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Liceo Scientifico Lamezia Terme
Liceo scientifico “Galileo
Galilei “
Lametia Terme 8 marzo 2004
LO SPECIFICO DEL FEMMINILE
NELLA SCRITTURA
Marisa Rotiroti
Sono Marisa Rotiroti Coordinatrice
della BDS e ringrazio la Preside e La Prof Marisa Bruno, referente
alle pari Opportunità per aver pensato a me.
La BDS è nata a Soverato dal
desiderio di un gruppo di donne di due associazioni Kore e Fidapa e
finanziata dal P.D.
Ringrazio Rosa Tavella, vostra
concittadina
Che cos'è la BDS? Un luogo in cui
ci si mette continuamente in gioco per elaborare pensiero, pratiche a
partire da sé, dalla propria esperienza.
Finalità BDS:
Valorizzazione della soggettività
femminile (Dir. CEE del '91)
Formazione a una cultura della
differenza di genere (Dirett. Presidente del Consiglio 7 marzo 1997
relativa all'attuazione del "Programma di Azione"
sottoscritto a Pechino nel 1995) - diverso sguardo- sessuato - con
cui vengono esaminati problemi di carattere generale (Es. Guerra..):
storia, religione filosofia, letteratura. Sguardo diverso perché
diversa è l'esperienza e diverso il vissuto.
Diffusione dei saperi delle donne.
I libri scritti dalle donne (che si raccontano, si dicono e non sono
dette né raccontate) presenti in Biblioteca e i film di registe
offrono appunto la messa in circolo di un sapere diverso.
L'argomento di cui parleremo è
"Lo specifico del
femminile
nella scrittura"
Mi è piaciuto che sia stato usato
il termine del
femminile,
parola - sostantivo che è uno strumento interpretativo necessario a
comprendere i vari ambiti del sapere e necessario a descrivere le
modificazioni che intervengono nella costruzione di un'identità di
genere prima, nel nostro caso femminile, e di una soggettività
poi……una messa in gioco del femminile come modalità di lettura e
di scrittura.
A questo punto mi pare doveroso
fare una brevissima riflessione sul linguaggio…perché anche nel
linguaggio è simbolizzata la differenza. In che modo? Mediante la
categoria linguistica del genere grammaticale.
Il maschile e il femminile, in
quanto termini opposti che articolano la categoria della differenza
non occupano la stessa posizione.
La relazione che li lega è quella
della derivazione, in cui uno di essi, il femminile, è ricavato
dall'altro, quindi è negato.
Il maschile, così, si trova a
ricoprire contemporaneamente la doppia posizione di termine specifico
per uno dei due sessi e di termine generico, che sta per
l'universalità del genere umano.
Uomini e donne, perciò, non sono
ugualmente posizionati nei confronti del linguaggio: perché la
differenza non è simbolizzata alla "pari", cioè in modo
conforme alle specifiche differenze, ma è già iscritta secondo la
doppia articolazione di soggetto e oggetto, di termine primo e di suo
derivato.
Le donne quindi si trovano così
prese in una situazione paradossale: porsi come soggetti parlanti in
un linguaggio che le ha costruite come oggetti.
E, per accedere alla posizione di
soggetti, le donne devono identificarsi con la forma dell'universale
che è quella del maschile e quindi negare la specificità del loro
genere, rimuovendo la differenza.
Quindi, la parola sia scritta che
parlata dà forma alla nostra esperienza del reale, rendendone
possibile la nominazione. Non mi dilungo oltre perché questo
discorso ci porterebbe lontano.
Il dibattito sul linguaggio è
iniziato nei primi anni '80 e vi rimando, se volete approfondire
questo aspetto al saggio di Patrizia Violi "L'infinito
singolare" Ed. Essedue
La scrittura della donna, quindi,
va intesa:
come spazio di creazione
soggettiva,
come luogo in cui s'intrecciano
"fili
emotivi e di sapienza", - una
"faticosa
tela" -
come nota Francesca Righetti nel suo bel saggio "Fili da ricamo
e fili del pensiero",
come strumento col quale si
acquisisce il diritto
alla consapevolezza (Simone
De Beauvoir) di sé e ci
si autorizza ad ascoltare la propria voce interiore e
a conquistare la signoria
della propria vita, delle scelte della propria vita! …..a
conquistare….. la Libertà!….
E…..Libertà….
è…..
per chi scrive e per chi legge!…..
Sibilla Aleramo nel suo romanzo
"Una Donna" del 1906 dice " trovai in un libro una
causa di salvezza"; e definisce la sua scrittura
"un viaggio audace all'interno di sé";
Clara Sereni in "Donna, Scrittura e Politica" nel 1996
conferma che per lei scrivere "è mettere ordine nel proprio
mondo, è mettere a fuoco la realtà attraverso percorsi che non sono
praticabili con nessun altro strumento.
Tessere la faticosa tela
intrecciando fili emotivi e di sapienza
Negli anni '70 le donne hanno
lottato per conquistare l'emancipazione, per liberarsi dai legacci
della tradizione che la vuole figlia di…, moglie di… e madre, e
l'abbiamo conquistata; abbiamo studiato, siamo entrate in modo
massiccio nel mondo del lavoro e abbiamo lavorato il doppio, il
triplo di quanto abbiano fatto le nostre madri.
