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ASSOCIAZIONE
“BIBLIOTECA DELLE DONNE DI SOVERATO” Palazzo di Città - 88068
Soverato (CZ)
IL
DISASTRO ECOLOGICO IN CORSO: NON LEGGETE SE NON SIETE OTTIMIST*
A
cura di Paola Nucciarelli
Le
pagine che seguono riguardano delle sintesi di testi vecchi e nuovi
sull’ecologia che ho letto nel corso degli anni e il sunto di
alcuni docufilm ecologisti e hanno lo scopo di sensibilizzarci nel
cercare di guarire il nostro povero pianeta martoriato, ma lo si può
fare solo se si vuole e se si è ottimisti/e… I testi consultati
sono a firma sia femminile che maschile perché penso che quando si
parla del benessere/malessere della Terra si debba sentire cosa hanno
da dire tutti, tutte e tutt*. Questo lavoro lo si può considerare
anche una sorta di “work in progress”, poiché io sono sola a
leggere, ma ci sono tanti e tante a scrivere…
Con
New Deal, (nuovo patto o nuovo accordo), si intende il piano di
riforme economiche e sociali promosso dal presidente statunitense
Franklin Delano Roosevelt fra il 1933 e il 1937, allo scopo di
risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli
Stati Uniti d'America a partire dal 1929. Il New Deal fu attuato
seguendo le idee dell’economista J.M. Keynes che consigliò che lo
stato intervenisse nell’economia attraverso anche grandi opere che
aumentassero l’occupazione, oltre ad altre riforme. In realtà, fu
necessario un secondo New Deal e poi solo con la Seconda Guerra
Mondiale l’economia statunitense ebbe un vero boom attraverso il
notevole sviluppo dell’industria bellica. A posteriori, secondo
eminenti economisti, anche di fazioni avverse come i liberisti, il
New Deal non fu miracoloso, ma lo fu il senso di ottimismo che
Roosevelt riuscì a trasmettere agli americani.
Sono
passati più di ottant’anni e… e abbiamo bisogno ancora di
ottimismo.
“Kierkegaard
in Aut Aut prende in giro l'uomo
indaffarato
per il quale darsi da fare è un modo per evitare di guardare a se
stesso con sincerità. Magari vi svegliate di notte e vi accorgete di
sentirvi soli nel vostro matrimonio o di dover pensare a ciò che i
vostri consumi stanno facendo al pianeta, ma il giorno dopo avete un
milione di piccole cose da fare e il giorno dopo ancora un altro
milione. Finchè sarete impegnati con le piccole cose non dovrete
fermarvi ad affrontare le questioni più grandi”,
scrive Jonathan
Franzen
nel saggio “La
fine della fine della Terra”.
Lo
scrittore ambientalista appassionato di birdwatching, argomenta che
la nostra ansia per le catastrofi future ci scoraggerebbe
dall’affrontare problemi ambientali risolvibili qui e ora, ma allo
stesso tempo, come trovare un significato nelle nostre azioni quando
sembra che il mondo stia per finire? Nel capitolo “Perché gli
uccelli sono importanti” sostiene che se potremo vedere ogni
uccello del mondo vedremo il mondo intero. Per sopravvivere in
tanti habitat diversi le circa 10.000 specie di uccelli del mondo si
sono evolute in una spettacolare varietà di forme che sono
altrettanto eterogenee dal punto di vista comportamentale. Ma
gli uccelli non sono morbidi e pelosi, eppure per molti aspetti sono
più simili a noi di quanto non lo siano gli altri mammiferi perché
costruiscono elaborate abitazioni per allevarvi la famiglia e fanno
lunghe vacanze invernali in posti caldi. Gli uccelli fanno anche
quello che tutti vorremmo saper fare ma che ci riesce solo un sogno:
volano.
Esiste
però una capacità essenziale che gli esseri umani possiedono e gli
uccelli no: quella di dominare l'ambiente.
Ora
l'uomo sta cambiando il pianeta, la superficie, il clima e gli oceani
troppo in fretta perché gli uccelli possano evolversi di
conseguenza. È vero che cornacchie e gabbiani prosperano nelle
discariche, ma il futuro di quasi tutte le altre specie alate dipende
dall'impegno che metteremo nel preservarle. Ci possiamo domandare se
il loro valore giustifica lo sforzo, un valore inteso nel senso
economico, di utilità per gli esseri umani. Senza stare ad
elencare i vari compiti essenziali che hanno i volatili come
impollinare, spargere semi e fungere da cibo per i mammiferi
predatori… ecc… gli uccelli possono utilmente indicarci lo
stato di salute dei nostri valori etici.
Un
motivo per cui sono importanti è che rappresentano il nostro ultimo
legame con un mondo naturale che sta scomparendo. Sono i
rappresentanti più visibili e diffusi della vita sulla Terra prima
che arrivassero le persone e condividono una linea di discendenza con
i più grandi animali mai esistiti. “Consegnare gli uccelli
all'oblio significa dimenticare di chi siamo figli” sostiene J.
Franzen.
Senza
essere dei puritani, si può sostenere che i cambiamenti climatici ci
porteranno presto in un domani infernalmente surriscaldato in cui
arriverà il giorno del giudizio, a meno che non ci pentiamo e
cambiamo vita, dove saremo tutti peccatori nelle mani di una Terra
arrabbiata.
Se
ci si domanda se sono più importanti gli uccelli degli esseri umani,
logicamente chiunque abbia un po’ di sale in zucca propenderebbe
per i secondi, ma secondo Franzen, dovremmo combattere il rischio di
estinzione dei volatili nel presente, lavorare per ridurre i numerosi
pericoli che stanno decimando le popolazioni di uccelli e investire
in progetti di conservazione su larga scala poiché queste non sono
le uniche cose che dovrebbe fare chi tiene alla natura, poiché
avrebbe un senso non farle solo se il problema del
riscaldamento globale assorbisse tutte le risorse di ogni gruppo
ambientalista.
Sostiene
anche che gli Stati Uniti, che sono il secondo produttore al mondo di
gas serra, non hanno ancora adottato seri provvedimenti contro i
cambiamenti climatici, non con Obama, tantomeno con Trump. Citando
poi, il filosofo Dale Jamieson afferma che il motivo per cui il
sistema politico statunitense non può adottare provvedimenti, non è
solo perché i produttori di combustibili fossili finanziano i
negazionisti e comprano le elezioni come pensano molti progressisti,
ma il motivo sta anche nella democrazia stessa. Una buona democrazia,
dopotutto, agisce nell'interesse dei cittadini e sono proprio i
cittadini delle democrazie ad alte emissioni a beneficiare della
benzina buon mercato e del commercio globale, mentre le conseguenze
del nostro inquinamento ricadono soprattutto su chi non ha il diritto
di voto: i paesi poveri, le generazioni future e le altre specie
animali. L’elettorato statunitense, in altri termini, è
razionalmente egoista.
In
generale, noi esseri umani oltre che saccheggiatori universali, siamo
sempre stati campioni di adattamento, ma ora stiamo provocando
estinzioni di massa, maggiori di quelle che ci sono state nel
passato. Il drastico calo demografico degli uccelli marini ha
molte cause. La pesca eccessiva delle acciughe, oltre che di altri
piccoli pesci preda, priva direttamente pinguini, sule e pulcianelle
delle calorie necessarie a riprodursi. La pesca eccessiva dei tonni,
che nei loro spostamenti spingono i pesci più piccoli verso la
superficie dell'oceano, può impedire a berte e procellaria di
raggiungere le loro prede. I cambiamenti climatici che alterano le
correnti oceaniche, stanno già causando fallimenti riproduttivi.
L'inquinamento
da plastica soprattutto nell’oceano Pacifico, intasa le interiora
degli uccelli e può provocarne la morte per fame. La minaccia numero
uno per gli uccelli marini, tuttavia, sono i predatori introdotti
dall’uomo: ratti gatti e topi che infestano le isole dove gli
uccelli si riproducono. Franzen ci racconta per esempio, che i topi
arrivarono nell'isola sudafricana Marion nel diciannovesimo secolo,
sulle navi baleniere e fochiere. Per contenerne l'espansione, negli
anni 40 del secolo scorso il governo sudafricano introdusse alcuni
gatti che ben presto s’inselvatichirono e anziché uccidere i topi,
si misero a decimare le specie di uccelli più piccole che nidificano
sull'isola.
L'autore
ci mette in guardia anche sul cambiamento climatico per quanto
riguarda l’acidificazione degli oceani, perché a un certo punto
gli invertebrati marini non riusciranno più a fabbricarsi il guscio;
il krill, un agglomerato di questi invertebrati, è un alimento
essenziale per molte specie di pinguini. Il cambiamento climatico sta
anche riducendo rapidamente i ghiacciai che circondano la penisola
antartica, e questi ghiacci forniscono una piattaforma per le alghe
di cui il krill si nutre in inverno…
“Ci
hanno detto che, come specie, gli esseri umani sono programmati per
non guardare lontano, per ignorare un futuro che tanto potrebbe non
arrivare mai. E così per sopravvivere in un mondo moderno dove anche
il sistema politico ed economico imperante premia la miopia,
impariamo a pensare, o non pensare come un pessimo guidatore...,
beviamo da un bicchiere di carta e ce ne sbarazziamo. Negli Stati
Uniti si buttano via 30.000 bicchieri di carta al minuto. Lontano, in
un altro continente, la foresta pluviale atlantica del Brasile è
stata abbattuta per creare vaste piantagioni di eucalipto che
riforniscono il mondo di carta… “ Continua
con una grande dose di ironia: “La
nostra vita è già abbastanza complicata senza che ci portiamo
dietro per tutto il giorno un bicchiere riutilizzabile…. e anche se
lo facessimo, sappiamo di vivere in un mondo progettato per pessimi
guidatori… gli esseri umani sono esseri
umani
e sono programmati come sono programmati ci penseremo quando sarà il
momento. “
Il
cambiamento climatico ha molte caratteristiche in comune con il
sistema economico che lo sta accelerando poiché analogamente a
questi, è transnazionale, ha effetti imprevedibili e dirompenti, si
autoalimenta ed è inevitabile. Il capitalismo tende verso una
monocultura globale, verso l'estinzione della differenza a livello di
specie e promuove l'idea che solo la tecnologia potrà risolvere il
problema delle emissioni di gas serra.
