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Marianna
Ucrìa
A cura di
Francesca Lo
Vecchio
Soggetto
Il film ambientato
a Palermo nella seconda metà del 700, racconta la storia di
Marianna, giovane aristocratica muta fin dalla tenera infanzia. Il
mutismo di Marianna è il tema principale del romanzo in quanto
attraverso la negazione della parola la protagonista rappresenta la
sua libertà interiore contro le convenzioni sociali e le imposizioni
familiari.
Marianna vive nel
suo mondo muto e silenzioso, ma ciò non le impedisce di vedere le
grandi ingiustizie del mondo. All'età di 13 anni, ancora bambina è
costretta, nonostante il suo netto e deciso rifiuto a sposare un
vecchio zio.
Marianna comincia
la sua vita da donna coltivando comunque i suoi interessi e
dedicandosi alla pittura.
Metterà alla luce
tre femmine e un maschio e da Palermo, contro la volontà del marito,
si trasferirà in una villa di campagna isolata, ma piena di libri.
C'è uno strano
sodalizio fatto di complicità tra lei e il nonno che intuisce la
sensibilità e l'intelligenza di Marianna alla quale lascia tutti i
suoi averi scandalizzando l'intera famiglia. Marianna resta vedova
molto giovane e manda avanti con caparbietà e decisione le sue
proprietà, destando la meraviglia dei suoi lavoranti, che la
consideravano una povera donna incapace. Soltanto Saro, il fratello
della sua domestica le dichiara il suo amore, ma Marianna anche se
attratta da lui, non riesce ancora a vivere liberamente e senza freni
i suoi sentimenti e fa in modo che Saro si sposi, per poter così
interrompere ogni loro rapporto. Dopo tanto tempo, anche perché nel
frattempo Saro perde la moglie in modo tragico, Marianna si concederà
delle ore d'amore con Saro, assaporando per la prima volta le gioie
della passione.
Nello stesso
tempo scoprirà che il suo handicap non era congenito, ma che era
insorto in seguito allo stupro subito a cinque anni proprio da parte
del marito-zio.
Questa
sconvolgente verità la porterà a riflettere sulla sua esistenza e a
partire, allontanandosi dalla Sicilia, alla scoperta del mondo e di
se stessa.
Il suo mutismo è
la rappresentazione simbolica del suo profondo dissenso e del suo
rifiuto a comunicare con un mondo incapace di comprendere i
sentimenti, gli ideali e le speranze di una giovane. Marianna può
ritenersi una donna libera a tutti gli effetti, in quanto riesce a
mantenere intatto il suo mondo interiore e a scegliere in prima
persona: fare l'amore con Saro e poi decidere di abbandonarlo alla
ricerca della libertà. Si affida alla lettura e alla scrittura e
diventa così una donna colta e intelligente riuscendo a comprendere
anche il marito con il quale non c'è mai stata un'intesa affetiva e
sessuale; si rivolgerà a una solitudine voluta, non imposta, cercata
con saggezza.
L'altro tema del
romanzo è la critica a un'aristocrazia immobile, oziosa e pigra.
La figura di
Marianna Ucrìa è stata ispirata all'autrice durante un viaggio a
Bagheria, dove si era recata alla ricerca delle sue radici. La visita
a Villa Valguarnera, casa nobiliare dei nonni materni, costruita nel
700 e la visione del ritratto di una sua antenata che vedeva fin da
bambina, le ispireranno la protagonista del romanzo.
Il libro, oltre a
essere tra i più amati dal pubblico femminile, è stato stampato in
più di 300.000 copie ed è stato tradotto in 19 lingue.
Il film di Roberto
Faenza resta più o meno fedele al testo letterario, ma sostituisce
la figura paterna con quella del nonno e mantiene il senso omertoso e
ipocrita che unisce tutti i membri della famiglia con una complicità
e un silenzio che è più forte di quello di Marianna.
La metafora del
silenzio è parte della cultura femminile tanto nella tradizione
classica quanto nel presente cinematografico. "Non è che le
donne non parlino, o non siano capaci di esprimere il loro vissuto"
continua Maraini, ma spesso la loro parola è sorda, non arriva da
nessuna parte. E' priva di prestigio e di potere. Per questo la
storia di Marianna è molto sentita e condivisa. Perché è condiviso
il suo silenzio. Il romanz "La lunga vita di Marianna Ucrìa",
pubblicato nel 1990, ha ricevuto, in quello stesso anno il Premio
Campiello.