Ad un certo punto della nostra
vita, però, ci siamo fermate a riflettere su di noi, sul nostro
corpo di donne, corpo sessuato, per capire chi siamo veramente;
perché avvertivamo la scissione tra il nostro corpo e la nostra
mente, tra quello che eravamo e quello che volevamo essere: libere di
essere noi stesse con la nostra singolarità e specificità. Non è
stato facile, e siamo andate alla ricerca delle nostre madri
simboliche, madri antiche e madri vicine al nostro tempo per
costruire una genealogia, una tradizione altra …..alla quale far
riferimento e queste madri le abbiamo scoperte attraverso la lettura,
lo studio e la discussione, e la messa in gioco di noi stesse.
Per quanto mi riguarda, ho
cominciato ad approfondire la letteratura femminile alla fine degli
anni '80 quando riflettevo sulla scrittura femminile con un gruppo di
donne con le quali abbiamo fondato, qualche anno dopo la Biblioteca
delle donne.
Insegnavo allora al Liceo
Scientifico e, rileggendo la storia antica mi ero appassionata nella
ricerca di figure di donne significative per me e per la mia
identità. Ormai le mie figlie erano all'università ed io avvertivo
la necessità di riappropriarmi di me stessa e del mio tempo, di
riconsiderare il rapporto della mia vita col mio pensiero. Negli anni
precedenti avevo fatto tutto in fretta: laurea, concorsi, matrimonio,
figlie, affermazione nel mondo del lavoro, gestione della casa e
della famiglia.
Quando mi sono fermata a pensare ho
capito che avevo fatto tutto con amore e con entusiasmo, ma la vera
rivelazione era stata l'aver compreso che mi piaceva insegnare.
Perché? Che cosa significava
per me insegnare? Significava: parlare, comunicare emozioni,
sentimenti e competenze. (Ci riuscivo molto bene ed ero punto di
riferimento per le alunne e gli alunni).
Mi dava una bella sensazione di
leggerezza e di libertà!
Era solo una sensazione, la
sensazione che la parola soprattutto mi desse libertà. Però…avevo
bisogno di riscontri. Questi riscontri li ho trovati nella lettura di
alcuni testi scritti dalle donne…. donne storiche che avevano fatto
una ricerca accurata e documentata e che avevano riscritto la storia
con il loro sguardo di soggetti sessuati.
Vivendo in Calabria, terra magno -
greca ho iniziato a ricercare figure di donne significative nei testi
di Eva Cantarella, (L'ambiguo malanno) di Giulia Sissa (La verginità
in Grecia), di Nicole Loraux (Grecia al femminile), di Armanda
Guiducci (Perdute nella storia e Medioevo inquieto).
E nella storia antica ho ritrovato
tante donne: le profetesse, le sacerdotesse, le sibille, le donne che
avevano preceduto gli uomini nell'esercizio della profezia, della
mediazione tra l'umanità e la divinità. C'era in loro una forma di
spiritualità, un soffio (spirito radice di spiritualità che in
ebraico significa soffio) portato dal vento che collegava la vita
dell'universo al più profondo dell'anima.
Non a caso queste donne erano
vergini, parthènos, chiuse nel segreto della propria parthenìa,
nell'integrità del proprio corpo.
Qui vogliamo intendere la verginità
come esistenza di una propria interiorità, di fedeltà a se stesse.
La prima parthènos e la più
conosciuta la troviamo a Delphi: la Pithia. La troviamo nascosta nel
punto più profondo del santuario oracolare, seduta su un trìpode
profetico mentre, verso il suo corpo, i vapori mantici s'innalzano
dalla terra. (Così ci viene rappresentata secondo la tradizione
riportata da Lucano e Giovanni Crisostomo).
Per i greci dell'epoca classica la
Pithia è un'immagine non rappresentabile che, nella sua realtà,
appartiene all'immaginario.
E' un corpo che si fa voce, "una
voce che non ha corpo", dice Nicole Loraux, ma un corpo che si
fa anche mezzo: mezzo di passaggio per la parola del dio, mezzo per
parlare, la donna è cancellata. E' l'immagine di un corpo cavo, ma
non vuoto, capace di accogliere la parola dell'altro senza alterarla.
I responsi della Pizia, infatti,
erano accettati incondizionatamente da re e da uomini comuni, che
numerosissimi si recavano a Delphi da ogni parte del mondo ellenico
nel giorno in cui la sibilla profetava in stato di trance: decretava
quali nazioni fossero amiche, quali leggi imporre, quali siti fossero
più idonei per stabilire nuove colonie, quali forme commerciali,
musicali o artistiche fossero migliori.
La Pizia è la sibilla più
conosciuta, ma ve ne erano tantissime sparse nell'intero mondo
civilizzato del tempo.
La sibilla Cumana è una delle
figure più intriganti e misteriose della letteratura latina; è
strettamente legata al culto di Apollo, cui il dio ha concesso la
facoltà divinatrice in cambio di una promessa d'amore, ma è legata
anche al culto di una dea Madre. Nell'antro rupestre di Cuma
profetava e scriveva oracoli in versi, esametri greci, su foglie di
palma, che vennero rilegate in libri offerti alla consultazione
ufficiale a partire dal 462 a.C (ce ne parla Tito Livio in "Ab
urbe condita") fino all'83 a C (incendio del tempio di Zeus sul
Campidoglio). Successivamente questi oracoli furono faticosamente
sostituiti con raccolte attinte da varie fonti greche e questi "Libri
Sibillini" furono consultati dai politici fino al 363 d.C. La
sibilla dunque ci appare come una donna saggia. (Della sibilla cumana
ci parla anche Virgilio nel VI libro dell'Eneide e ce la presenta con
la doppia funzione di sacerdotessa di Apollo e, contemporaneamente di
guida di Enea nell'oltretomba)
Così ce la descrive Joyce lussu
nel suo "Libro delle streghe" edito nel 1990: "la
sibilla è l'immagine di una donna saggia e serena, che ama la vita e
la gente, che raccoglie e custodisce la conoscenza affinché tutti
possano maturarne i fiori e i frutti, che non ha bisogno di fare
della sua scienza un segreto e della sua autorità una fortezza da
difendere con le armi, è il simbolo di una scelta diversa di civiltà
e di convivenza, memoria tenace di una società senza guerre e senza
servi dominati col terrore".