In
sintesi, è una reazione semplice, mentre il lavoro di conservazione,
al contrario, è complesso come un romanzo.
Franzen
cita anche la biologa statunitense Rachel Carson e il suo
testo “Primavera silenziosa”, il libro che ha motivato il
moderno movimento ambientalista dagli anni Sessanta in poi. È un
interessantissimo testo che andrebbe letto da tutti e tutte, ma
soprattutto reso obbligatorio nelle scuole da chi ci governa, se ci
fosse qualcuno con una minima onestà intellettuale.
Carson
denuncia, in un periodo in cui la parola “ambiente” non era
contemplata nel vocabolario politico, l’impatto che l’uso
sfrenato e ignorante dei pesticidi e dei diserbanti stava facendo
sulla salute pubblica e sull’ambiente. “Anche se inavvertito,
un truce fantasma cammina al nostro fianco, e la catastrofe… può
facilmente diventare tragica realtà” scrive. Lo scrive nel
1962, circa sessant’anni fa. Il saggio è una minuziosa analisi
degli effetti in agricoltura dell’uso degli insetticidi chimici, e
di sostanze velenose, inquinanti e cancerogene o mortali sugli esseri
umani e sulla natura. Carson spiega in largo anticipo che l’industria
che produce sostanze chimiche sintetiche è figlia della Seconda
Guerra Mondiale, quando si era alla ricerca di aggressivi chimici per
uso bellico e che tali sostanze, a differenza dei semplici
insetticidi inorganici (piretro, zolfo, rame…) possiedono un’enorme
attività biologica, poiché oltre ad avere un immenso potere come
veleni, sono in grado di inserirsi nei processi vitali e
possono anche stimolare in certe cellule quel mutamento lento e
irreversibile che conduce alla cancerogenesi. Gli insetticidi moderni
sono molto più nocivi del vecchio arsenico. La maggior parte
di essi appartiene al gruppo DDT noto anche come
dicloro-difenil-tricloroetano. Fu scoperto da un chimico tedesco nel
1874, ma le sue proprietà insetticide non furono scoperte che nel
1939 e poi il DDT fu scelto come arma per combattere le malattie
provocate dagli insetti e vincere la battaglia degli agricoltori
contro i parassiti. Allo scopritore, lo svizzero Paul Muller fu
assegnato il premio Nobel. L’endrina è ad esempio, il più tossico
idrocarburo clorurato, perché possiede una tossicità 15
volte superiore al DDT per i mammiferi, 30 volte per i pesci e 300
volte in alcune specie di uccelli. Uno dei casi più gravi di
intossicazione si è avuta quando in una casa infestata da scarafaggi
una famiglia cosparse un insetticida a base di endrina. Nonostante
l’allontanamento preventivo durante la disinfestazione e il
lavaggio successivo dei pavimenti, il loro cane morì la sera stessa
e il bimbo di un anno si intossicò gravemente riportando gravi
handicap.
L’altro
gruppo di insetticidi, quello dei fosfati organici, è composto di
sostanze chimiche velenose come poche altre al mondo. In Florida, ci
racconta la Carson, due ragazzi che avevano trovato un sacchetto
vuoto e se n'erano serviti per riparare un’altalena furono colti
poco dopo dalla morte e tre dei loro compagni di giochi caddero
ammalati.
Gli
insetticidi organici a base di fosforo agiscono sugli organismi
viventi in modo singolare: hanno la proprietà di distruggere gli
enzimi, quelle sostanze che adempiono funzioni tanto fondamentali per
il corpo umano. Il loro bersaglio preferito è il sistema nervoso,
perciò furono tanto “utili” per la produzione dei micidiali gas
bellici. “Il pericolo per il personale addetto all’aspersione
di insetticidi organici a base di fosforo nei campi, nei frutteti e
nelle vigne è tanto grave che in alcuni stati americani dove viene
fatto uso di queste sostanze chimiche esistono laboratori
specializzati per facilitare ai medici la diagnosi e la cura. Gli
stessi medici possono incorrere in qualche pericolo se non usano
guanti di gomma quando visitano i loro pazienti intossicati e
altrettanto può capitare alle lavandaie che lavano gli abiti
delle persone contaminate.” Il malathion, un altro fosfato
organico noto a quasi tutti quanti come il DDT perché è
impiegato dai giardinieri o come insetticida domestico contro la
lotta alle zanzare, è considerato il meno velenoso fra i
disinfestanti di questo gruppo e la pubblicità commerciale
incoraggia tale valutazione ottimistica, ma solo perché il fegato di
noi mammiferi lo rende relativamente inoffensivo sostiene Rachel
Carson, ma sempre se non ci sono interazioni con altre sostanze
chimiche… altrimenti la tossicità viene aumentata se non
potenziata…
Poi
esistono gli insetticidi sistemici, tutti prodotti per sintesi, che
hanno la proprietà di permeare tutti i tessuti di una pianta o di un
animale e renderli tossici agli insetti, ma la tossicità rimane sul
raccolto prodotto, ci mette in guardia Carson. Anche la guerra alle
erbe infestanti ha stimolato una larga e crescente produzione di
sostanze chimiche note con il termine di erbicidi e la favola che
erbicidi siano tossici solo per le piante e non costituiscano una
minaccia per la vita animale ha una larga diffusione, sostiene la
scienziata, ma sfortunatamente non corrisponde a verità perché
gli erbicidi comprendono varie sostanze chimiche che aggrediscono i
tessuti animali non meno di quelli vegetali e hanno un'azione
notevolmente diversa sugli organismi: alcuni sono veleni generici,
altri stimolano il metabolismo con tale violenza da provocare un
pericoloso aumento della temperatura corporea, altri che possono
agire in concomitanza con altri prodotti chimici, favoriscono la
insorgenza di tumori maligni, altri colpiscono il patrimonio genetico
delle specie provocando mutazioni genetiche. Inoltre, mentre i
pericoli che derivano da erbicidi, come l’arsenico di sodio o i
fenoli sono noti ora a tutti, gli effetti di altri sterminatori di
gramigna costituiscono un’insidia più grave. Perché ci sono
alcuni che vengono classificati come mutageni cioè capaci di
modificare i geni dai quali dipende l’ereditarietà… Se siamo
giustamente atterriti dagli effetti generici della radioattività
come possiamo allora restare indifferenti di fronte gli stessi
effetti provocati dalle sostanze chimiche che disseminiamo pazzamente
attorno a noi?
Nel
capitolo quarto Carson ci parla dell’inquinamento delle acque
superficiali e sotterranee a causa degli scarichi chimici di
fabbriche, dei residui radioattivi, degli scarichi domestici.
Ma non solo, ci descrive minuziosamente quello che l’uomo ha
combinato in un lago di montagna a 150 chilometri a nord si San
Francisco in California immettendo un insetticida, addirittura in
concentrazione molto bassa, esattamente il DDD, parente stretto del
DDT, per annientare le zanzare che disturbavano i pescatori… in
breve l’aumento di concentrazione dall’aria all’acqua, ai
pesci, infine agli uccelli che si nutrivano di loro aveva fatto sì
che si era creata una “fabbrica vivente” di tossicità che si
autoalimentava potenziandosi anche dopo due anni dall’interruzione
dell’insetticida tanto che era presente nei pesci appena nati, e
naturalmente nei pesci pescati, creando problemi alle ghiandole
surrenali umane.
Il
capitolo quinto interessa il suolo che è abitato da un'incredibile
abbondanza e varietà di forme viventi se ciò non fosse, il suolo
sarebbe una cosa morta e sterile. “Con la loro presenza e
la loro attività le miriadi di organismi (batteri, funghi, acari,
atteri, actinomiceti… e lombrichi) stanziate sul suolo consentono
ad esso di alimentare il verde manto della vegetazione terrestre”.
Nel suolo esiste una comunità in cui si intrecciano le varie forme
di vita ciascuna legata in qualche modo all'altra. Le creature
viventi dipendono dal suolo, ma il suolo a sua volta è l’elemento
vitale della Terra solo se vi prospera tale comunità insita in esso.
