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Biblioteca delle Donne Soverato - Cineforum 2016

Sister

 

A cura di Alessandra Merola

 

TITOLO ORIGINALE:

L’enfant d’en haut

USCITA CINEMA: 11/5/2012

LINGUA ORIGINALE: francese

PAESE DI PRODUZIONE: Francia-Svizzera

GENERE: Drammatico

REGIA: Ursula Meier

SCENEGGIATURA:  Antoine Jaccoud, Ursula Meier, Gilles Taurand

FOTOGRAFIA: Agnès Godard

Interpreti e personaggi:

·      Lèa Seydoux : sorella/madre

·      Kacey Mottet Klein: Simon

·      Gillian Anderson: Turista

·      Martin Compston: Mike

·      Jean François Stévenin: Chef

 MUSICHE: John Parish

MONTAGGIO: Nelly Quettier

TEMATICHE: famiglia, condizione femminile

DURATA: 100 minuti

FORMATO: colore

TRAMA

Il dodicenne Simon e sua sorella Louise vivono in Svizzera nelle case popolari del cantone Vallese, sulle Alpi. Simon mantiene entrambi rubando l'attrezzatura sportiva ai ricchi sciatori in vacanza per poi rivenderla.

Simon sembra così riuscire a legare a sé la sorella inaffidabile e sempre pronta a trascurarlo per l'uomo di turno, ma proprio davanti a uno di questi il bambino farà la rivelazione capace di sconvolgere ulteriormente il debole equilibrio familiare e di spezzare la trama del film in due. Si scopre infatti che Louise è in realtà la madre del ragazzino e che tutta la sua insofferenza nell'essere madre non viene celata a Simon, costretto ad accontentarsi di un amore fraterno da parte di una mamma che si fa chiamare "sister".

Tuttavia nella solitudine più disperata di questa valle, Simon e Louise, pur faticando a trovare un punto di contatto, non possono fare a meno uno dell'altra, come è evidente dallo sguardo che i due, cercandosi, si scambiano dalle cabine della funivia che vanno in direzioni opposte nella scena finale.

LA REGISTA

Ursula Meier

 

Sister è un film del 2012 diretto da Ursula Meier, una regista e sceneggiatrice svizzera, francofona  nata nel 1971 . Ursula Meier dopo vari corti e documentari  ha realizzato prima di Sister  Home - Casa dolce casa? nel 2008, che presentato durante la settimana internazionale della critica al Festival di Cannes nel  2008 ha ricevuto  la candidatura ai Premi César 2009 nella categoria migliore opera prima