Attorno all'anno zero della nostra
era troviamo a Gerusalemme una sibilla esperta di profezie e di
memorie: insegna Sacre Scritture in una scuola per sole ragazze,
destinate a preparare l'avvento della nuova fede nella città di
Erode.
Ci sarebbe tanto da dire su queste
figure di donne e su altre ancora; io ho voluto soltanto dare uno
spunto di riflessione sul loro valore simbolico.
Tra il VII e il VI a.C secolo in
Grecia visse Saffo,
una donna che
espresse liberamente i suoi sentimenti amorosi anche verso altre
donne, un mito senza tempo, considerata la più grande poeta
dell'antichità.
A Mitilene Saffo diresse una
comunità femminile: il "Tìaso", che era qualcosa di più
importante di una scuola: dedicato al culto della dea Afrodite era
intriso di sacralità. Qui le fanciulle, che le erano state affidate
e che lei amava chiamare figlie delle muse, cantavano, danzavano,
tessevano, amavano in un ideale di armonia e di grazia, arti che non
avrebbero più esercitato da sposate.
Il Tìaso è perciò il luogo in
cui, con le altre donne si costruisce l'identità femminile. Accanto
a Saffo c'è infatti una presenza femminile letteraria molto
significativa e, dopo di lei altre donne Mìrtide, Corinna,
Telesilla, Prassilla.
La poesia di Erinna, una giovane
poeta scomparsa a 19 anni, che avrebbe potuto essere la degna erede
di Saffo, contiene due
novità fondanti
che saranno alla base della poesia ellenistica: l'osservazione della
natura e l'introspezione interiore.
Ci troviamo di fronte a donne
letterate protagoniste
non comprimarie.
Ancora Nosside di Locri, nella sua
poesia, (epigrammi brevi e densi) esprime con sensibilità tutta
femminile i diversi momenti della vita quotidiana.
Rappresenta il momento più alto
dell'immagine nuova di una donna libera, autonoma in tutte le sue
scelte.
Dopo Nosside l'antichità non ci
lascia molte altre tracce poetiche femminili, ma solo qualche nome:
Melìnno, Cleobulina, Edila.
Ci sono però ancora tra il V e IV
secolo a.C. le scienziate:
Teano, secondo Clemente
Alessandrino, era stata una pitagorica giunta a grande altezza
filosofica nella "Confraternita", fondata a Crotone da
Pitagora, che aveva appreso la sua dottrina da una donna:
Aristoclea, sacerdotessa di Delfi; (quindi origine femminile del
sapere pitagorico). A questa comunità appartenevano 28 donne tra
insegnanti e studenti.
La confraternita aveva segreti
collegamenti con i Misteri Orfici e le sue adepte dovettero essere
suggestionate anche dai Misteri femminili di Demetra a Eleusi perché
Arignote, discepola di Pitagora e di Teano, scrisse un'opera sui
Misteri di Demetra: Bacchica
o anche Discorso
Sacro.
Questi legami erano determinati
dalla comune ansia (Pitagorici e Misteri) del destino dell'anima dopo
la morte. Significativo è, a tal proposito, un aforisma di Teano:
"Sarebbe
davvero un festino la vita per i malvagi che compiono scelleratezze e
poi muoiono se l'anima non fosse immortale". Teano
quindi asseriva in sintonia con Pitagora e i Misteri l'immortalità
dell'anima.
Pare abbia scritto trattati di
matematica, cosmologia, fisica e medicina andati perduti. Di lei ci
restano soltanto alcune lettere e degli aforismi (brevi massime che
esprimono una norma di vita o una sentenza filosofica) che
testimoniano della sua competenza scientifica, filosofica e
pedagogica
Un suo aforisma è significativo
per la libertà di noi donne.
Teano alla domanda come conciliasse
il fatto di essere una donna, ma anche moglie di Pitagora rispondeva:
"tessendo la
tela e condividendo
il mio letto".
In questo aforisma leggiamo la fedeltà di Teano al suo essere
donna e la
consapevolezza del suo essere donna come soggetto sessuato
differente.
"Tessendo la tela":
forma antica e moderna di percezione del senso di sé, posseduta da
una donna che ricongiunge Teano e Penelope nel suo tessere e disfare
la tela come definizione della propria libertà, ma anche delle donne
di Calabria che ancora oggi continuano la tradizione ricevuta dalle
madri.
Ancora oggi tessere la tela è un
procedimento di grande scientificità attraverso il quale la maestra
insegna alle proprie discepole la complessità dell'orditura, che
esegue con l'aiuto delle altre, ma anche della trama che restituisce
tessuti di grande bellezza.
Scienza del tessere come scienza
delle relazioni tra donne nel
riconoscimento dell'autorità posseduta dalla donna più grande, la
Maestra.
"Tessendo la tela"
diventa così il luogo della propria identità e soggettività
femminile in relazione con l'altra, da cui partire per andare sicura
nel mondo. Il risultato della trama di tessuti molto belli sta
proprio a simboleggiare che si attua questo riconoscimento della
grandezza della maestra e dalla collaborazione con le altre si
ottengono delle certezze per sé. Se questo non si attua si innesca
un processo di distruzione dell'altra, delle altre e
conseguentemente di se stesse.