Carson ci mette di fronte a un altro problema: “Cosa succede a
questi innumerevoli e necessari abitatori del
terreno quando i veleni chimici si diffondono il loro mondo o per
immissione diretta come sterilizzanti o trascinati dalla pioggia che
ne è contaminata?” Carson scrive con delusione che l'ecologia
del terreno ha suscitato ben poco interesse anche negli scienziati ed
è quasi completamente ignorato da chi dirige le disinfestazioni. Una
delle cose più importanti da ricordare a proposito degli insetticidi
e la loro lunga persistenza nel suolo è che non si misura in mesi,
ma in anni. Alcune sostanze vi sono stata ritrovate dopo quattro anni
e si legge che il cloruro di benzene perdura almeno 11 anni e così
via… Irrorazioni apparentemente modeste di insetticida ripetute per
anni e anni possono accumulare nel suolo una spaventosa quantità di
veleni. Anche l’arsenico ci fornisce un caso di avvelenamento del
suolo praticamente permanente, per esempio, nonostante questo non sia
più utilizzato dal 1940. Infatti, è contenuto nelle sigarette
fabbricate col tabacco coltivato in America ed è aumentato del 300%
del 1932 al 1952, e analisi successive hanno accertato aumenti che
raggiungono il 600%.
Ci
troviamo quindi alle prese con un secondo problema non dobbiamo
preoccuparci soltanto di ciò che accade al suolo, ma chiederci anche
in quale misura gli insetticidi vengono assorbiti dal terreno e
introdotti nei tessuti vegetali… molto dipende dal tipo di suolo,
dalla coltura e dalla concentrazione dell'insetticida ovviamente… e
forse nel futuro prima di procedere alla semina di certe culture
occorrerà analizzare il suolo se abbia subito disinfestazioni,
altrimenti le coltivazioni anche se non irrorate con alcun
insetticida, possono assorbire dal terreno i vecchi residui e
produrre prodotti inutilizzabili per la vendita.
Carson,
la moderna Cassandra, ci dice: “Poiché l'uso degli
antiparassitari continua, e con esso proseguirà anche l’accumulo
di residui virtualmente indistruttibili, è quasi certo che andremo
incontro a funeste conseguenze.”
Oltre
alle varie piante che sono velenose per l'uomo e per il bestiame o
che costituiscono un'insidia per le piante coltivate, molte altre
vengono condannate allo sterminio semplicemente perché crescono nel
posto sbagliato e nel momento sbagliato, come ad esempio le piante
spontanee ai limiti delle strade.
La
scomparsa dei fiori selvatici, delle siepi lungo le strade di
campagna e attorno ai campi che procurano agli uccelli cibo e un
ambiente adatto alla nidificazione, piante che rappresentano
l'habitat di api selvatiche di altri insetti che provvedono
all’impollinazione sono molto più importanti per l'uomo di quanto
egli non creda.
Sugli
erbicidi di più largo impiego ci sono opinioni alquanto controverse
riguardo la loro tossicità, ma è stato appurato che gli animali,
tanto quelli selvatici che il bestiame da allevamento, sono spesso
attratti da una pianta irrorata da insetticidi anche se non fa parte
del loro nutrimento abituale e che successivamente hanno contratto
gravi malattie o intossicazioni. Carson dopo minuziosi esempi,
raccomanda la disinfestazione selettiva della vegetazione e il
controllo biologico, che è il sistema più naturale. La lotta
contro l'erba di San Giovanni, dannosa per il bestiame, può essere
attuata attraverso una specie particolare di insetti che se ne
nutrono così copiosamente da impedirne l’eccessiva diffusione,
oppure un certo lepidottero riesce a distruggere una foresta di
cactus selvatici con un costo anche molto più basso.
Nel
capitolo “Un’inutile strage” Carson ci descrive gli effetti di
una guerra mortale fatta a colpi di insetticidi sparati
dagli aerei contro un coleottero importato dal Giappone nel 1916, la
Popilia japonica, che procurò un disastro ambientale
raccapricciante, con uccelli morti per le strade dei paesi, gatti
morti, conigli selvatici e fagiani decimati… Episodi come questi ci
pongono di fronte a un quesito non soltanto scientifico ma anche
morale, dice Carson, si tratta di stabilire se una civiltà può
muovere una guerra incessante alla vita senza distruggere se stessa e
senza perdere il diritto di chiamarsi civile.
“Su
zone sempre più vaste del suolo statunitense la primavera non è
ormai preannunziata dagli uccelli e le ore del primo mattino
risonanti una volta del loro bellissimo canto appaiono stranamente
silenziose.”,
Così inizia l'ottavo capitolo dal titolo “Conseguenze dell’uso
degli insetticidi sulla vita degli uccelli”, in cui Carson ci
racconta che la lotta ai coleotteri che portavano alla morte
dell’olmo bianco, ha portato di fatto all’estinzione, per la
sterilità del pettirosso che si nutriva dei lombrichi contaminati e
con questa specie, un’elevata mortalità di altre 20 specie di
uccelli. Alcuni mammiferi furono coinvolti, poiché i lombrichi fanno
parte dell’alimentazione del procione e dell’opossum, oltre che
del topo ragno e della talpa e che passano il loro veleno agli
uccelli che li assalgono, come i barbagianni. Nel 1958 anche le
rondini furono duramente colpite. In sintesi, si chiede: “Si
può salvare con qualche altro sistema un po' meno ottuso la vita
degli alberi senza distruggere quella degli uccelli? Nell'economia
della natura, non si salvaguardano forse l'un l'altro? E non è
quindi possibile favorire questo sviluppo equilibrio naturale senza
distruggerlo?
Gli olmi pur essendo magnifiche piante ombrose non sono “vacche
sacre” e non giustificano un’interminabile campagna di
distruzione contro le altre forme di vita e inoltre, può essere che
non si riesca né a salvare le une, né gli altri. Carson continua
raccomandandosi di piantare alberi di specie diverse per evitare una
eventuale epidemia specifica… sarebbe semplice vero? Un altro
uccello americano che è a rischio d’estinzione, è l’aquila, il
simbolo nazionale. Già nel 1960 aveva subito una preoccupante
falcidia, per la riduzione della capacità riproduttiva. Esperimenti
su altri uccelli hanno dimostrato che il DDT e altri insetticidi
affini, anche se non determinano danni visibili nelle coppie di
uccelli adulti incidono gravemente sulla loro funzione riproduttiva.
Tali importanti studi indicano che il veleno insetticida colpisce una
generazione di individui anche se non è più a diretto contatto con
essa. L’accumulo di materiale tossico nell’uovo, nella sostanza
del tuorlo destinata ad alimentare l’embrione in via di sviluppo, è
un virtuale foriero di morte e spiega perché alcuni esemplari hanno
cessato di vivere prima ancora di uscire dall’uovo o pochi giorni
dopo.
Il
capitolo continua su cosa stava succedendo in Inghilterra alle volpi,
ai colombi e alle pernici o ai merli nell’Indiana meridionale, ma
interessante e bellissima è la sua riflessione: “Chi ha
permesso che venisse messa in moto questa spirale di progressiva
intossicazione questa onda di morte che si allarga come le
increspature prodotte dalla caduta di un sasso in uno specchio
d'acqua? Chi ha messo su un piatto della bilancia le foglie che
possono essere state mangiate dai coleotteri e sull'altro un restante
mucchietto di piume dai 1000 colori, tutto quello che rimane degli
uccelli abbattuti indiscriminatamente dalla mazzata dei veleni
insetticidi? Chi ha deciso - chi aveva il diritto di decidere - a
nome delle innumerevoli schiere di persone che non vennero consultate
che la cosa più importante da farsi è quella di cancellare dalla
faccia della Terra gli insetti anche se ciò comporterà l'avvento di
un mondo sterile su cui non si alza più il volo di un solo uccello?
Tale arbitrio denuncia la temporanea intrusione di un principio
autoritario nell'esercizio del potere essa tradisce la buona fede di
milioni di cittadini per il quale la bellezza e l'ordine del mondo
naturale hanno ancora un significato profondo e inalienabile.”
Il
capitolo nono affronta le cause dirette e indirette della morte dei
pesci, che soffrivano indubbiamente della contaminazione chimica
delle acque, mi sembra ovvio che sia così ancora adesso nonostante
l’utilizzo di insetticidi e diserbanti di nuova generazione, sigh…
Carson
continua nei successivi capitoli illustrando gli effetti delle
disinfestazioni aeree indiscriminate, del contatto quotidiano con i
veleni, degli effetti sui meccanismi intimi della cellula e quanto i
prodotti sintetici moderni siano cancerogeni e non sto qui a
spiegarli poiché Carson, essendo biologa lo fa scientificamente, ma
credetemi sulla parola: la realtà supera la fantasia.
