae uguaglianza tra
uomini e donne, rendendo palese quanto scritto nella suprema
dichiarazione dei diritti e dei doveri nata dopo il fascismo. Si
stenta anche quando si vuole far bene. Nella emozionante trasmissione
tv del concerto dello scorso primo maggio il tema dell’assenza
delle donne nel comitato degli esperti è dovuto passare attraverso
lo stucchevole e (apparentemente) leggero discorso sulla ricrescita
dei capelli nelle chiome femminili. Vanitose e bugiarde, le donne:
dicono che non hanno i capelli bianchi, che non si tingono e poi la
pandemia le smaschera. Ma non c’è pace nemmeno per quelle che non
si curano del trucco e parrucco: alla collega Giovanna Botteri è
stato rimproverato, fino agli insulti, di andare in tv con il capello
nature, con una mise casual e senza rossetto. Su twitter, in
solidarietà con Botteri, è spuntato questo cartello: “Chissà se
un uomo, trasformato in donna per 48 re, riuscirebbe a sopravvivere”.
Già. Ancora e ancora la discussione parte, e resta, dall’aspetto
fisico, a prescindere da ciò che una donna, e le donne in generale,
hanno da dire e dal loro valore. Nella diretta del primo maggio sullo
schermo ci sono Michela Marzano e Carla Signoris, l’una docente e
filosofa l’altra attrice comica impegnata, interpellate sulla
assenza di esperte e sul carattere monosessuato della cabina di
comando. Ma, come detto, molto del discorso verte sulla
ricrescita. Per discutere di razzismo, giusto un esempio, la
scelta sarebbe stata analoga? Tipo Massimo Cacciari e Maurizio
Crozza? Senza nulla togliere alla forza dirompente della comicità
mi chiedo cosa stia dietro quella scelta: ho ripercorso le
raccomandazioni che nei decenni mi sono state rivolte quando ho
preparato trasmissioni radio, tv o inchieste e articoli che
toccassero il tema della rappresentanza, del potere e del pervicace
gender gap.Costantemente il messaggio è stato, con sfumature
diverse, uno solo: occhio a non essere rivendicativa, aggressiva,
massimalista, imperativa. Aggiungi leggerezza, colore, femminilità.
Attenzione: mi è stato chiesto non solo in luoghi maistream, come
per esempio la Rai, ma anche in giornali e media di sinistra. Nel
sottotraccia di questa consuetudine ci sono molte delle barriere
patriarcali che abbiamo imparato a riconoscere con molta fatica, dopo
un lungo lavoro di scavo e ricerca dentro noi stesse, proprio perché
interiorizzate e diventate carne e pensiero anche, e soprattutto,
nostro: tuo fratello non deve sparecchiare, tu sì perché sei
femmina; se lui esce con diverse ragazze è figo, tu sei una poco di
buono; lui non viene criticato per i suoi vestiti, tu sì; a lui non
viene ripetuto che deve fare attenzione perché ‘le donne pensano
solo al sesso’; a lui non hanno mai detto che per sposarsi deve
essere vergine fino al matrimonio, a te sì; a lui non viene detto
che ‘L’uomo deve valorizzarsi’ o ‘Fatti rispettare’. Il suo
sesso ottiene rispetto da sé, ma il tuo no. Se un uomo è promosso
ad un livello più alto nessuno sparlerebbe dicendo che probabilmente
è andato a letto con il capo, le persone riconoscerebbero il suo
merito, ma se sei donna devi mettere l’ombra sulla tua sessualità
nel conto. Se lui viaggia per lavoro e lascia i figli o figlie con la
madre nessuno gli darebbe dell’irresponsabile, se sei donna devi
aspettarti molte alzate di sopracciglia; quando lui dice ‘No’
nessuno pensa che in fondo sia Sì. No è no, ma non se sei una
donna. Si potrebbero fare decine di altri esempi, tutti quanti legati
al fatto che appartenere al sesso femminile prevede culturalmente che
si debba chiedere una sorta di permesso e di autorizzazione a fare o
dire le stesse cose che sono invece naturalmente e culturalmente
permesse agli uomini. Con i suoi 96 anni di esperienza umana
e politica la decana del femminismo italiano Lidia Menapace racconta
nel documentario Ci
dichiariamo nipoti politici che
i suoi stessi compagni della Resistenza, al momento di sanare la
ferita del suffragio negato per le donne, affermavano che ‘glielo
avrebbero dato’, il voto alle donne: questa risposta, fa notare la
Menapace, presuppone che gli uomini abbiano qualcosa da elargire,
come generoso regalo, alle donne. #datecivoce mi
pare inciampi sulla lunghezza d’onda di questo paradigma
patriarcale tutto da smantellare, ed è un peccato: le donne la voce
ce l’hanno, sono autorevoli, colte, preparate e competenti spesso
più di molti uomini che ci hanno governato. Sono le
orecchie degli uomini al potere ad essere sigillate sulla loro
frequenza. Sono gli uomini al potere che devono fare un
passo a lato, e qualche volta anche indietro, per lasciare il governo
alle donne, non perché donne e basta, ma perché in milioni stanno
dimostrando, senza clamore, nella vita quotidiana, sociale e
professionale di essere indispensabili, in molti paesi del mondo
anche più competenti ed efficaci degli uomini nella gestione della
pandemia nella cabina di comando. La politica maschile in
Italia deve aprire occhi e orecchie, subito, e vedere quanto, nel
dopo quarantena, l’esperienza e la visione delle donne sia
fondativa per costruire una società giusta, equa, solidale e
empatica.
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