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La vasca del Fuhrer

di Serena Dandini

a cura di Rita Punzi



II libro:” La Vasca del Fuhrer”, scritto da Serena Dandini, è stato per me una piacevole lettura. Ho sempre apprezzato la Dandini attraverso i suoi impegni come regista e conduttrice televisiva, molto seguito il programma La TV delle ragazze del 1988, riproposto nell’inverno 2020. Tra il 2012 e il 2013 mette in scena il suo primo testo teatrale, Ferite a Morte, ispirato a fatti di violenza sulle donne realmente avvenuti, interpretato da attrici, giornaliste italiane. Nel 2013 il testo teatrale diviene un libro, pubblicato da Rizzoli. L’8 Marzo 2014, in occasione della festa della donna, viene mandato in onda su Rai 5 in prima serata una sintesi dello spettacolo teatrale. Lo spettacolo inizia una tour mondiale che lo porta in molte città del mondo tra le quali Washington, New York, Bruxelles. È stato presentato alla sede delle Nazioni Unite e nell’ ottobre 2015 vince il premio come Miglior Evento No profit. Anche la Biblioteca delle Donne di Soverato metterà in scena il testo presso il teatro Del Grillo. La scrittrice Serena Dandini nasce a Roma, discendente da un’antica famiglia nobiliare, frequenta la Sapienza di Roma per frequentare il corso di letteratura anglo- americana, a tre mesi dalla fine, interrompe gli studi, per iniziare una carriera alla radio e… tanto altro.

Il libro: ”La Vasca del Fuhrer” è ricco di spunti , tante figure femminili sono pronte a raccontarci la loro storia: scrittrici, poetesse, scenografe, registe, pittrici, scultrici, stiliste, aviatrici, fotografe, tutte donne protagoniste della loro vita, sfumando il ruolo che le ha relegate in: muse ispiratrici. È un romanzo letterario, ma anche un romanzo storico. La scrittrice apre delle piccole finestre personali durante il racconto, forse per riflettere insieme su comportamenti che dipendendo dalla singola personalità e non dettata dai tempi. Il racconto si snoda tra la I (prima) e II (seconda) guerra mondiale in un momento di grande fermento culturale sia in Europa che in America; tutto sembra crescere e progredire: benessere, arte, scienza; e il secondo conflitto mondiale non lo si aspetta, non lo si immagina e…arriva all’improvviso. La protagonista è Elizabeth Miller nasce nel 1907, in una provincia vicino New York, sarà modella, fotografa e fotoreporter. Non è un personaggio storico ma “per l’indole vitale che l’ha sempre guidata”; le persone da lei conosciute e per i fatti da lei vissuti, possiamo dire che Elisabeth M. è stata una protagonista del suo tempo in ogni situazione e stagione della sua vita. La Miller è, soprattutto, una donna libera, non nel senso conquistato, ma nel modo più naturale possibile, con una determinazione rara alle donne della sua generazione. Agiva e viveva rivendicando per sé quelle prerogative, che in quei tempi, erano tipiche degli uomini. Nasce in una famiglia borghese dove scienza e progresso erano la loro religione. IL padre Theodore Miller, ingegnere, con la passione per la fotografia sarà il primo a ritrarla nuda, sin da bambina, priva di pudore, senza suscitare imbarazzo ad entrambi. È una figura importante, presente e accondiscendente nelle scelte di vita e professionali della figlia oltre a trasmetterle la passione per l’arte fotografica. La madre, invece, ne ammirerà il coraggio di vivere come una guerriera, coraggio a lei mancato! Elizabeth M. (in famiglia la chiamavano Le Le) dice di lei: Sembravo un angelo, fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro. Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina”. Infatti, è nel suo mondo, che il padre guardava fiducioso nei confronti del progresso umano (viene fatta a pezzi dalla brutalità del maschio. Pag.14); un amico di famiglia abuserà di lei all’ età di 7 anni. Esteriormente, vive con distacco tutto ciò a cui sarà sottoposta solo nel tempo accennerà al suo “lurido passato “sicuramente, amore e sesso, nella sua vita seguiranno strade parallele. Diventerà modella casualmente; per evitare un incidente automobilistico cade tra le braccia di uno sconosciuto…Nast Condè, imprenditore editoriale che sta trasformando un piccolo settimanale “Vogue” nella rivista che detterà legge in fatto di moda nel mondo. Elizabeth è il volto e il fisico ideali per la rivista nascente, il passo è breve per essere considerata tra le donne più belle dell’inizio Novecento, icona di femminilità, desiderata dagli uomini e ricercata dagli artisti surrealisti. Incarna lo stile di donna degli anni Venti, che rifiutano le scelte stabilizzatrici del matrimonio, famiglia e maternità. Le chiamano “Flappers”,per indicare un’adolescente vivace ed irrequieta, ma in senso dispregiativo e bigotto, una donna dai facili costumi. Ipocrisie e bigottismi per sottomettere la donna a un mondo declinato quasi sempre al maschile. Sarà Elizabeth, senza il suo consenso, prima donna a pubblicizzare una marca di assorbenti, suscitando scandalo e critiche nell’America puritana di quegli anni. Inizialmente infastidita e pronta a fare causa al giornale, accetterà con senso pratico e moderno, la possibilità di sdoganare un atteggiamento bigotto nei confronti di un fenomeno naturale, con la speranza di modernità e senso di libertà per la donna. Sempre richiesta in feste e locali, spesso si rifugia nello studio dell’amica ritrattista, illustratrice americana Sara Neysa McMein, che riunisce le teste pensanti dell’epoca, sarà lei a chiamarla: Lee; un nome, che le piacerà molto in quanto si adatta bene sia al femminile che al maschile.