Ma
il capitolo che mi fa ancora più impressione è il quindicesimo che
Carson intitola “La natura si ribella alla violazione dell’uomo”
perché per ironia della sorte il mondo degli insetti attraverso un
processo di selezione genetica sta sviluppando ceppi più resistenti
alle sostanze chimiche che nel frattempo hanno avvelenato l’ambiente
e il sedicesimo dove spiega che dopo la comparsa del DDT e di altri
composti ebbe inizio la vera “Era della Resistenza” degli
insetti. Sebbene la resistenza degli insetti sia una questione che
interessa prettamente l'agricoltura e la silvicoltura e nel campo
della salute pubblica che si nutrono le più gravi apprensioni
sostiene la biologa. La relazione fra molte specie di insetti e
numerose malattie che colpiscono l'essere umano è nota da molti
secoli, come la mosca domestica sia in grado di contaminare i nostri
alimenti, come le zanzare trasmettano la febbre gialla e altre
l’encefalite, come il pidocchio veicoli il tifo, e la peste
provenga dalle pulci dei ratti, le varie forme febbrili dalle
zecche… Carson sostiene che l'elenco delle specie resistenti
include ormai quasi tutti i gruppi di insetti aventi importanza
medica e che l'industria chimica comprensibilmente era restìa a
prendere in considerazione lo spiacevole fenomeno dell'aumentata
resistenza degli insetti. Rileva inoltre che le operazioni di
controllo mediante insetticidi stavano diventando sempre più costose
e più frequenti, perché, in sintesi, soltanto gli insetti più
robusti sopravvivevano all'attacco chimico, quegli insetti che
possedevano le qualità necessarie per sfuggire al danno e che
sarebbero diventati genitori di una nuova generazione che per
semplice eredità, avrebbero avuto le qualità di resistenza proprie
degli antenati. “Ne deriva -dice Carson- che le razioni intensive
con sostanze chimiche potenti riescono soltanto ad aggravare il
problema invece di risolverlo”. E faccio un esempio per
tutti: In Malesia, a Kuala Lumpur le zanzare da prima reagivano al
DDT fuggendo dai luoghi chiusi dove esso era cosparso, ma in seguito
acquistarono una tale refrattarietà da posarsi addirittura sulle
superfici dove lo strato di DDT era deposto. Se la domanda che ci si
pone è che se gli insetti acquistano la refrattarietà, la potrebbe
acquisire anche il genere umano, la risposta è che la potrebbero
acquisire attraverso centinaia di generazioni e quindi centinaia di
anni, se non millenni, mentre agli insetti è sufficiente qualche
anno poiché molte specie si riproducono in pochi giorni o settimane.
Che
possiamo commentare… da parte mia dico: Aiutoooo!!!
Siamo
di fronte a un bivio, scrive Carson sessant’anni fa: percorrere a
tutta velocità una bellissima autostrada verso il disastro o
imboccare una strada tortuosa che ci consenta di conservare
l’integrità della Terra.
Le
alternative da scegliere ci sono e sono molteplici per quanto
riguarda la lotta agli insetti, come la lotta di una specie contro se
stessa, rendendo sterile il maschio della specie, utilizzando
afrodisiaci per catturare i maschi di alcune specie, utilizzando gli
ultrasuoni… o i microrganismi batterici e infine combattere una
specie parassita con un’altra specie predatrice, perché la Natura
sarebbe autoregolatrice se le lasciassimo fare il suo lavoro.
L'attuale
mania per le sostanze tossiche non ha tenuto in alcun conto le
considerazioni di molti scienziati di utilizzare nuovo ingegnosi e
creativi propositi di risolvere il problema della coesistenza del
genere umano con le altre creature della terra ed è davvero
estremamente triste che una scienza così immatura abbia avuto
a propria disposizione le armi più moderne e terribili che, nella
lotta contro gli insetti, finisce per rivolgere contro la stessa
Terra su cui viviamo, conclude Carson.
Rachel
Carson venne attaccata duramente dopo la pubblicazione del saggio in
esame, fu definita “isterica” grazie ai soliti stereotipi di
stampo patriarcale e venne messa in discussione anche la sua
credibilità scientifica… No comment.
A
dispetto dei suoi detrattori, Primavera silenziosa gettò i
semi per il moderno movimento ambientalista, e ha inciso in qualche
modo sulle amministrazioni governative, multinazionali permettendo,
altro sigh.
Vandana
Shiva,
l’attivista politica e ambientalista indiana, nell’introduzione
al suo libro del 1988 “Terra
madre – sopravvivere allo sviluppo” ci
metteva già in guardia sulla natura che stava morendo e metteva in
luce coloro che si battevano per sostenere e conservare la vita
contro il modello patriarcale di sviluppo: le donne indiane.
“Con
la distruzione delle foreste e delle terre, con la contaminazione
delle acque stiamo perdendo quei sistemi che sostengono la nostra
vita. Questa distruzione si sta propagando nel nome dello sviluppo e
del progresso, ma deve esserci qualcosa di profondamente errato in
un'idea di progresso che minaccia la stessa sopravvivenza! La
violenza sulla natura che pare intrinseca al modello di sviluppo
dominante è anche
associata alla violenza sulle donne che dipendono dalla natura in
quanto ne traggono nutrimento per se stesse, per le proprie famiglie
e per le società in cui vivono.”
Il
libro di Shiva rappresenta un tentativo, anche filosofico, di
dimostrare come le donne indiane che vivono in ambiente rurale - e
che sono ancora inserite nella natura - percepiscano e esperimentino
la distruzione ecologica in atto e le sue cause e come esse abbiano
ideato e intrapreso azioni che non solo inibiscono la devastazione
della natura, ma ne favoriscono anche la rinascita.
Questo
libro concentra l'attenzione sulla scienza e sullo sviluppo come
progetti patriarcali in quanto neutrali rispetto alla classe alla
cultura e al sesso.
La
scienza moderna e lo sviluppo - sostiene - sono progetti di origine
maschile e nati in Occidente sia storicamente sia ideologicamente,
perché la rivoluzione scientifica in Europa trasformò la natura da
terra mater in macchina per la fornitura di materie prime per
poi arrivare al processo di produzione di manufatti per la
massimizzazione dei profitti. L’industrialismo ha creato un
appetito di risorse naturali che non conosce limiti e la scienza
moderna ha fornito l'autorizzazione etica e conoscitiva che ha reso
un tale sfruttamento possibile accettabile e persino desiderabile. Il
nuovo rapporto di dominio e signoria dell'uomo sulla natura è stato
di conseguenza associato a nuovi modelli di dominio e supremazia
sulle donne che sono state escluse da qualunque partecipazione alla
pari sia nella scienza sia nello sviluppo, denuncia Vandana
Shiva.
“L’odierna
attività di sviluppo nel Terzo Mondo sovrappone alle comunità
fondate sulle culture del Sud i paradigmi scientifici ed economici
creati dall’Occidente e l’ideologia fondata sul predominio di un
sesso sull'altro. La distruzione ecologica e l’emarginazione delle
donne, ora lo sappiamo, sono state gli inevitabili risultati di molti
programmi e progetti di sviluppo basati su tali paradigmi essi
violano l'integrità della natura e distruggono la produttività
delle donne.”
“Le
battaglie quotidiane sostenute dalle donne per la protezione della
natura hanno luogo nel contesto gnoseologico ed etico delle categorie
dell’India antica in cui la natura è “prakrti”, un processo
vitale creativo il principio femminile da cui sorge ogni forma di
vita. I movimenti ecologisti femminili rappresentando la
conservazione e il recupero del principio femminile, sorgono da
un’ideologia di liberazione aliena dalle distinzioni di sesso,
diversa sia dall’ideologia del patriarcato - fondata sulla
discriminazione sessuale - su cui si sviluppa il processo di
distruzione ecologica e il dominio delle donne, sia dalle risposte -
sempre basata sulla distinzione dei sessi - che l'Occidente ha
proposto fino a poco tempo fa.”
Nel
I capitolo “Sviluppo, ecologia e donne”, Shiva affronta lo
spinoso problema del colonialismo come sia stato visto una necessità
costante nella crescita capitalistica e che quindi che la creazione
di ricchezza era in perfetta concomitanza dell’altrui povertà ed
espropriazione. Il land grabbing.[1]
E cosa importa l’altrui povertà, se l’altrui
è
altro da noi? Sigh.
Le
Nazioni Unite proclamarono il decennio della donna nel 1975 che si
fondava sulla convinzione che dall'espansione ed alla diffusione del
processo di sviluppo sarebbe derivato automaticamente il
miglioramento della posizione economica delle donne. Alla fine del
decennio, divenne chiaro che il problema stava proprio nello sviluppo
e la causa del crescente sottosviluppo che colpisce le donne è stata
l’insufficiente e inadeguata partecipazione allo sviluppo e anche
la loro partecipazione forzata e asimmetrica per cui ne hanno
sopportato i costi senza condividerne i benefici. L'elitarismo e
l'espropriazione tipiche dello sviluppo hanno aumentato i processi
coloniali di degrado ecologico e la perdita del controllo politico
sulla base di sussistenza naturale. Alla fine del famoso decennio
dell'ONU per la donna, un documento collettivo di donne attiviste
organizzatrici e ricercatrici, tranne poche eccezioni, ha portato
alla conclusione che i livelli relativi di accesso da parte delle
donne alle risorse economiche, ai redditi e all’occupazione sono
peggiorati: il loro carico di lavoro è aumentato e la loro
situazione sanitaria nutrizionale ed educativa ha subito
un’involuzione in senso relativo e anche assoluto.
L'allontanamento
delle donne dall’attività produttiva con l'espansione dello
sviluppo si spiega con il fatto che i progetti di sviluppo si sono
appropriati o hanno distrutto la base naturale di risorse
indispensabile alla produzione di sussistenza e quindi alla
sopravvivenza. Così esso ha distrutto la produttività delle donne
sottraendo la terra, l'acqua e le foreste alla loro gestione al loro
controllo e distruggendo dal punto di vista ecologico il terreno,
l'acqua e gli ecosistemi vegetali. Sono state lese la produttività e
la rinnovabilità della natura.
“Ignorare
il lavoro della natura nel suo autorinnovarsi e il lavoro delle donne
nella produzione di sussistenza sotto forma di risposta ai bisogni
fondamentali e vitali, è una parte essenziale del paradigma del
malsviluppo,
che considera improduttivo tutto il lavoro che non produce profitti e
capitale. “
Come
ha detto Maria
Mies[2],
questo concetto del surplus si basa su un concetto patriarcale, che
considera solo i profitti, non la vita.
