Sei su Archivio / 2021 / libri
La
vasca del Fuhrer
di
Serena Dandini
a
cura di Rita Punzi
II
libro:” La Vasca del Fuhrer”, scritto
da Serena Dandini, è stato per me una piacevole lettura. Ho
sempre apprezzato la Dandini attraverso i suoi impegni come regista e
conduttrice televisiva, molto seguito il programma La TV delle
ragazze del 1988, riproposto nell’inverno 2020. Tra il 2012
e il 2013 mette in scena il suo primo testo teatrale, Ferite a
Morte, ispirato a fatti di violenza sulle donne realmente
avvenuti, interpretato da attrici, giornaliste italiane. Nel 2013 il
testo teatrale diviene un libro, pubblicato da Rizzoli. L’8 Marzo
2014, in occasione della festa della donna, viene mandato in onda su
Rai 5 in prima serata una sintesi dello spettacolo teatrale. Lo
spettacolo inizia una tour mondiale che lo porta in molte città del
mondo tra le quali Washington, New York, Bruxelles. È stato
presentato alla sede delle Nazioni Unite e nell’ ottobre 2015 vince
il premio come Miglior Evento No profit. Anche la Biblioteca
delle Donne di Soverato metterà in scena il testo presso il teatro
Del Grillo. La scrittrice Serena Dandini nasce a Roma, discendente da
un’antica famiglia nobiliare, frequenta la Sapienza di Roma per
frequentare il corso di letteratura anglo- americana, a tre mesi
dalla fine, interrompe gli studi, per iniziare una carriera alla
radio e… tanto altro.
Il
libro: ”La Vasca del Fuhrer” è
ricco di spunti , tante figure femminili sono pronte a raccontarci la
loro storia: scrittrici, poetesse, scenografe, registe, pittrici,
scultrici, stiliste, aviatrici, fotografe, tutte donne
protagoniste della loro vita, sfumando il
ruolo che le ha relegate in: muse ispiratrici.
È un romanzo letterario, ma anche un romanzo storico. La scrittrice
apre delle piccole finestre personali durante il racconto, forse per
riflettere insieme su comportamenti che dipendendo dalla singola
personalità e non dettata dai tempi. Il racconto si snoda tra la I
(prima) e II (seconda) guerra mondiale in un momento di grande
fermento culturale sia in Europa che in America; tutto sembra
crescere e progredire: benessere, arte, scienza; e il secondo
conflitto mondiale non lo si aspetta, non lo si immagina e…arriva
all’improvviso. La protagonista è Elizabeth Miller nasce nel 1907,
in una provincia vicino New York, sarà modella, fotografa e
fotoreporter. Non è un personaggio storico ma “per
l’indole vitale che l’ha sempre guidata”; le
persone da lei conosciute e per i fatti da lei vissuti, possiamo dire
che Elisabeth M. è stata una protagonista del suo tempo in ogni
situazione e stagione della sua vita. La
Miller è, soprattutto, una donna libera, non nel senso conquistato,
ma nel modo più naturale possibile, con una determinazione rara alle
donne della sua generazione. Agiva e viveva rivendicando per sé
quelle prerogative, che in quei tempi, erano tipiche degli uomini.
Nasce in una famiglia borghese dove scienza e progresso erano la loro
religione. IL padre Theodore Miller, ingegnere, con la passione per
la fotografia sarà il primo a ritrarla nuda, sin da bambina, priva
di pudore, senza suscitare imbarazzo ad entrambi. È una figura
importante, presente e accondiscendente nelle scelte di vita e
professionali della figlia oltre a trasmetterle la passione per
l’arte fotografica. La madre, invece, ne ammirerà il coraggio di
vivere come una guerriera, coraggio a lei mancato! Elizabeth M. (in
famiglia la chiamavano Le Le) dice di lei: “Sembravo
un angelo, fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro.
Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina”. Infatti,
è nel suo mondo, che il padre guardava fiducioso nei confronti del
progresso umano (viene fatta a pezzi dalla
brutalità del maschio. Pag.14); un amico di
famiglia abuserà di lei all’ età di 7 anni. Esteriormente, vive
con distacco tutto ciò a cui sarà sottoposta solo nel tempo
accennerà al suo “lurido passato
“sicuramente, amore e sesso, nella sua
vita seguiranno strade parallele. Diventerà modella casualmente; per
evitare un incidente automobilistico cade tra le braccia di uno
sconosciuto…Nast Condè, imprenditore editoriale che sta
trasformando un piccolo settimanale “Vogue” nella rivista che
detterà legge in fatto di moda nel mondo. Elizabeth è il volto e il
fisico ideali per la rivista nascente, il passo è breve per essere
considerata tra le donne più belle dell’inizio Novecento, icona di
femminilità, desiderata dagli uomini e ricercata dagli artisti
surrealisti. Incarna lo stile di donna degli anni Venti, che
rifiutano le scelte stabilizzatrici del matrimonio, famiglia e
maternità. Le chiamano “Flappers”,per
indicare un’adolescente vivace ed irrequieta, ma in senso
dispregiativo e bigotto, una donna dai facili costumi. Ipocrisie e
bigottismi per sottomettere la donna a un mondo declinato quasi
sempre al maschile. Sarà Elizabeth, senza il
suo consenso, prima donna a pubblicizzare una marca di assorbenti,
suscitando scandalo e critiche nell’America puritana di quegli
anni. Inizialmente infastidita e pronta a fare causa al giornale,
accetterà con senso pratico e moderno, la possibilità di sdoganare
un atteggiamento bigotto nei confronti di un fenomeno naturale, con
la speranza di modernità e senso di libertà per la donna. Sempre
richiesta in feste e locali, spesso si rifugia nello studio
dell’amica ritrattista, illustratrice americana Sara Neysa McMein,
che riunisce le teste pensanti dell’epoca, sarà lei a chiamarla:
Lee; un nome, che le
piacerà molto in quanto si adatta bene sia al femminile che al
maschile.
“Per
qualche ragione, vorrei essere sempre da un’altra parte. È solo la
mia inquietudine, il fuoco sotto il culo”. Il
ruolo di modella non la soddisfa, tutte vorrebbero essere lei, anche
oggi diventare modella è un punto di arrivo ma per Lee è solo un
punto di partenza, vuole passare dall’altra parte dell’obiettivo:
“Vuole fotografare e non essere una
foto”; per una donna inizio Novecento è
inaccettabile. Ma da protagonista della sua vita, decide
autonomamente e comunica alla famiglia che andrà a Parigi per
imparare dai maestri della fotografia. È Ray Man il pittore, grafico
e fotografo statunitense a cui Lee Miller si presenta, diventandone:
allieva, amante, musa ispiratrice. Lee è determinata, apprende
subito i segreti della fotografia, la collaborazione non sottolinea
differenze e casualmente sarà lei a scoprire la tecnica della:
Solarizzazione. (Tempo
differenziato della pellicola all’esposizione della luce), ma tale
scoperta verrà accreditata a Ray Man, così come molte delle sue
foto, avendo lui un nome più spendibile. Sarà modella e musa
ispiratrice per altri artisti surrealisti, fotografa con uno studio
privato (anche questo un gesto precorritore) in cui si trasferirà a
vivere, suscitando gelosia in Ray Man, il quale in un’autobiografia,
anni dopo, considererà Lee Miller un’artista fotografa. Ma questo
non esclude che negli anni parigini ne temesse l’autonomia e il
successo. La vita a Parigi di Lee è ricca di avvenimenti artistici e
culturali, ma comunque rientra a New York, fugge da un nuovo amore e
da Ray Man .Rientrando a casa, la metropoli americana è cambiata
nella forma ma sempre ricca di avvenimenti, aprirà con il fratello
uno studio fotografico, non sarà facile, troppi pregiudizi maschili
nei confronti della donna fotografa, il mondo del lusso la richiede
come modella e sminuisce la sua arte, considerandola un patetico
tentativo di una giovane ambiziosa di fare concorrenza ai più
quotati colleghi maschili. Ma proprio quando lo studio sta per
decollare, molte donne ricche e famose ambivano ad essere ritratte da
una donna di leggendaria bellezza e anticonformista, sorprende tutti
e raggiunta da un ricco e affascinante arabo, conosciuto a Parigi,
lui perdutamente innamorato, lo sposa.