Per qualche ragione, vorrei essere sempre da un’altra parte. È solo la mia inquietudine, il fuoco sotto il culo”. Il ruolo di modella non la soddisfa, tutte vorrebbero essere lei, anche oggi diventare modella è un punto di arrivo ma per Lee è solo un punto di partenza, vuole passare dall’altra parte dell’obiettivo: “Vuole fotografare e non essere una foto”; per una donna inizio Novecento è inaccettabile. Ma da protagonista della sua vita, decide autonomamente e comunica alla famiglia che andrà a Parigi per imparare dai maestri della fotografia. È Ray Man il pittore, grafico e fotografo statunitense a cui Lee Miller si presenta, diventandone: allieva, amante, musa ispiratrice. Lee è determinata, apprende subito i segreti della fotografia, la collaborazione non sottolinea differenze e casualmente sarà lei a scoprire la tecnica della: Solarizzazione. (Tempo differenziato della pellicola all’esposizione della luce), ma tale scoperta verrà accreditata a Ray Man, così come molte delle sue foto, avendo lui un nome più spendibile. Sarà modella e musa ispiratrice per altri artisti surrealisti, fotografa con uno studio privato (anche questo un gesto precorritore) in cui si trasferirà a vivere, suscitando gelosia in Ray Man, il quale in un’autobiografia, anni dopo, considererà Lee Miller un’artista fotografa. Ma questo non esclude che negli anni parigini ne temesse l’autonomia e il successo. La vita a Parigi di Lee è ricca di avvenimenti artistici e culturali, ma comunque rientra a New York, fugge da un nuovo amore e da Ray Man .Rientrando a casa, la metropoli americana è cambiata nella forma ma sempre ricca di avvenimenti, aprirà con il fratello  uno studio fotografico, non sarà facile, troppi pregiudizi maschili nei confronti della donna fotografa, il mondo del lusso la richiede come modella e sminuisce la sua arte, considerandola un patetico tentativo di una giovane ambiziosa di fare concorrenza ai più quotati colleghi maschili. Ma proprio quando lo studio sta per decollare, molte donne ricche e famose ambivano ad essere ritratte da una donna di leggendaria bellezza e anticonformista, sorprende tutti e raggiunta da un ricco e affascinante arabo, conosciuto a Parigi, lui perdutamente innamorato, lo sposa.