Shiva
cita il Mahtma Gandhi “Sulla Terra c'è abbastanza per
soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l'ingordigia di
pochi. “
Secondo
Vandana Shiva il malsviluppo (correntemente definito crescita
economica o PIL) è tale nel pensiero e nell’azione questa
prospettiva viola l'integrità e l’armonia fra uomo e natura e tra
gli uomini e le donne, spezza l'unità cooperativa fra il maschile e
femminile e pone l'uomo spogliato dal principio femminile al di sopra
della natura delle donne, e da entrambe separato. La violenza nei
confronti della natura - rivelata dalla crisi ecologico- e la
violenza nei confronti delle donne - rivelata da loro assoggettamento
e sfruttamento – sorgono dalla prevaricazione del principio
femminile. In pratica, la natura e le donne diventano
oggetti passivi da usare e sfruttare per i desideri incontrollati e
incontrollabili dell'uomo alienato da creatrice sostenitrici della
vita, la natura e le donne vengono ridotte a essere “risorse” nei
modelli del malsviluppo frammentario e contrario alla vita.
Ciò
che il patriarcato considera lavoro produttivo, in termini ecologici
è produzione distruttiva.
Allora, le lotte politico-ecologico delle donne, dei contadini e dei
tribali in paesi come l'India sono ancora più acute e urgenti perché
derivano dalla minaccia immediata all'opzione della sopravvivenza che
una crescita economica ha dato consumo e spreco di risorse pone alla
grande maggioranza della popolazione, a beneficio esclusivo di una
minoranza.
Le
popolazioni che vivono in un’economia di sussistenza non sono
povere, nel senso di “spogliate”, ma l’ideologia dello sviluppo
le dichiara povere perché non partecipano all’economia di mercato,
né consumano merci prodotte per il mercato multinazionale e non si
vestono con fibre sintetiche, bensì di fibre naturali o di abiti
fatti a mano.
Si
deve fare chiarezza: la sussistenza, come povertà concepita in senso
culturale, non implica necessariamente una qualità fisica di vita
insoddisfacente. L'abbondanza invece genera bisogni nuovi e
artificiali che richiedono un aumento continuo della produzione di
manufatti industriali e di servizi. Le economie tradizionali non sono
avanzate dal punto di vista della soddisfazione dei bisogni
superflui, ma per quello che invece riguarda la risposta alla
necessità fondamentali della vita.
Bisogna
tenere presente che la povertà dei nomadi Afar non deriva dalla
inadeguatezza della vita nomade tradizionale, ma dalla sottrazione
dei pascoli produttivi nella valle dell’Avash, per esempio. Senza
farla tanto lunga si può sostenere che il paradosso e la crisi dello
sviluppo nascono dalla errata identificazione della povertà
percepita in senso culturale con la reale povertà materiale e
dall’errata identificazione della crescita della produzione di
merci con una più ampia soddisfazione dei bisogni fondamentali. I
risultati attuali del processo di sviluppo sono: meno acqua, meno
suolo fertile, meno ricchezza genetica. Dato che queste risorse
naturali sono la base dell'economia della natura e della economia di
sussistenza delle donne, la loro scarsità impoverisce con intensità
mai vista le donne ed emargina le popolazioni. Il recupero del
principio femminile permette di trascendere e trasformare queste basi
patriarcali del malsviluppo. Si tratterebbe quindi, secondo Vandana
Shiva, di un progetto politico e al tempo stesso ecologista
femminista in grado di affermare quel modo di conoscere e di essere
che crea il benessere sostenendo la vita e la diversità e che toglie
legittimità alla scienza e alla pratica della cultura della morte,
fondamenti dell’accumulazione capitalistica.
Nel
capitolo “Scienza, natura e genere”, Shiva fa notare che solo da
poco tempo la cultura femminista ha iniziato a rendersi conto del
fatto che il sistema scientifico dominante è sorto come forza di
liberazione, non dell’umanità intera, ma come progetto maschile e
patriarcale, tant’è che Sandra Harding l’ha definito “progetto
occidentale, borghese, maschile” che ha seguito il metodo
sperimentale baconiano[3].
Una dicotomia tra uomo e donna, pensiero e materia, oggettivo e
soggettivo, razionale ed emotivo. Tale metodo non era neutro,
obiettivo e scientifico, ma maschile, aggressivo nei confronti della
natura e dominatore nei confronti della donna, secondo Shiva.
Una
filosofia meccanicistica boyleiana[4]
ha ridotto i saperi antichi dei nativi americani a ridicole idee di
esseri inferiori e solo da poco grazie a nuove consapevolezze
ecologiche si rende valore a convinzioni di popoli autoctoni per
vivere in armonia con la natura.
Shiva
definisce “riduzionista” la moderna tradizione epistemologica
della rivoluzione scientifica che è peculiare al moderno patriarcato
occidentale perché riduce la capacità degli esseri umani di
conoscere la natura escludendo sia altri agenti di conoscenza, sia
altre vie di conoscenza. Ci dobbiamo ricordare, infatti, la
caccia alle streghe che è stata in larga misura un processo di
delegittimazione e distruzione della competenza delle donne europee
nel XVI secolo, tanto che le donne furono completamente escluse dalla
pratica della medicina e della farmacopea perché le “donne
sapienti” correvano il rischio di essere dichiarate streghe.
La
visione del mondo riduzionista, la rivoluzione industriale e
l'economia capitalista sono state le componenti filosofiche,
tecnologiche ed economiche di uno stesso processo che mira alla
massimizzazione dei profitti. Nel paradigma riduzionista, ad esempio,
una foresta viene ridotta a legno commerciale e il legno alla fibra
di cellulosa per l'industria della polpa e della carta. Le foreste,
la terra e le risorse genetiche vengono quindi manipolate per
aumentare la produzione di polpa di legno e questa manipolazione può,
in realtà, diminuire la risorsa acqua nella foresta o ridurre la
diversità delle forme di vita che costituiscono una comunità
forestale. L'ecosistema vivente diversificato viene dunque violato e
distrutto dalla silvicoltura scientifica. In questo modo la scienza
riduzionistica è alla radice della crescente crisi ecologica.
“L'esclusione
da parte della scienza riduzionistica delle altre tradizioni di
conoscenze triplice: ontologica,
per il fatto che le caratteristiche altrui non vengono nemmeno
considerate; epistemologica,
per il fatto che gli altri metodi di percezione e conoscenza non
vengono riconosciuti; sociologica,
per il fatto che i non specialisti e i non esperti sono privati sia
del diritto di accesso alla conoscenza, sia del diritto di giudicare
le affermazioni fatte nei loro confronti”.
Tutto
questo secondo Shiva è una faccenda di politica non di scienza, e
anche se a difesa della scienza moderna si è sostenuto che non è la
scienza in sé a condurre la violenza, bensì il suo cattivo utilizzo
politico e l'applicazione tecnologica priva di principi etici. La
scienziata sostiene che questa affermazione è indifendibile poiché
la scienza e la tecnologia sono diventate inseparabili da un punto di
vista conoscitivo e che questa amalgama è stata incorporata nel
complesso scientifico-militar-industriale del patriarcato
capitalistico!
Il
problema non è solo tra l'uso e l'abuso della tecnologia, Il
problema è che la scienza vista come progresso a cui il mondo sembra
dover obbedire, viene fatta nei laboratori e il risultato scientifico
e la sua trasformazione materiale viene immesso nella natura senza
considerare le sue implicazioni.
Perché
mai più mutamenti di pensiero (nel senso di progressi scientifici)
dovrebbero necessariamente significare una teorizzazione più
razionale superiore dal punto di vista conoscitivo?
“La
verifica e la convalida di un sistema scientifico dovrebbero
significare anche una convalida nella pratica dove la pratica e la
sperimentazione sono le attività realmente vitali nella società e
nella natura. Il recupero intellettuale del principio femminile crea
nuove condizioni tali da permettere alle donne nelle culture non
occidentali di diventare le protagoniste principali del ripristino
della democrazia in ogni aspetto della vita come forze che
controbilanciano la cultura intellettuale della morte e della
marginalità creata dal riduzionismo. I movimenti ecologisti sono
movimenti politici che lavorano per un ordine mondiale non violento
in cui la natura viene conservata per permettere la sopravvivenza”.
Scrive Shiva.
Nel
terzo capitolo “Le donne nella natura” ci viene illustrato come
le donne indiane siano intimamente connesse con la natura: La natura
animata e inanimata, prakrti, è un'espressione di śakti,
il principio femminile creativo dell'Universo, che unendosi al
principio maschile purusa, crea il mondo.
Prakrti
afferma: “Solo io e nient’altro, sono la madre che dà la
vita.” È venerata come aditi, l’immensità
primordiale, l’inesauribile, la fonte dell’abbondanza.
Il
legame di vita e nutrimento fra l'essere umano e la natura si oppone
radicalmente dall'idea dell'uomo come essere separato che domina la
natura. Una buona illustrazione di questa differenza è il culto
quotidiano del basilico sacro nella cultura indiana e anche al di
fuori di essa, una piccola erba coltivata e venerata quotidianamente
in ogni casa. Da più di 3000 anni viene usato nella medicina
Ayurveda e ora anche la medicina occidentale gli riconosce diverse
proprietà… Indipendentemente dalle sue doti, il culto della
piantina avviene in quanto è simbolo del cosmo. Dissetando e
adorando ogni giorno il basilico sacro le donne rinnovano il legame
della casa con l'Universo, i suoi processi e la natura come
espressione creativa del principio femminile.