"Condividendo il mio
letto" diventa
così, e solo in un secondo momento, il piano della relazione con
l'altro, diverso da noi.
Con questo aforisma Teano, già nel
VI secolo A.C. in Calabria, si presenta come simbolo di libertà,
simbolo dell'autorità posseduta, autorità intesa come capacità di
decidere di sé, della propria vita. Donna
che sceglie di condividere il proprio letto con un uomo dopo aver
costruito la propria identità con altre donne. (Significativo a tal
proposito, oggi, "Io
amo a te"
di Luce Irigaray del 1992)
Dopo la distruzione della scuola di
Pitagora, Teano gli succedette a capo di una piccola comunità e, con
le sue figlie, diffuse il sistema filosofico e religioso proprio dei
pitagorici. Sistema che stava a fondamento della società crotonese.
Delle nuove adepte sono arrivati a noi i nomi di Fintis e Melissa che
scrisse sui diritti delle donne.
Ipazia
[Ipazia d'Alessandria di Gemma Beretta Ed. Riuniti 1993] (393 - 415
d.C. Vescovo Cirillo Ricostruzione Biblioteca inaugurata il 20
ottobre 2002 da Mubarak - era stata costruita nel 280 a. C. da
Tolomeo Soter )pag16,17,18 da appunti Fidapa….
3.
.
Intorno all'anno 1000, quando dalla
decadenza del Sacro Romano Impero nascono nuovi reami e nuove corti,
la donne appartenenti all'élite colgono le influenze culturali
orientali e introducono in Europa un particolare stile che permea la
cultura e il costume. La poesia araba, laica, sensuale e raffinata si
diffonde nella Spagna Moresca e, attraverso Filippa di Tolosa, giunge
nelle corti provenzali.
Le fonti classiche avevano
focalizzato l'attenzione solo sui personaggi maschili, I
Trovatori,
occultando il ruolo delle donne, che erano state non solo le
ispiratrici dell'amor cortese, ma le maestre dell'arte cortese.
Eleonora d'Aquitania, nipote di Filippa, fa del Midi della Francia il
centro irradiatore della poesia cortese accogliendo le trovatrici più
audaci e famose tra cui Maria di Francia. L'originalità di questo
poetare ha una grossa valenza politica e sociale in quanto afferma la
lingua corrente o materna sul latino. Il latino era appannaggio dei
potenti ed escludeva dall'istruzione, quindi dal potere e dalla
partecipazione alla vita pubblica le donne. Quindi laddove si
registra il passaggio dalle lingue cosiddette "morte" a
quelle volgari ci sono sempre delle donne - pensatrici, scrittrici -
che hanno spezzato catene di sudditanza non solo culturale, ma anche
sociale. Le donne trovatrici, attraverso l'imposizione apparentemente
giocosa di un galateo amoroso che prevede cortesia,
mezura, obbedienza sentimentale, controllo della sessualità,
discrezione,
cercano di rendere possibile un dialogo uomo - donna attento,
paritario, rispettoso.
Laddove il matrimonio era un
affare, un contratto tra famiglie per il trasferimento di beni,
alleanze politico - militari, e poi ventre cieco che garantiva
dinastia, l'amore cortese si pone come spazio di libertà non
soltanto sentimentale.
Intorno alla fine del 1300, la
figura di Christine de Pizan, precoce rappresentante dell'Umanesimo,
anticipa in maniera sorprendente alcuni dei punti chiave sulla
riflessione intorno alla scrittura, all'identità e alla genealogia
femminile. Veneziana di origine può essere considerata la prima
scrittrice di professione nel panorama europeo: costruì la sua
identità intellettuale e femminile con la Penna,
attraverso un lungo cammino di studio, come lei stessa lo definì.
Nata a Venezia, giovanissima si era
trasferita a Parigi, alla corte di Carlo V e, rimasta vedova, aveva
provveduto, spesso faticosamente, al suo sostentamento e a quello dei
suoi due figli con la sua attività di scrittrice e di copista. Per
anni discusse pubblicamente con i più eruditi francesi sull'immagine
delle donne e degli uomini creata dal Romanzo
della Rosa, il
best - seller dell'epoca in cui Jean de Meung, con l'esortazione
Fuggite, fuggite, ragazzi miei
le donne, serpenti
malvagi che annientano chiunque si avvicini
sintetizza l'imperante misoginia che trova l'apice nell'espresso
desiderio che, stante la sua pericolosità, la donna non resuscitasse
nel giorno del Giudizio. La controversia fra Christine e la
tradizione misogina culminò nell'opera "La città delle Dame".
E' un'opera
allegorica, è risposta alla tradizione misogina, è storiografia, è
il progetto di un nuovo mondo, di una nuova civiltà e di una nuova
cultura: uno degli argomenti centrali è la
Pace.
(Governo degli uomini non sempre svolto con successo - le donne sono
altrettanto capaci, non mancano di intelligenza, ma le loro nozioni
sono limitate perché rimangono nelle case e non frequentano le
scuole - quindi necessità dell'istruzione)
La città è rifugio e protezione
(dalla tradizione letteraria e misogina, da chierici maldicenti e da
nobili e cavalieri), ma anche spazio
femminile di libertà e di giustizia.
Christine, con il piccone della sua
intelligenza è invitata a costruire una città in cui tutte le
donne, di qualsiasi ceto sociale siano, possano trovare accoglienza;
e, fin dai primi capitoli, si concentra sull'opera di legittimazione
della propria parola. Spesso infatti dice: "Io
Christine"
Sia la scrittura del libro che
l'architettura della città presuppongono un ordine, delle misure,
delle proporzioni, principi di costruzione che si oppongono
all'immagine del labirinto, simbolo di una femminilità minacciosa e
contorta.