“Mi
riservo il diritto di amare molte persone diverse allo stesso tempo,
e di cambiare spesso il mio principe”.
La
frase è della scrittrice Anais Nin, ma E. Miller l’ha fa sua nella
vita. Si trasferirà al Cairo ,cercando di calarsi nel ruolo di donna
ricca e felicemente sposata , sarà la sua passione
fotografica, in quegli anni ricca di foto straordinarie , a
farle sostenere il ruolo di moglie. Non resisterà nel mondo
principesco del marito arabo, lei una donna sposata nei cui
principi non rientrava certo la fedeltà coniugale. Partiva
spesso, organizzava escursioni nel deserto accompagnata da amici,
grandi scorte di liquori e dalla sua macchina fotografica. Le foto di
quel periodo, straordinarie, testimoniano una sua grande solitudine e
insoddisfazione. I suoi viaggi in solitaria, la portano sempre più
spesso lontana dalla dimora in cui si era imprigionata. Parigi e i
suoi amici surrealisti dalle lunghe chiacchierate le mancavano molto
e quando riuscì ad organizzare un viaggio per riviverla, Lee
incontrerà l’uomo con cui si reinventerà una vita: Roland
Penrose, pittore, poeta, ma soprattutto cultore e collezionista
d’arte, destinato a diventare il suo secondo marito nel 1947. Tra
viaggi con Roland, o da sola o con compagni di strada e tormenti
interiori riuscirà ad archiviare il matrimonio, lascerà Aziz, con
una lettera, oggi potremmo dire con un sms, per rientrare in Europa,
raggiungere Roland, insieme arrivare in Inghilterra. Quando la guerra
scoppia sono già insieme e Roland sarà arruolato come consulente di
camuffamento strategico. Lee, invece inizierà una collaborazione
editoriale con il British Vogue, anche grazie ad
una direttrice intelligente che intuisce il talento della Miller, per
non perdere il suo appuntamento con la storia, farà passare un nuovo
messaggio femminile, attraverso i suoi scatti: si al dovere senza
trascurare la bellezza. Scatterà foto di Londra e dei suoi
abitanti, di come si aspetta la guerra o come ci si organizza ad un
bombardamento. Ma è quando conoscerà un gruppo di americani, a
Londra per la rivista Time- Life; si esalta e decide di
condividere le loro idee, lo spirito cameratesco, linguaggio
informale, le abbondanti bevute oltre alla conoscenza di David
Scherman, brillante fotografo per Life e grazie al quale
riuscirà ad arruolarsi come corrispondente di guerra nell’esercito
americano .Saranno amici ed amanti condividendo l’avventura al
fronte. Roland? Non è ancora suo marito, ma come tutti i suoi
uomini accetterà anche il menage a trois per non perderla, ma
anche perché tra loro due il tradimento non era escluso.