Le
vie ecologiche di conoscenza della natura sono necessariamente
partecipative. La natura stessa è l'esperimento e le donne
silvicoltrici, contadine e amministratrici delle risorse idriche sono
per tradizione scienziate della natura e la loro conoscenza è
ecologica e molteplice.
Il
simbolismo della Terra Mater - la terra come Grande Madre, creatrice
protettrice - è un concetto condiviso anche se vario attraverso lo
spazio e il tempo; gli attuali movimenti ecologisti occidentali si
ispirano largamente il recupero di Gaia, la dea Terra.
La
violazione della natura è legata la violazione e alla
marginalizzazione della donna, particolarmente nel Terzo Mondo. Le
donne producono e riproducono la vita non solo biologicamente, ma
attraverso il proprio ruolo sociale nel garantire la sussistenza.
L'accesso privilegiato da parte delle donne al principio che sostiene
la vita ha anche una base storica e culturale non solo biologica
poiché in alcune civiltà gli uomini parteciparono alla distruzione
della vita attraverso la guerra oppure dovettero emigrare e le donne
continuarono essere legate alla vita e alla natura per procacciare i
mezzi di sussistenza di cibo e acqua. Maria Mies ha definito
produzione di vita il lavoro delle donne:” le donne non si
limitavano a raccogliere e consumare ciò che cresceva in natura, ma
facevano crescere le cose.”
La
produttività, vista nella prospettiva della sopravvivenza, è
nettamente diversa dalla concezione dominante della produttività del
lavoro definita all'interno dei processi di accumulazione del
capitale. Il lavoro dell'uomo produttivo che produce merci usando le
ricchezze della natura e il lavoro delle donne come materia prima,
trattando ciò che ne rimane come rifiuto, diventa la sola categoria
di lavoro, ricchezza e produzione. Secondo una certa ideologia, la
natura e l'attività delle donne volte a produrre e riprodurre la
vita sono dichiarate improduttive. Sostiene Shiva.
“Con
Adam Smith[5]
la ricchezza creata dalla natura e dall’attività femminile diventò
invisibile. Il lavoro e precisamente il lavoro maschile, diventò il
fornitore di tutto il necessario e il superfluo dell'esistenza.
Questo assunto si diffuse in tutta la comunità umana introducendo un
dualismo all'interno della società e tra la natura e l'uomo. La
natura non era più fonte di benessere e sopravvivenza… le società
tribali non erano più creative produttive essendo marginali rispetto
la struttura della società industriale… la
svalutazione e il misconoscimento del lavoro e della produttività
della natura hanno condotto alla crisi ecologiche; la svalutazione il
misconoscimento del lavoro femminile hanno creato sessismo e
disuguaglianza tra uomini e donne. “
L'energia
di tutti gli organismi viventi in tutta la loro varietà e la
diversità dei viventi, sprigionano una straordinaria energia e anche
se invisibile, è il lavoro delle donne che provvede al sostentamento
e genera il reddito necessario a soddisfare i bisogni fondamentali.
Il loro lavoro nella foresta, nei campi, al fiume è silenzioso ma
indispensabile. Ogni donna in ogni casa dei villaggi indiani lavora
nell’ombra per dare sostanza vitale alla natura e alla gente. Il
malsviluppo distrugge e fa volentieri a meno di questo lavoro
fondamentale. Il mantenimento dei cicli ecologici non ha posto
nell’economia politica delle merci e del denaro, anzi distrugge i
cicli naturali riducendo la natura a materia prima e merce e crea il
bisogno di comprare e vendere.
Tutto
questo deve essere fermato, dice Shiva. Le donne in India
trasferiscono la fertilità delle foreste al terreno e gli animali.
Trasformano le deiezioni animali in fertilizzante per le colture e i
sottoprodotti agricoli in cibo per gli animali.
Lavorano
con la foresta per dare acqua ai campi e alle famiglie.
Il
rapporto di lavoro fra le donne e la natura viene spezzato quando il
progetto dello sviluppo diventa progetto patriarcale: la foresta
viene separata dal fiume, il campo dalla foresta, gli animali dalle
colture.
Ogni
elemento è sviluppato separatamente rompendo così il delicato
equilibrio che assicura la sostenibilità e l'equità.
Le
donne vengono rese superflue o colonizzate e la natura è storpiata.
Ma
in virtù del fatto che le donne del Terzo Mondo non sono state
colonizzate dalla categoria di pensiero del progresso scientifico
occidentale, esse si trovano nella posizione che meglio permette loro
di opporsi a questo sistema di malsviluppo.
Le
donne possono quindi giocare un ruolo centrale nell’arrestare,
sconfiggere le crisi ecologiche poiché possono rappresentare il pool
genetico intellettuale delle categorie ecologiche di pensiero e
azione. La marginalizzazione può diventare, quindi, una sorgente
terapeutica per le tante correnti malate dello sviluppo patriarcale -
dice Vandana Shiva.
L’ecologismo
e il femminismo possono confluire nel recupero del principio
femminile contro il malsviluppo patriarcale. Nel paradigma
occidentale, lo scrive circa 40 anni fa, le cose stanno per fortuna
cambiando… Il movimento ambientalista è separato dal movimento
delle donne e finché prevale questa visione, questi due movimenti
richiederanno solamente e separatamente concessioni all’interno del
malsviluppo dato che, nell’assenza di categorie
antagonistiche, quello è il solo “sviluppo” immaginabile. In
questo senso l'ambientalismo diventa un nuovo progetto patriarcale di
rimedi tecnologici e di oppressione politica, ciò significa anche
una nuova sudditanza dei movimenti ecologisti e l'inclusione di poche
donne come emblemi nella visione femminile della sopravvivenza che le
donne hanno conservato.
Il
femminismo frammentario si scopre così intrappolato in un’ideologia
della liberazione marcato dal genere escludendo la possibilità
di riscoprire il principio femminile non sono nella natura e nella
donna, ma anche nell'uomo.
A
questo punto Vandana Shiva critica la tesi sostenuta da Simone de
Beauvoir dell’accettazione del femminile e del maschile come
biologicamente determinati e riprende, criticandolo, il suo discorso
sull’uomo cacciatore come essere superiore e la donna
raccoglitrice, il secondo sesso. Quest’argomento lo affronterò
successivamente attraverso i testi di Yuval Noah Harari e Diamond, ma
mi piace aggiungere una tesi di Maria Mies: “l’uomo
cacciatore, di cui il paradigma patriarcale ha fatto un perfetto
esempio di produttività umana, è fondamentalmente un parassita, non
un produttore”.
Shiva
cita Herbert Marcuse a sostegno della sua tesi quando sostiene che la
liberazione e la femminilizzazione del mondo è auspicabile, poiché
il principio maschile è stata la forza fisica e mentale prevalente.
Una società libera dovrebbe essere l'esatta negazione di questo
principio: dovrebbe essere la società femminile.
Ma,
al tempo stesso, il limite di Marcuse è rimanere nell’ideologia
sessista del dualismo fra uomo e donna.
Esiste
una terza via, che trascende il sesso quando si capisce che il
maschile e femminile sono categorie ideologiche e che non esiste una
reazione esclusiva tra i valori femminili e l’essere donna.
Il
recupero del principio femminile, che è lo scopo di questo libro,
dice Vandana Shiva, è quindi legato alla categoria, non patriarcale
e non fondata sul sesso, della nonviolenza creativa, o potere
creativo in forma pacifica, come recitava Tagore nella sua preghiera
all'albero.
Il
capitolo 4 “Le donne della foresta” illustra quanto le donne
siano state fondamentali nell’economia di sussistenza. Dalla
foresta dell’India meridionale si ricavano 27 varietà di vegetali
che vengono usati a scopo terapeutico e 165 specie tra alberi,
arbusti e rampicanti di cui 17 il cui succo è bevuto fresco o
fermentato, 25 le cui foglie sono mangiate come verdura, e 10 i
petali. I frutti di 63 piante sono consumati acerbi, maturi o
arrostiti e ci sono ben cinque varietà di fichi, oltre alle more, e
ai frutti deliziosi di jalebi, ai sepali di mohwa e al
ber.
Le
cose sono cambiate con l’arrivo del colonialismo inglese: La
gestione indigena della foresta, ampiamente in mano femminile perché
serviva alla stessa sussistenza, si trovava a uno stadio evoluto, ma
gli interessi inglesi per le foreste si limitarono al legname
commerciale e il sapere indigeno fu sostituito da una scienza
forestale uni dimensionale e maschilista, sostiene Shiva.
Solo
dopo più di mezzo secolo di distruzione forestale indiscriminata
dagli interessi commerciali britannici, fu fatto un tentativo di
controllare questo sfruttamento e nel 1865 ci fu il primo Indian
Forest Act in cui si autorizzava il governo a dichiarare riserva le
foreste le terre incolte. Questa legge segnò l'inizio di una
gestione scientifica delle foreste e formalizzò appropriazione delle
foreste e la sottrazione dei diritti delle popolazioni locali sui
prodotti forestali. La silvicoltura commerciale è stata quindi
“riduzionista” sia per il contenuto intellettuale sia per il suo
impatto ecologico, in quanto ha ridotto la varietà della vita a
merce morta e legno, ma solo quel “legno” avente valore
commerciale. La foresta fu vista solo come magazzino di legname, e
non più come un complesso e vitale ecosistema.