(RAGIONE
con uno specchio
splendente in mano, capace di rivelare a chiunque l'essenza del
proprio essere.
RETTITUDINE
racconta la storia delle profetesse e delle sibille, simbolo di pietà
filiale, di fedeltà in amore, di castità e di forza di carattere
GIUSTIZIA regge
una coppa d'oro per misurare ciò che è dovuto a ognuno e aiuterà
Chr. a completare la città con le cime delle torri d'oro. CITTA'
PERFETTA, BELLA ED ETERNA.
La prima pietra, posta a fondamento
della città è Semiramide (scelta all'insegna del rovesciamento)
regina fondatrice come Medea e Didone, (ma esempio di lussuria e
inganno per la tradizione Dante V canto dell'Inferno v. 52 - 60), che
sa governare e combattere con audacia.
Propone per prima la storia di
Lucrezia, nobile romana che, per aver rifiutato le lusinghe del re
Tarquinio, viene violentata e, per la vergogna, ricorre al suicidio.
Il suo gesto risulta determinante per il bene della comunità perché
spinge il popolo di Roma a ribellarsi al tiranno e ad emanare una
legge che condannava a morte chiunque violentasse una donna.
ARTEMISIA GENTILESCHI, grande
pittrice del '500 (prima donna ammessa all'Accademia fiorentina e
alla corte dei Medici) dipinge una Lucrezia che ha quasi paura di
compiere quel gesto. Così Susan Vreeland nel suo romanzo "La
Passione di Artemisia fa dire da Artemisia al padre, che le contesta
che quella che ha dipinto non è la Lucrezia che tutti si aspettano -
deve essere così,
attanagliata dal dubbio. In questo modo la gente, uomini e donne che
anche tra molto tempo la guarderanno, si sentiranno a disagio,
piangeranno anche al pensiero che, in un tempo di ignoranza, ci fu
una donna stuprata che venne spinta al suicidio - .
La storiografia ufficiale
tradizionale ci ha sempre presentato una donna muta per secoli, anzi
per millenni, ricordata solo per le leggi, gli editti, le proibizioni
degli uomini, le lapidi, ma noi abbiamo trovato nella storia che
tante donne hanno parlato pur se con modalità differenti.
Mi viene spontaneo associare la
storia delle donne all'immagine di una conchiglia: se ci concentriamo
ascoltiamo le voci delle donne che, quando riescono a parlare, si
rispondono da un'epoca a un'altra.
Di loro però ci rimangono solo
pochi scritti.
Nella seconda metà del '600, in
Inghilterra, con Aphra Behn, ancora, la donna esprime la propria
libertà attraverso la scrittura: non una scrittura per se stessa,
quella delle donne aristocratiche che scrivevano soltanto per il
proprio diletto, ma una scrittura finalizzata al guadagno.
Aphra Behn era una donna di classe
media ricca di umorismo, di vitalità e coraggio. Dopo la morte del
marito e dopo sfortunate vicende fu costretta a guadagnarsi da vivere
utilizzando il proprio ingegno e dandosi la possibilità che la sua
mente scrivesse quello che le pareva.
Aphra Behn dimostra che si può
guadagnare del denaro con la penna, e, per questo, fu definita
"Poetessa
prostituta"
perché vendeva il suo ingegno anziché il suo corpo. Cosi a poco a
poco, dopo di lei l'attività letteraria diventa un'attività
importante, non è più prova di follia o di infermità mentale: il
marito poteva morire…. qualche disastro poteva sconvolgere la
famiglia……., ma le donne cominciavano a pagarsi le spese
scrivendo.
Da lei altre donne ebbero
simbolicamente l'autorizzazione a scrivere
Virginia Woolf , in "Una
stanza tutta per sé",
scrive: "E
tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di
Aphra Behn,
che si trova assai scandalosamente, ma direi giustamente,
nell'abbazia di Westminister, perché fu lei a guadagnare loro il
diritto di dar voce alla loro mente……….guadagnatevi cinquecento
sterline l'anno col vostro talento"
"Una stanza tutta per sé"
è il saggio che Virginia Woolf fondò su due conferenze tenute a
Cambridge nell'ottobre 1928 sul tema "Le donne e il romanzo".
Oggetto del saggio è una duplice metamorfosi:
Quella della donna, che
dall'involucro della stanza dovrà nascere alla storia
Quella del romanzo che
"adattandosi al corpo" di lei potrà mutarsi in un modo di
espressione più raffinato che contenga in sé il poetico, il
filosofico…..ecc…..
Ne "Le donne e i romanzo"
sostiene che l'opera d'arte, per essere perfetta, non deve essere
contaminata dalla rabbia o dal risentimento. Nella letteratura
creativa l'artista deve mantenere la serenità e il senso
dell'umorismo. Nel romanzo bisogna trovare un tipo di prosa
quotidiana e usuale capace di condurre con agio e naturalezza chi
legge dal principio alla fine del libro. E la donna se la deve
inventare, modificando e adattando la frase in uso finché ne scrive
una che assume la forma naturale del suo pensiero senza frammentarlo
o distorcerlo. Nella scrittura le donne rispettano il proprio senso
dei valori. V. W. mostra senza timore con quale precisione una
scrittrice renda conto, nelle sue opere, della sua storia di donna e
quanto sia riuscita a trascenderla e trasformarla in arte.