RECENSIONE

In un caseggiato popolare ai piedi di un’importante stazione sciistica, in Svizzera, vivono un ragazzo dodicenne e la sorella: la loro condizione economica non è buona e il ragazzino, un tipetto dall’aria sveglia, ma dall’espressione sempre seria e triste, si arrangia con piccoli furti. Si aggira come un ladro provetto tra turisti distratti e inconsapevoli, rubando dagli zainetti dei piccoli vacanzieri tutto ciò che è commestibile; inoltre si impadronisce appena può delle attrezzature da sci e di capi di abbigliamento sportivo ( occhiali da sole, caschi, guanti) per poi rivenderli e ricavarne il denaro che serve alla  piccola famigliola. Il film si presenta come un approccio asciutto, essenziale e realistico alla vita di quegli emarginati che vivono di espedienti o talvolta anche di assistenza sociale, pure nelle opulente società dell’Europa più ricca. I protagonisti , bravissimi, riescono a sconcertarci, nonostante una certa  prevedibilità della situazione: sono personaggi che sembrano persone in carne ed ossa,  spesso spiacevoli, diversi da come piacerebbe che fossero. La sorella è bella, di una bellezza forse esagerata rispetto al suo  ruolo di  balorda,  ma inetta a vivere, tant’è vero che il ragazzino ha pensato bene di rimboccarsi le maniche e darsi da fare come può; Sister ( così la chiama il fratello minore) perde continuamente i modesti lavori che riesce a procacciarsi, spende più di quel che guadagna e all’occasione non disdegna di bere anche esageratamente; cerca un fidanzato che le conferisca uno status sociale migliore, vuole compiacere a tutti i costi gli uomini che le si avvicinano, e il fatto che nonostante sia splendida non riesca ad avere una stabilità sentimentale ci fa intuire la sua fragilità psicologica e qualche  mancanza sul piano umano: sembra emergere soprattutto la ossessiva ricerca di un uomo , la pigrizia, la mancanza di tenerezza e sollecitudine nei confronto del fratello, tanto più piccolo  di lei  .  Il giovanissimo protagonista colpisce per quella  attenzione al denaro (d’altronde conquistato con fatica), che conta e riconta, che si capisce dovrebbe in qualche misura colmare un  abisso di solitudine, troppo grande per un bambino: è abile e attento, quasi un adulto quando svolge quello che per lui è un “lavoro”, cioè la realizzazione di furti che gli consentiranno- come dice in una scena del film - di acquistare “carta igienica, pasta, pane”. La regia presenta la vicenda in modo oggettivo, distaccato quasi: viene seguito con insistenza Simon che sale con la sciovia a mani vuote e fa ritorno carico di oggetti che trasporta a fatica sino a casa con uno slittino , che viene trainato  attraverso desolate zone  semi urbane  colme di fango fino al  caseggiato popolare , che si erge come un fungo in mezzo al nulla, metafora di una condizione esistenziale fatta di solitudine. Ed è proprio la solitudine che spinge Simon ad avvicinare una turista , madre premurosa e sollecita nei confronti dei suoi due bambini, mentre pranza: difficile per lo spettatore, anche il più disattento, non pensare che anche Simon avrebbe il diritto di essere coccolato da una madre affettuosa . Ma il ragazzino  in realtà non è orfano e la verità viene a galla durante una sequenza drammatica  e sconcertante  : “Non sono suo fratello- dice il bambino, seduto sul sedile posteriore dell’auto dell’ennesimo fidanzato di Sister - sono suo figlio”. Il suo è un sommesso grido di dolore, che però non impietosisce l’uomo che si accompagna a sua madre. Madre e figlio vengono fatti scendere dall’automobile immediatamente e scaricati in malo modo in un tratto deserto di autostrada, mentre la donna piangendo cerca  inutilmente di giustificarsi  e di impedire l’abbandono. Sola è la madre e solo è il figlio: due solitudini che non riescono ad abbracciarsi e a trarre conforto l’una dall’altra: anzi, la madre urla al bambino che lei non lo voleva, che l’ha fatto nascere per dispetto, perché nessuno, proprio nessuno, voleva che lui nascesse…

Si intuisce ora il dramma di lei, ragazza diventata  madre troppo giovane, probabilmente in rotta con una famiglia incapace di comprendere ed accogliere, alle prese con una maternità non desiderata, senza un adeguato sostegno economico e psicologico. S’intuiscono  la sua immaturità e la sua sofferenza di donna sola, incapace di assumersi responsabilità. I due, dopo lo scontro che ha messo a nudo la verità, faticosamente  tentano di uscire dalla miseria morale ed economica. La donna sembra avere un’evoluzione, una crescita interiore,  che la conduce a cercare una soluzione: comincia a lavorare come cameriera e finalmente porta con sé il ragazzo. Ma dopo il furto di un orologio , Simon viene aspramente rimproverato dalla madre  e fugge sulla montagna: alla stazione sciistica, finita la stagione turistica, tutti stanno andando via. Nel vuoto e nella solitudine della sua condizione esistenziale, Simon, il piccolo ladro che non versa mai una lacrima, nemmeno quando viene sorpreso a rubare e malmenato, ha finalmente una crisi di sconforto. Intanto è sopraggiunta la notte e il bambino scoppia in un pianto  liberatorio che esprime tutto il suo  dolore e la sua angoscia. Alle prime luci del giorno è pronto per scendere a valle. Ma ecco che, mentre la cabina su cui si trova scivola verso il basso, nella direzione opposta sta salendo la madre, che preoccupata per lui, lo sta cercando: lei lo guarda intensamente, mentre    le palme delle  mani  sono aperte sul vetro della cabina che scorre verso l’alto …

Il film è una denuncia delle disuguaglianze sociali che persistono dolorosamente anche nei cosiddetti Paesi sviluppati, ma anche un film che quasi sommessamente all’inizio, poi gradualmente con sempre maggiore drammaticità, racconta l’evoluzione interiore di una madre- bambina senza  “vocazione” e  denuncia lo stigma sociale, le difficoltà economiche , la solitudine e i  pregiudizi  a cui sono soggette ancora oggi le donne che in qualche modo sono “fuori dalle righe”.  Pian piano Louise  acquista consapevolezza del suo ruolo materno, sollecitata da una straordinaria figura di ragazzino duro e tenero al tempo stesso, che ha sì imparato a cavarsela da solo, ma che per vivere ha bisogno che la madre lo “riconosca”. La macchina da presa è impietosa, il racconto non indulge mai al patetico,  ma forse per questo la denuncia è più efficace .

 

 
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