Mi riservo il diritto di amare molte persone diverse allo stesso tempo, e di cambiare spesso il mio principe”.

La frase è della scrittrice Anais Nin, ma E. Miller l’ha fa sua nella vita. Si trasferirà al Cairo ,cercando di calarsi nel ruolo di donna ricca e felicemente  sposata , sarà la sua passione  fotografica, in quegli anni ricca di foto straordinarie , a farle sostenere il ruolo di moglie. Non resisterà nel mondo principesco del marito arabo, lei una donna sposata nei cui principi non rientrava certo la fedeltà coniugale. Partiva spesso, organizzava escursioni nel deserto accompagnata da amici, grandi scorte di liquori e dalla sua macchina fotografica. Le foto di quel periodo, straordinarie, testimoniano una sua grande solitudine e insoddisfazione. I suoi viaggi in solitaria, la portano sempre più spesso lontana dalla dimora in cui si era imprigionata. Parigi e i suoi amici surrealisti dalle lunghe chiacchierate le mancavano molto e quando riuscì ad organizzare un viaggio per riviverla, Lee incontrerà l’uomo con cui si reinventerà una vita: Roland Penrose, pittore, poeta, ma soprattutto cultore e collezionista d’arte, destinato a diventare il suo secondo marito nel 1947. Tra viaggi con Roland, o da sola o con compagni di strada e tormenti interiori riuscirà ad archiviare il matrimonio, lascerà Aziz, con una lettera, oggi potremmo dire con un sms, per rientrare in Europa, raggiungere Roland, insieme arrivare in Inghilterra. Quando la guerra scoppia sono già insieme e Roland sarà arruolato come consulente di camuffamento strategico. Lee, invece inizierà una collaborazione editoriale con il British Vogue, anche grazie ad una direttrice intelligente che intuisce il talento della Miller, per non perdere il suo appuntamento con la storia, farà passare un nuovo messaggio femminile, attraverso i suoi scatti: si al dovere senza trascurare la bellezza. Scatterà foto di Londra e dei suoi abitanti, di come si aspetta la guerra o come ci si organizza ad un bombardamento. Ma è quando conoscerà un gruppo di americani, a Londra per la rivista Time- Life; si esalta e decide di condividere le loro idee, lo spirito  cameratesco, linguaggio informale, le abbondanti bevute oltre alla conoscenza di David Scherman, brillante  fotografo per Life e grazie al quale riuscirà ad arruolarsi come corrispondente di guerra nell’esercito americano .Saranno amici ed amanti condividendo l’avventura al fronte. Roland?  Non è ancora suo marito, ma come tutti i suoi uomini accetterà anche il menage a trois per non perderla, ma anche perché tra loro due il tradimento non era escluso.  Diventa fotoreporter e corrispondente di guerra per la rivista Vogue grazie anche alla benedizione della direttrce Andrey  Whiters. Finalmente può indossare la divisa e nascondere quel corpo ingombrante, gli uomini, adesso dovranno solo ascoltarla, guardarla negli occhi. Alle lettrici di Vouge, tra le pagine di un giornale di moda (trucchi e cappellini), inserirà documenti da i vari fronti, reportage inimmaginabili, battaglie dai risvolti disumani, fotografò gli esiti disastrosi e criminali dell’uso delle bombe, paesaggi e uomini devastati, sarà tra le prime donne, al seguito dell’esercito americano ad entrare nei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau; testimoniandone l’orrore del nazismo: uomini, donne, bambini denutriti, mutilati o già cadaveri ammassati per la soluzione finale. Fotografò la vita e la morte attraverso la luce e la frammentazione, predilige il particolare, per descrivere ciò che non si voleva vedere e credere. Quando inviava i rullini li accompagnava con un telegramma dicendo: “Credetemi è tutto vero”.  Senza le sue foto e quelle di Scherman oggi ci troveremmo ad affrontare una schiera maggiore di negazionisti. Riuscì ad affrontare la guerra con i suoi orrori, come tutte le reclute, fece uso di droga segnandola per la vita. La guerra sarà la sua vita e la sua morte. In una Monaco occupata dalle forze di Liberazione, anticipando le truppe entra, con David, nell’appartamento del letale nazista, colui che aveva tolto all’uomo ogni forma di umanità e dignità. Mentre fuori è tutto morte e distruzione, dentro quelle mura Hitler esiste in un arredamento anonimo, insignificante, scialbo: ”La banalità del male”; è la casa che ha vissuto con la sua amante Eva Braun ma è la vista del bagno che indigna più di ogni altra cosa Lee Miller: dai rubinetti scorre l’acqua calda, le asciugamani , con le iniziali del criminale, e il tappeto accanto alla vasca  sono di un bianco candido. Lee crolla emotivamente e con un colpo di genio creativo liberandosi della divisa e degli anfibi che prima avranno sporcato il bianco tappeto di fango e cenere dei campi di concentramento, si immerge nuda nella vasca del Fuhrer, dandogli le spalle e guardando una statuetta di donna, appoggiata in bella vista sul tavolo. La scena creata dall’artista, viene scattata dal collega David Scherman, fa pensare a una purificazione dall’orrore e dalle schifezze della guerra, ma anche una possibile rinascita di quell’arte che Hitler in tutte le sue forme aveva bandito, distrutto o rubato.  Calarsi nella vasca personale di Hitler è uno sfregio alla sua criminalità e arroganza, fatto da una donna, sicuramente rafforza il disprezzo per l’uomo più volte paragonato al demonio. Un gesto simbolico con l’intento di ripagare tutte le donne che avevano perso la dignità, la vita, i loro mariti, figli, fidanzati, amanti per colpa di una ideologia aberrante.