Una stanza tutta per sé e
cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni necessarie
per la donna che scrive. La necessità del denaro ha un forte valore
simbolico: se la donna è stata per secoli assente dalla storia, se
ha avuto la funzione di specchio (ingrandimento) dell'uomo, non potrà
avere diritto alla parola, ad esprimere il proprio pensiero, a fare
le proprie scelte di vita se non conquista ( l'indipendenza
economica) il diritto fisico, economico alla inscrizione nello spazio
sociale: la stanza. Virginia chiede che la
stanza, "prigione
e sepolcro", diventi possesso, diritto; essa quindi rappresenta
la mutazione nella storia del femminile:
la donna non può pensare che "attraverso le madri", non
possiede che l'eredità del linguaggio materno (strutturato come un
codice della dissimulazione e della soppressione) che dovrà
rielaborare per esprimere quanto di oscuro e di delicato c'è nella
mente femminile, solo così potrà restituire con le sue parole una
voce alle ombre. (Importanza
dell'istruzione)
Entrando in una Biblioteca
pubblica, Virginia, sugli scaffali impolverati con sorpresa scopre le
opere di Jane Austen, di Charlotte ed Emily Bronte, di George Eliot
(di un secolo prima) e rimane affascinata dalla scrittura di queste
donne, romanziere (le donne poete avevano preceduto le donne
romanziere)
La figura di Jane Austen si staglia
nel panorama europeo del XIX secolo come innovatrice nel campo del
romanzo di costume al quale diede qualità d’arte. Ella s’inventò
uno stile perfettamente naturale ed elegante, adeguato alle sue
necessità e al quale rimase sempre fedele. Libertà di pensiero e
pienezza d’espressione sono l’essenza della sua arte. La sua
conoscenza e capacità di penetrazione dell’animo umano, la sua
consapevolezza ironica del conflitto tra spontaneità e convenzione,
tra esigenze della moralità individuale e della convenienza sociale
ed economica, fanno di lei una grande scrittrice, antesignana del
romanzo moderno secondo schemi che verranno poi seguiti senza
significative variazioni da tutti gli autori/trici a venire; a lei si
ispirarono sia Charles Dickens che Henry James. La straordinaria
modernità di Jane Austen in termini di sensibilità, è stata
riconosciuta tra gli altri da Virginia
Woolf che nel
bellissimo saggio “Una
stanza tutta per sé”
dice: “Scrisse
come scrivono le donne”
e poi, riferendosi a lei e alle sorelle Charlotte ed Emily Bronte,
“fra le mille
donne che scrivevano romanzi in quell’epoca, furono le sole a
ignorare completamente i perpetui ammonimenti dell’eterno pedagogo:
scrivi questo, pensa quello. [Furono le sole a dimostrarsi sorde a
quella voce che non lascia in pace le donne, ma deve sempre
inseguirle come una governante troppo onesta”].
Jane Austen, vissuta a cavallo tra
il 700 e l’800, oltre ad aver impersonato le culture che hanno
caratterizzato quei due secoli: la cultura illuministica e quella
romantica, fu partecipe del grande mutamento che avvenne alla fine
del 1700: la donna
della classe media comincia a scrivere.
Questa scrive nella stanza di
soggiorno della famiglia perché la famiglia di classe media
possedeva soltanto una stanza di soggiorno. Qui scrive Jane Austen e
la sua personalità pervade ogni sua parola; la sua scrittura è
priva di odio e di amarezza, e descrive con lucida ironia il piccolo
mondo provinciale aristocratico della provincia inglese tra il 1700 e
il 1800. Virginia Woolf guardando i nomi più famosi della
letteratura del tempo si chiese che cosa avesse in comune George
Eliot con Emily e Charlotte Bronte, che non era mai riuscita a capire
Jane Austen. Il ruolo dei personaggi austeniani si gioca tutto
all'interno delle relazioni con gli altri, mentre una
sur-determinazione spirituale segna il destino dei personaggi di
Charlotte Bronte. La scrittura, la creazione letteraria come la vita
stessa per Charlotte si collocano negli interstizi del dolore: in
tutta la sua opera l'impianto etico e politico che rifiuta il
privilegio, non dà per scontato alcun benessere, disprezza
l'autocommiserazione, fa sì che tutti i suoi personaggi femminili
assumano la
perdita come il
terreno e l'occasione del confronto con
il sé. Tutte
soffrivano la limitatezza della vita che era stata loro imposta ed
erano accomunate dalla stessa appartenenza alla classe media, dal
desiderio di allargare gli orizzonti della loro esperienza. Charlotte
Bronte fa dire alla sua Jane
Eyre che soleva
salire sul tetto per guardare il paesaggio lontano, al di là dei
campi: "allora
desideravo il potere di una visione capace di varcare quei confini,
di arrivare a quel mondo indaffarato, alle città, alle regioni piene
di vita di cui avevo sentito parlare, ma che non avevo mai visto…"
George Eliot era riuscita a fuggire
dalla sua prigione per rifugiarsi in un villino di St.John's Wood:
aveva scelto di convivere con un uomo sposato, ma doveva accettare
le convenzioni sociali e vivere "tagliata fuori da ciò che si
chiama il mondo". Se Tolstoj fosse stato costretto a vivere in
un presbiterio oppure rinchiuso in una casa con una donna sposata e
tagliato fuori dal mondo avrebbe potuto scrivere "Guerra e
pace"?
Comunque queste donne, pur nella
limitatezza della loro esperienza, con la scrittura avevano reso
libero il loro pensiero e dato voce alla sofferenza di un'identità
scissa tra il rispetto delle convenzioni sociali, il desiderio di
essere se stesse e la ricerca di un'occasione di felicità.