In
economia ha valore solo quello che è commercialmente utile. SIGH
dico io.
Il
solo lavoro legato alla foresta ad apparire nelle statistiche è
l’abbattimento degli alberi, mentre per le donne Himalayane, per
esempio, le foreste sono cibo non nella morte, ma nella vita. Questo
non significa non dover usare il legname, anzi, la potatura con
modalità appropriate può aumentare la densità della foresta e la
sua produttività alimentare e la perizia, s’impara facendo. Shiva
poi descrive l’interessante movimento ecologico delle donne del
Chipko nato più di trecento anni fa e di una sua figura
fondamentale, nonché discepola di Gandhi: Mira Behn che studiò la
causa principale del degrado della regione indiana del Garhwal nella
scomparsa del banj e delle foreste miste a favore
dell’inserimento del pino commerciale. La questione non era,
quindi, di piantare gli alberi, ma di piantare alberi “ecologicamente
adatti”.
Nel
capitolo V, “Le donne nella catena alimentare”, Shiva denuncia
che si è passati dall’idea di agricoltura come processo di
nutrimento del suolo per mantenere la capacità di produrre cibo, al
concetto maschilista per cui l'agricoltura è un processo generatore
di profitti e le donne sono state allontanate progressivamente dalla
produzione alimentare poiché il paradigma maschilista giunto fino a
noi si è mascherato sotto con varie definizioni tipo “agricoltura
scientifica”…” rivoluzione verde”… rompendo quel legami
essenziali fra la silvicoltura, l'allevamento degli animali e
l'agricoltura che erano alla base del modello agricolo sostenibile.
Nel 1974 le donne che stavano proteggendo la loro foresta dissero:
”Questa
foresta è la casa di nostra madre. quando non c'è abbastanza cibo
veniamo qui a raccogliere frutti per i nostri bambini. Raccogliamo
erbe, felci e funghi. Non tagliate questa foresta o abbracceremo gli
alberi e li proteggeremo con le nostre stesse vite.”
Sin dall'inizio della storia le donne sono state le produttrici il
cibo e continuano ad avere un ruolo fondamentale nei sistemi
alimentari del terzo mondo. La cultura femminista ha iniziato a
focalizzarsi sul contributo dato dalle donne nell’addomesticamento
degli animali e nella coltivazione delle piante, quando le società
umane compirono la transizione dal modo di vita nomade (dedicato alla
caccia e alla raccolta) a quello agricolo e pastorale. Il paradigma
dell'uomo cacciatore sta lentamente sfumando con il riconoscendo del
contributo per la donna raccoglitrice e l'interdipendenza dei due
sessi nel rendere possibile la sopravvivenza attraverso la
collaborazione e la cura della base vitale del sostentamento. Nelle
società di caccia e raccolta le donne raccoglitrici procuravano
l’80% del nutrimento mentre la caccia non vi provvedeva che per il
20%. Inoltre, alle donne va il merito della scoperta
dell'agricoltura, dell'allevamento e della selezione delle razze in
più della metà delle 142 società orticole antiche, sostiene G.P.
Murdock in un suo testo etnografico. La distruzione a livello
mondiale del sapere agricolo femminile sviluppatosi nel corso di
quattro o 5 millenni condotta in meno di due decenni da un pugno di
scienziati di sesso maschile non ha semplicemente fatto violenza alle
donne come esperte: dal momento che la loro competenza in agricoltura
è relativa a un agricoltura modellata sui sistemi naturali della
riproducibilità, la sua distruzione è andata di pari passo con l'
annientamento dei processi ecologici e la rovina economica
delle popolazioni rurali più povere. Le sementi sono il primo anello
della catena alimentare e la conservazione di queste da parte delle
donne è stato anche importante per la conservazione della diversità
genetica ed è l'auto rigenerazione delle colture alimentari. Con la
Rivoluzione Verde tutto è cambiato e si è introdotto le nuove
varietà di sementi miracolose che hanno totalmente trasformato la
natura della produzione e il controllo sui sistemi alimentari. Le
sementi miracolo, per le quali Borlaug[6]
ottenne il premio Nobel, hanno rapidamente invaso il Terzo Mondo
introducendo una tecnologia mediante la quale le multinazionali hanno
acquisito il controllo delle sementi e quindi sull'intero sistema
alimentare.
La
Rivoluzione Verde[7]
commercializzando e privatizzando le sementi, hanno sottratto alle
contadine del Terzo Mondo il controllo sulle risorse genetiche
vegetali per consegnarlo ai tecnocrati occidentali di sesso maschile
e delle società multinazionali delle sementi. La strategia di
riproduzione maschilista della Rivoluzione Verde è rimasta estranea
al principio femminile distruggendo il carattere di auto riproduzione
e la diversità genetica delle sementi con la morte del principio
femminile nella riproduzione vegetale, le sementi iniziano a
diventare fonte di profitto e controllo. Gli ibridi “miracolo”
sono un miracolo solo dal punto di vista commerciale perché gli
agricoltori devono rifornirsene ogni anno in quanto gli ibridi non si
riproducono e quindi sono ora fonte di profitto privato, mentre prima
i semi erano fonte di vita per la pianta e fautori della
sopravvivenza.
Queste
nuove varietà di sementi sono anche state chiamate varietà ad alto
rendimento, tuttavia, la definizione è erronea perché di per sé i
semi “miracolo” non hanno un alto rendimento la loro
caratteristica distintiva elevata è capacità di risposta a massicce
dosi di input quali l’irrigazione e fertilizzanti chimici.
Per
fare un esempio, negli anni 60 fu introdotto in aree irrigate il
sorgo ad alto rendimento che era però sensibile agli agenti nocivi
che richiese l’irrorazione di pesticidi i quali distrussero
l'equilibrio preda-predatore nei campi vicini coltivati a varietà
indigene. Queste ultime furono attaccate da un moscerino che divenne
in breve un nuovo flagello. Secondo V. Shiva, elevato rendimento
delle varietà HYV è una finzione riduzionista, che sta distruggendo
l'effettiva capacità degli ecosistemi e dell'uomo di produrre cibo.
La nuova scienza riduzionista non riesce a vedere a misurare tutto
questo e quindi i suoi nuovi semi distruggono i ricchi e produttivi
sistemi agricoli, nella totale ignoranza di ciò che essi
distruggono. Le multinazionali dei semi sono sempre più integrate
con le aziende chimiche e questo la dice lunga anche per l'uso di
pesticidi e antiparassitari oltre che all’utilizzo dei
fertilizzanti chimici.
La
questione dell’autosufficienza alimentare fondata sulla rivoluzione
verde in India è un mito perché la disponibilità nutritiva è nel
complesso diminuita perché se si calcolano anche i costi per l'eco
sistema agricolo in termini di degrado del suolo, saturazione idrica,
salinità e desertificazione la Rivoluzione Verde è lungi
dall'aumentare la produttività, l’ha ridotta. Solo una
scienza agricola prevenuta e nata dal patriarcato capitalistico
poteva considerare inferiori alcune colture alimentari quali i
ragi e lo jowar che le donne preferiscono perché è
più nutriente di quelli il maggior valore commerciale. Esempio
estremo di questa visione polarizzata e il bathua,
un'importante ortaggio verde a foglie dall' elevatissimo valore
nutritivo, che cresce in associazione con la coltura del grano. Con
l'uso massiccio di fertilizzanti chimici il bathua è
diventato il principale competitore del grano per cui esso è che è
stato dichiarato una malerba ed eliminato a forza di erbicidi
e anti-infestanti: il ciclo alimentare si è rotto e le donne ora
sono prive del loro lavoro e i bambini di una fonte di nutrimento
gratis.