Lo scatto rimarrà nascosto per anni e solo dopo la morte della Miller, il figlio Antony, casualmente ne farà la scoperta, insieme a un enorme archivio storico fotografico, riportando alla luce una donna e una madre che non aveva conosciuto. Quando a Lee chiedevano di ricostruire il periodo della guerra e di poter vedere le sue testimonianze fotografiche diceva che era andato tutto distrutto in un incendio. Era lei che aveva deciso di non vivere del suo passato, anche se era felice di averlo vissuto accanto a grandi personaggi felice, adesso viveva solo per il presente. Quando la guerra finisce Lee continua a viaggiare per una Europa distrutta, così come lei, tutta da ricostruire negli ideali e nella forma. David l’ha lasciata e l’alcol è il suo compagno, riesce comunque a trovare la forza per raggiungere Roland in Inghilterra e scacciare la donna che stava per prendere il suo posto. Con tutte le sue forze continuerà a lavorare per Vogue, inviando articoli di moda, foto di una donna diversa, più reale, ma lentamente si allontanerà dalla fotografia e dagli articoli che inviava al giornale, soffriva di una grave depressione legata ai traumi vissuti e visti in guerra, complicata dal fatto che ora era sposata, aveva un figlio senza il desiderio di essere madre. Sarà la passione per l’arte culinaria a salvarle la vita, permettendola nei decenni che le rimangono da vivere insieme a Roland di creare nella loro casa di campagna, visitata spesso da amici artisti, il ricettacolo culturale che oggi è diventato una vera e propria casa museo dedicata alla conservazione e divulgazione delle loro opere e di quelle dei loro amici artisti che condividevano i loro stessi valori. Lee Miller morì di cancro nel 1977.



Serena Dandini



Soverato, Biblioteca delle Donne 16 Febbraio 2021

 
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