Agli inizi del novecento Virginia
Woolf, adotta una nuova tecnica di scrittura: il flusso di coscienza,
differenziandosi e mantenendo la propria indipendenza sia da Proust
che da Joyce, rispetto ai quali si sente un'innovatrice. Nella sua
scrittura mira all'effetto artistico e paragona la creazione di un
romanzo alla realizzazione di un quadro, fa largo uso dei "simboli"
e la sua poetica si esprime nell'ininterrotto concatenarsi e
riverberarsi delle immagini. I suoi personaggi, borghesi, non vengono
mai descritti realisticamente nei dettagli, ma nella loro carica
emozionale. (Carla Lonzi - TABULA RASA - DECOSTRUZIONE E
RICOSTRUZIONE (Mss Daloway, Gita al faro, Orlando ….I suoi
personaggi femminili sono molto diversi tra loro ed esprimono la
diversità della forza creativa della donna, la diversità di sguardo
della realtà. Dal contrasto tra il mondo esterno che la circonda e
la sua interiorità si crea dentro di sé una tale scissione che si
rifugia in un mondo introspettico e sente l'esigenza di realizzare
se stessa attraverso la scrittura.
Ancora oggi trovo estremamente
significative due espressioni di Grazia Livi:
Gertrude Stein, come Picasso,
ricercava l'essenza del realismo della propria esperienza, non i
personaggi reali, come facevano i suoi contemporanei
Contemporanea di Virginia Woolf, in
Russia Marina Cvetaeva (Si legge Zvietàeva) viveva fuori della vita
quotidiana e fuori della logica, in un mondo proprio da lei
creato….."Orgoglio polacco, disprezzo per la mentalità
borghese, per il profitto, per la forma, per i vantaggi e scelta
altezzosa della solitudine", così di lei scrive una sua
memorialista.
Apprese dalla madre l'amore per la
musica, ma ancor di più il bisogno quotidiano di essa, che si estese
alla concezione fonica che Marina maturò della sua poesia e
l'anarchismo della sua arte si espresse nella straordinaria libertà
della forma. Marina scrive, per usare una sua celebre espressione
unicamente "vivo
sul vivo",
cioè il vissuto. Mentre nell'ideologia politico - letteraria dei
futuristi di sinistra si rispecchiava un'ambizione a rappresentare
l'epoca e l'intera società, il culto del vissuto (sguardo diverso)
era legato in Marina alla sua natura esclusiva di poeta lirica "che
poteva scrivere soltanto di sé, della vita come lei la vedeva, di
persone che conosceva e di letteratura". Cioè partendo dalla
propria esperienza. L'assenza in lei di pregiudiziali ideologiche
solleva la sua scrittura da ogni rischio di rigidezza: Marina con le
risorse del suo stile personalissimo, con quel pennino da sismografo
registra e trasforma in scrittura ogni minima intermittenza
del cuore.
In Italia le scrittrici dello
stesso periodo formalizzarono nella scrittura la rivoluzione in atto
in quegli anni: compresero che per prima cosa bisognava partire dal
diventare soggetto
e lo fecero. Questo significò partire dal proprio corpo e dunque dal
proprio sguardo. In questo modo rappresentarono la realtà vista dal
punto di vista di donna e indicarono alle altre la necessità di
compiere questo spostamento di prospettiva. Decisero che bisognava
impedire che pesasse su di loro, sui loro comportamenti, sulle loro
scelte, sui loro gesti……l'immagine costruita dall'Altro.
Lo svelamento, la denuncia che
operano tutte le scrittrici attive in Italia tra la fine dell'800 e
gli inizi del '900 è: quanto
pesa lo sguardo dell'Altro sul comportamento femminile, sulla
coscienza, sulla sua autonomia.
Grazia Pierantoni, Fanny Salazar, Aurelia Folliero De Luna, Matilde
Serao, Anna Santoro, Simona Marino ed altre, pur diverse tra loro
ebbero in comune uno sguardo diverso sulla realtà; tutte scelsero
come protagonista una donna perché con quella donna si
relazionavano, si interrogavano per costruire la propria identità,
ebbero il desiderio di vincere le paure e di mostrarsi [In quel
periodo le lettrici erano considerate eversive e le scrittrici lo
erano il doppio]. Queste scrittrici ruppero i canoni tradizionali sia
nella vita che nella scrittura: attaccarono i luoghi comuni, vissero
vite coerenti con il loro scrivere. Ma allora io mi chiedo e vi
chiedo: se queste nostre madri erano lì presenti e vive, in che modo
è stato possibile rimuovere le loro presenze e renderle invisibili?
Cancellarne la memoria? A questa domanda stiamo cercando di
rispondere noi che da anni siamo impegnate a recuperare la memoria
storica del patrimonio che abbiamo alle spalle. (per questo la BDS).
E' servito uno sguardo nostro, di donne degli anni '70, per saper
leggere la scrittura delle donne nei secoli scorsi. In Italia non
sono mancate le scrittrici, ma, diversamente che nei paesi
anglosassoni, sono mancate le lettrici capaci di cogliere il senso
della scrittura femminile.
Oggi le case editrici mostrano
grande attenzione verso la scrittura femminile, però, se da una
parte questa attenzione ha aperto le porte alla memorizzazione
della scrittura femminile, dall'altra ha mantenuto e mantiene ancora
nell'ambiguità il lavoro delle donne che scrivevano e che scrivono
(Critica): ha procrastinato quella posizione di ambiguità tra il
fascino dell'omologazione (bisogno di sentirsi uguale all'uomo) e la
percezione della differenza, cioè la ricerca e l'affermazione della
propria soggettività, della propria specificità che consiste
nell'immanenza del rapporto con se stesse, che è poi il vero senso
della libertà. D'altronde il filo conduttore di questa trattazione è
stato quello della libertà attraverso la parola orale e scritta.