Diventa fotoreporter e corrispondente di guerra per la rivista Vogue
grazie anche alla benedizione della direttrce Andrey
Whiters. Finalmente può indossare la divisa e nascondere quel corpo
ingombrante, gli uomini, adesso dovranno solo ascoltarla, guardarla
negli occhi. Alle lettrici di Vouge, tra le pagine di un giornale di
moda (trucchi e cappellini), inserirà documenti da i vari fronti,
reportage inimmaginabili, battaglie dai risvolti disumani, fotografò
gli esiti disastrosi e criminali dell’uso delle bombe, paesaggi e
uomini devastati, sarà tra le prime donne, al seguito dell’esercito
americano ad entrare nei campi di concentramento di Buchenwald e
Dachau; testimoniandone l’orrore del nazismo: uomini, donne,
bambini denutriti, mutilati o già cadaveri ammassati per la
soluzione finale. Fotografò la vita e la morte attraverso la luce e
la frammentazione, predilige il particolare, per descrivere ciò che
non si voleva vedere e credere. Quando inviava i rullini li
accompagnava con un telegramma dicendo: “Credetemi è tutto
vero”. Senza le sue foto e quelle di Scherman oggi ci
troveremmo ad affrontare una schiera maggiore di negazionisti. Riuscì
ad affrontare la guerra con i suoi orrori, come tutte le reclute,
fece uso di droga segnandola per la vita. La guerra sarà la sua vita
e la sua morte. In una Monaco occupata dalle forze di Liberazione,
anticipando le truppe entra, con David, nell’appartamento del
letale nazista, colui che aveva tolto all’uomo ogni forma di
umanità e dignità. Mentre fuori è tutto morte e distruzione,
dentro quelle mura Hitler esiste in un arredamento anonimo,
insignificante, scialbo: ”La banalità del male”; è la
casa che ha vissuto con la sua amante Eva Braun ma è la vista del
bagno che indigna più di ogni altra cosa Lee Miller: dai rubinetti
scorre l’acqua calda, le asciugamani , con le iniziali del
criminale, e il tappeto accanto alla vasca sono di un bianco
candido. Lee crolla emotivamente e con un colpo di genio creativo
liberandosi della divisa e degli anfibi che prima avranno sporcato il
bianco tappeto di fango e cenere dei campi di concentramento, si
immerge nuda nella vasca del Fuhrer, dandogli le spalle e guardando
una statuetta di donna, appoggiata in bella vista sul tavolo. La
scena creata dall’artista, viene scattata dal collega David
Scherman, fa pensare a una purificazione dall’orrore e dalle
schifezze della guerra, ma anche una possibile rinascita di
quell’arte che Hitler in tutte le sue forme aveva bandito,
distrutto o rubato. Calarsi nella vasca personale di Hitler è
uno sfregio alla sua criminalità e arroganza, fatto da una donna,
sicuramente rafforza il disprezzo per l’uomo più volte paragonato
al demonio. Un gesto simbolico con l’intento di ripagare tutte le
donne che avevano perso la dignità, la vita, i loro mariti, figli,
fidanzati, amanti per colpa di una ideologia aberrante.
Lo
scatto rimarrà nascosto per anni e solo dopo la morte della Miller,
il figlio Antony, casualmente ne farà la scoperta, insieme a un
enorme archivio storico fotografico, riportando alla luce una donna e
una madre che non aveva conosciuto. Quando a Lee chiedevano di
ricostruire il periodo della guerra e di poter vedere le sue
testimonianze fotografiche diceva che era andato tutto distrutto in
un incendio. Era lei che aveva deciso di non vivere del suo passato,
anche se era felice di averlo vissuto accanto a grandi personaggi
felice, adesso viveva solo per il presente. Quando la guerra finisce
Lee continua a viaggiare per una Europa distrutta, così come lei,
tutta da ricostruire negli ideali e nella forma. David l’ha
lasciata e l’alcol è il suo compagno, riesce comunque a trovare la
forza per raggiungere Roland in Inghilterra e scacciare la donna che
stava per prendere il suo posto. Con tutte le sue forze continuerà a
lavorare per Vogue, inviando articoli di moda, foto di una donna
diversa, più reale, ma lentamente si allontanerà dalla fotografia e
dagli articoli che inviava al giornale, soffriva di una grave
depressione legata ai traumi vissuti e visti in guerra, complicata
dal fatto che ora
era sposata, aveva un figlio senza il desiderio di essere madre. Sarà
la passione per l’arte culinaria a salvarle la vita, permettendola
nei decenni che le rimangono da vivere insieme a Roland di creare
nella loro casa di campagna, visitata spesso da amici artisti, il
ricettacolo culturale che oggi è diventato una vera e propria casa
museo dedicata alla conservazione e divulgazione delle loro opere e
di quelle dei loro amici artisti che condividevano i loro stessi
valori. Lee Miller morì di cancro nel 1977.
Serena
Dandini
Soverato, Biblioteca delle Donne
16 Febbraio 2021
|