Dacia Maraini
E' nata a
Firenze nel 1936 da una coppia giovane, bella e contestatrice, il
padre Fosco seducente e avventuroso e la madre Topazia Valguarnera di
illustre nobiltà siciliana. Da questo matrimonio, oltre a Dacia
nacquero Vuki e Toni. Abitavano a Fiesole, ma durante le vacanze
tornavano nella villa di Bagheria, scontrandosi con la mentalità
ristretta e schiava di pregiudizi dei parenti siciliani. Bagherìa
sarà dapprima oggetto di un rifiuto totale da parte dell'adolescente
, solo più tardi diverrà il fulcro di un ritorno sia fisico che
narrativo di Dacia. La sua infanzia si svolgeva tra luci e ombre,
c'era il contatto con la natura, c'erano le letture appassionate e
c'era un rapporto con il padre, itenso, ma insidiato da dolorose
consapevolezze. Quando il padre abbandonò la famiglia Dacia soffrì
moltissimo e scrive così: "Per tutta la mia infanzia l'ho amato
senza esserne ricambiata". Questa figura paterna la ritroviamo
poi nelle sue scelte sentimentali (pensiamo a Moravia amato come un
padre - bambino) "mi piacciono gli uomini molto vecchi che
ritornano infantili" così lei scrive.
Viene bocciata
alla maturità e in attesa di pubblicare qualcosa, pensa a un impiego
come segretaria e in questo periodo incontra Moravia. Nel 1962 dacia
diventa la compagna di Alberto Moravia che in quell'anno si separa
dalla moglie Elsa Morante.
In questo periodo
pubblica il suo primo romanzo "Le vacanze" in cui c'è la
rappresentazione di una Bagherìa molle e corrotta. Lo stesso quadro
di miseria fisica e morale, la stessa Bagherìa meschina , senza
ideali, la stessa solitudine di un'adolescente tornavano nel romanzo
successivo "L'età del malessere" che viene pubblicato nel
1963. Nel 1967 pubblica un volume di racconti dal titolo "Mio
marito" dove Dacia Maraini denuncia il costume maschilista,
ipocrita e interessato che relegherebbe la donna al ruolo di angelo
del focolare, dolce e sottomesso, privo di personalità e di
autonomia.
Da una sua
inchiesta sul carcere di Rebibbia uscirà "Memorie di una ladra"
nel 1972 e successivamente nel 1974 la poesia "Donne mie",
considerato da molti il manifesto del femminismo. La poesia è
un'esortazione alle donne a ritrovare la propria dignità e libertà,
responsabili loro stesse del loro stato perché non si oppongono alla
volontà maschile. Ecco allora l'invito a dichiarare guerra non
all'uomo ma a un certo modo di essere donna, che spinge alla rivalità
tra donne. Nel 1975 pubblica "Donne in guerra", Ma dopo
questo periodo assumerà un atteggiamento più meditato e comprensivo
sulla realtà. C'è la consapevolezza maturata lentamente di un
destino doloroso comune a tutti gli uomini e donne, di una solitudine
che è alla radice di ogni persona, indipendentemente dal seso e
dalle condizioni storiche. Nel 1986 Ha pubblicato "Il bambino
Alberto", intervista con Moravia. Nel 1993 Bagherìa e nel 1994
"Voci". Bagherìa è un lungo racconto autobiografico che
dipinge la Sicilia nel fluire dei ricordi, con i suoi colori, i
sapori e le luci di una terra antica e sorprendente, ancorata a
vecchi pregiudizi e a una mentalità chiusa. Ha scritto inoltre
"Lettere a Marina" 1981, "Il treno per Helsinki 1984,
"Lezioni d'amore" 1982, "Stravaganze" 1987.
Ha pubblicato
anche una raccolta di poesie dal titolo "Viaggiando con passo di
volpe" 1991.
Dacia Maraini può
considerarsi senza dubbio la figura più rappresentativa del nostro
panorama attuale.
Roberto Faenza
Oltre ad essere un
bravo regista è scrittore e docente universitario ( dal 1970 presso
il Federal College di Washington, dal 1977 presso l'Università di
Pisa).
·Ha
iniziato la sua carriera cinematografica nel 1968 con Escalation
interpretato da Lino Capolicchio e Gabriele Ferzetti.
·Nel
1978 ha realizzato il film di montaggio Forza Italia.
·Ha
diretto "Si salvi chi può" "Iona che visse nella
balena", "Sostiene Pereira".
·Ha
diretto in maniera brillante "Marianna Ucrìa" che vuole
essere una storia di libertà e di emancipazione. La vita di Marianna
è dominata dalla sottomissione e dal silenzio, ma la sua mente e la
sua immaginazione sono piene di voci, prima fra tutte la voce
dell'amore che una società e una famiglia spaventosamente repressive
le hanno negato. Tra le ragioni dell'interesse di Roberto Faenza per
la vicenda di Marianna c'è il tema della memoria: una storia che
racconta il passato, ma che in realtà riguarda il presente. Del
resto la straordinari unicità del grande schermo, dice Faenza;
consiste nel poter riportare a galla ciò che il tempo ha confinato
all'oblio, poter dare alla memoria perenne continuità. Il cinema,
egli dice, deve differenziarsi dalla televisione, ormai relegata a
registrare solo cronaca e attualità, proprio per la sua incapacità
a rielaborare memoria.
Francesca Lo
Vecchio
Soverato,
13 gennaio 1999
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