Dacia Maraini: La lunga vita
di Marianna Ucrìa
(attraverso la negazione della parola Marianna rappresenta la sua
libertà interiore contro le convenzioni sociali e le imposizioni
familiari)
"Donne mie"
1976: esortazione alle donne a ritrovare la propria dignità e
libertà, quindi l'invito a dichiarare guerra non all'uomo, ma a un
certo modo di essere donna.
E' la parola scritta che rende
libera la Briganta
(le sono stati bruciati dal marito i libri ereditati dalla madre) di
Maria Rosa Cutrufelli. Questa giovane donna fugge dopo un fatto di
sangue: l'uccisione del marito, che è un'uccisione simbolica, è il
rifiuto di quanto le veniva imposto, la cancellazione di lei e del
suo pensiero. (indicativo l'incenerimento da parte del marito dei
libri della biblioteca materna - come per Ipazia) Il rifugiarsi sui
monti tra i briganti, le brigante e le mogli o compagne dei briganti,
in definitiva in una una comunità di donne e uomini, non è altro
che il percorso di liberazione che questa donna compie per ritrovare
la sua integrità, la sua parthenìa e finalmente la
libertà
attraverso la scrittura dopo venti anni di carcere. Questa è la mia
chiave di lettura in questo percorso sulla scrittura e sulle parole
delle donne che
comincia con le Sibille
e arriva ai giorni nostri, perché Maria Rosa Cutrufelli è una
scrittrice della nostra terra, siciliana di nascita e con la mitica
Sicilia ha un rapporto ancestrale, è il suo luogo, la sua origine e
questo legame si coglie in tutti i suoi romanzi. (Canto
al deserto, Mama Africa, Il paese dei figli perduti, Giorni d'acqua
corrente). Maria
Rosa non si è mai mossa dalla sua Sicilia anche se vive altrove.
E' la poesia che fa dire ad Alda
Merini il suo
mondo. Un mondo
illuminato da ricorrenti deliri metaforici che incidono sulla sua
ispirazione poetica, ma strappano inevitabilmente il suo tessuto
razionale: da ciò l'internamento in case di cura ed il successivo
travaglio curativo. Attraverso deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e
apparizioni, nelle sue opere parla di uno spazio,
non un luogo, in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza
quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso
(divino) di ogni essere umano. La parola… salvifica….le consente
di non essere sopraffatta, anzi non la esclude dal colloquio con ciò
che apparentemente è muto, sordo e cieco.
Se continuiamo ad ascoltare quella
conchiglia di cui abbiamo parlato prima, ci accorgiamo come ancora
oggi le donne si rispondano di secolo in secolo, da un'epoca, da una
civiltà all'altra anche se con linguaggi diversi e capiamo quanto la
parola e la scrittura siano importanti per sentirsi libere.
La discussione sul rapporto tra i
sessi iniziata nel XII secolo (Ildegarda di Bingen, Maria Porete -
morta sul rogo a Parigi nel 1310 - Angela da Foligno in Italia),
scoppiata in disputa aperta con Christine de Pizan, continuata fino
al XVIII secolo, ripresa dopo la Rivoluzione Francese, in quel
periodo nasce la
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
di Olympe de Gouges. 1791
Donne
ghigliottinate
la
regina Maria Antonietta - moglie dai costumi dissoluti
Olympe
de Gouges - avrebbe desiderato essere "un uomo di Stato" e
dividere la Francia. Aveva difeso Luigi XVI protestando contro la
pena capitale. Era girondista - aveva accolto con favore la
Costituzione del '91, che aboliva la monarchia assoluta e istituiva
un sistema di rappresentanza parlamentare nel quale desiderava che
fossero rappresentate le donne.
Manon
Roland - aveva preteso di essere sapiente dimenticando il suo sesso
- si era impegnata a favore dei diritti civili delle donne e per
l'istruzione -
In
Inghilterra: Mary Wollstonecraft - Dichiarazione dei diritti delle
donne - 1792 e pubblicata nel 1798 dal marito, fa discutere ancora
oggi, nel III millennio
Bibliografia
George Duby - Michelle Perrot "Storia
delle donne" - L'Antichità
Ed. Laterza
Giulia Sissa "La verginità in
Grecia" Ed. Laterza
Nicole Loraux
"Grecia al femminile" Ed.
Laterza
Joyce Lussu "Il
libro delle streghe" Ed. Transeuropa
Eva Cantarella
"l'ambiguo malanno" Ed
Riuniti
Eva Cantarella
"Secondo Natura"
Ed. BUR
Armanda Guiducci "Perdute
nella Storia" Ed. Sansoni
Gemma Beretta "Ipazia
d'Alessandria" editori Riuniti 1993
Luce Irigaray "Il
respiro delle donne" Ed. EST
Patrizia Violi
"L'Infinito singolare"
Ed. Essedue
Grazia Livi
"le lettere del mio nome" Ed. La
Tartaruga
Virginia Woolf "Le
donne e la scrittura" Ed. La Tartaruga
Cristina Demaria "Teorie
di genere" Ed. Bompiani
Patrizia Caraffi (a cura)
"Christine De Pizan" Ed Carocci
Susan Vreeland La
passione di Artemisia" Ed Neri Pozza
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