Dal
momento che la diversità genetica lavora contro la logica
dell’accentramento del controllo secondo una certa mentalità
patriarcale occorre sopprimerla. Il caso del riso, il cibo
fondamentale nella maggior parte dell'Asia, è quello che meglio
illustra le conseguenze del controllo centralizzato delle risorse
genetiche. Un tempo l'India coltivava normalmente 400.000 varietà di
riso. Nell'ultimo secolo ha probabilmente coltivato circa 30.000
varietà. Con la produzione e il trasferimento centralizzati del riso
HYV è cominciata la diffusione delle malattie virali delle piante
che non esistevano in India prima del 1962 e che arrivarono con le
varietà nane. Finita la resistenza fondata sulla diversità
genetica, al suo posto si ebbe un'elevata vulnerabilità con un
totale sconvolgimento dell’ecologia e dell’economia della
coltivazione del riso in particolare e dell’agricoltura in
generale. Per fare un esempio, la conversione del riso tradizionale a
riso ad alto rendimento aumenta la resa in chicchi, ma diminuisce la
paglia disponibile e la scarsità di quest’ultima a sua volta
riduce la disponibilità di biomassa da utilizzare come foraggio e
come pacciamatura portando alla fine del riciclaggio nutritivo. Si è
osservato che la rivoluzione verde non è l'unica strategia possibile
per aumentare le rese, per esempio, si possono introdurre le doppie
coltivazioni di riso-fave in campi concimati organicamente nello
Yunnan cinese che danno un rendimento da due a tre volte superiore a
quello della varietà introdotti dalla Rivoluzione Verde…
È
stato il desiderio di potere, profitto e controllo non le rese a far
sì che gli interessi delle imprese globali e della cooperazione
internazionale abbiano optato per i semi “miracolo” che rendono i
contadini dipendenti dai semi e dai preparati chimici prodotti dal
mercato internazionale. In breve, la cosiddetta Rivoluzione Verde
degli anni 70 hai messo in ridicolo due parole meravigliose:
rivoluzione e verde. L’era post Rivoluzione Verde
potrebbe fondarsi sul recupero del principio femminile nella
agricoltura, nel senso di un recupero della diversità genetica del
l'auto rinnovabilità e dell’autosufficienza nella produzione
alimentare rimettendone il controllo nelle mani di chi permette la
sussistenza, auspica Vandana Shiva. Sempre in questo quinto capitolo
la biologa ci mette in guardia contro un progetto della Pepsi
(Pepsi Cola) nell’ambito di questa “diversificazione” di
stampo industriale perché questo significherebbe un ulteriore
controllo politico ed economico sulle risorse viventi, ulteriori
vulnerabilità ecologiche e nuovi livelli di erosione genetica, nuove
fonti di spogliazione ed emarginazione per le donne e per le comunità
rurali povere. Il progetto della Pepsi si poneva in primo luogo,
l'obiettivo di produrre e trasformare prodotti orto frutticoli per
esportarli. In questo modo si allontanava dalla Rivoluzione Verde che
si focalizzava sulla produzione di grano e riso commerciali per la
soddisfazione delle necessità alimentari nazionali, ma promuoveva le
biotecnologie che avrebbero fabbricato i semi di frutti e ortaggi più
adatti alla trasformazione. Nel suo business dei semi e
della lavorazione alimentare industriale la Pepsi ha anche inserito
biotecnologie come la propagazione clonale e la coltura dei tessuti
per produrre “super piante”, “super alberi” e “super semi”.
Secondo Shiva, questa superiorità sarà stabilita dal pensiero
riduzionista e la superiorità e l’inferiorità saranno il nuovo
dualismo: creazioni culturali di una biotecnologia fondata unicamente
sul criterio del profitto. L'impatto ecologico e culturale finale di
questo nuovo riduzionismo sarà l’annientamento della diversità e
della sostenibilità nella natura e come diretta conseguenza dei
bisogni dei diritti umani fondamentali.
“Non
abbiamo bisogno dell’ingegneria genetica che inserisce geni auto
fissatori nel mais e nel miglio, dato che le donne e i contadini per
secoli si sono avvalsi della scelta più ecologica, di far fissare
l’azoto con le colture miste di mais-fagioli e miglio-legumi vari.”
Scrive
Shiva.
La
fertilità della terra sta tutta nel sottile strato superficiale del
suolo, l’humus, che sostiene la vita nelle piante e che a sua volta
è protetto dalle piante. Oggi i suoli dell’India stanno morendo,
soprattutto i terreni più fertili per la violenza tecnologica della
Rivoluzione Verde mentre, invece, le colture miste specialmente
leguminose associate ai cereali, aiutano anche la fertilità del
suolo perché fissano l'azoto. Malgrado le generose somministrazioni
di fertilizzanti in molti luoghi del Punjab si ebbero perdite di
sostanza organica dopo pochi anni di raccolti eccezionali in seguito
all' introduzione della Rivoluzione Verde perché una coltivazione
intensiva multipla sottrae molto rapidamente al suolo i microelementi
nutritivi.
La
Rivoluzione Verde ha anche causato fenomeni di tossicità del suolo
introducendo negli ecosistemi quantità eccessive di certi
oligoelementi, oltre a introdurre l'inquinamento da nitrati nei corsi
d'acqua a causa dei fertilizzanti chimici e l'avvelenamento da
pesticidi dell'intero ecosistema. Un secondo gruppo di problemi per i
suoli fertili sorge dall’elevato fabbisogno idrico, anche tre volte
superiore, da parte di quelle nuove varietà e alla diffusione
dell'irrigazione intensiva come risposta a questa esigenza che ha
creato scompensi idrologici o anche deserti saturi di salinità.
L’irrigazione intensiva ha introdotto negli ecosistemi quantità di
acqua superiori alla capacità di drenaggio di certi suoli e ha
causato un innalzamento delle falde freatiche e quindi la saturazione
che riduce la reazione del terreno, riduce la crescita delle radici
per poi attaccare la crescita delle piante. È il fenomeno opposto
alla desertificazione per inaridimento. Strettamente
legata al problema della saturazione idrica è la salinizzazione: il
sale che avvelena le terre arabili. L’irrigazione nei suoli a
precipitazioni scarse fa salire il sale in superficie perché l’acqua
evaporando si lascia dietro un residuo biancastro ed è proprio
questa salinizzazione che ha distrutto l'agricoltura mesopotamica.
Oggi l'invasione salina che comprende l’acidità e l’alcalinità
minaccia più di 1/3 delle terre irrigate nel mondo. La Rivoluzione
Verde, che provoca deserti saturati e salati nelle aree dei grandi
progetti di irrigazione, causa simultaneamente carenze idriche in
altre regioni, sia costruendo dighe e deviando i corsi d'acqua, sia
sfruttando eccessivamente le acque sotterranee… e Shiva continua a
ribadire per diverse pagine, con dati alla mano, che la vita
dell’acqua e dei suoli è stata barattata con pochi anni di incassi
e che trova paradossale che ora (era il 1988), l’antidoto alla
morte dei suoli sia nelle mani di quelli che per primi hanno creato
il problema… mentre, la riscoperta dei suoli può avvenire, secondo
il suo pensiero, attraverso una filosofia che consideri capitale
agricolo la fertilità del suolo e non il denaro, che veda le donne,
e non nelle fabbriche di fertilizzanti, le fornitrici di fattori
produttivi e che infine ponga la natura e i bisogni umani, anziché i
mercati, al centro di un’agricoltura e di un uso della terra
sostenibili.
Si
dovrebbe recuperare il principio femminile nell’agricoltura,
quindi.
Dopo
circa 20 anni dalle denunce di Rachel Carson contro i pesticidi,
anche Shiva ci mette in guardia contro il DDT e i suoi fratelli
assassini, sostenendo, inoltre, che proprio i semi modificati sono
molto vulnerabili agli agenti nocivi e richiedono un uso massiccio di
pesticidi, adottando così la cultura della morte, patriarcale e
riduzionista come segno di efficacia.
Il
ragi, un cerale comune in India introdotto dal Corno d’Africa
circa 4 mila anni fa, ha garantito ai contadini una dieta bilanciata
e proteine biologicamente complete come quelle del latte e
rappresentava una vera coltura “miracolo” perché molto forte e
resistente alla siccità, oltre a essere esente da funghi e attacchi
di insetti nocivi. Nel tentativo di migliorare un prodotto perfetto,
la cultura della crisi, secondo l’ideologia della
Rivoluzione Verde, ha introdotto gli insetti nocivi in una coltura
che ne era esente e la vulnerabilità alla siccità in una coltura
prima resistente… Che dire? Shiva sostiene: ”Con il pacchetto
HYV, che include i pesticidi, spesso si piantano i semi della
carestia”.
A
proposito del DDT, De Bach[8]
scriveva nel 1974 che c’era un aumento di parassiti resistenti a
questa sostanza tossica che poteva variare da 36 a 1200 volte!!!!
In
presenza di condizioni ecologiche stabili si crea invece un
equilibrio tra le piante e i loro parassiti, grazie alla competizione
naturale, alla selezione e ai rapporti predatore preda. L’aver
sostituito le colture miste con le monoculture ha reso queste ultime
più facilmente soggette alle invasioni di parassiti e la
meccanizzazione delle attività agricole, obbligato alla distruzione
delle siepi e degli alberi nei campi eliminando così i naturali
habitat di alcuni predatori dei parassiti perché nel controllo di
questi gli uccelli gli alberi sono altri lavoratori invisibili. Le
mucche che producono l’humus, gli uccelli che si nutrono di
insetti, gli alberi che forniscono cibo per le mucche e ospitano i
nidi degli uccelli, sono i membri della famiglia terrestre su cui si
devono basare le strategie di controllo permanente degli insetti.
Le
alternative non violente esistono, ma per vederle si richiede una
percezione femminile ed ecologica e per praticarle occorre dare
spazio alle priorità femminili del sostegno e del rafforzamento
della vita.
Dal
punto di vista ecologico, la mucca è stata centrale nella civiltà
indiana e proprio per questo è considerata inviolabile e sacra come
madre della prosperità dei sistemi alimentari. Il bestiame locale
non compete con l'uomo per il cibo, ma anzi produce fertilizzante
organico per i campi e quindi ne aumenta la produttività, fornisce
nutrimento attraverso il latte e fornisce il cuoio, oltre alla forza
lavoro nei campi. Le razze indigene evolutesi nel corso dei secoli
sono specificamente adatte al clima indiano: hanno uno strato
epidermico per tollerare meglio il caldo, colori tenui per assorbire
di meno la luce solare, orecchie e coda lunghe per allontanare gli
insetti, una gobba per conservare il grasso muscolare.
La
rivoluzione bianca, da non confondere con il programma di
modernizzazione dell’Iran ai tempi dello Scià Reza Pahlavi, ha
fatto danni anche in quest’ambito perché si sono introdotte altre
razze produttrici di latte come la rossa danese, la bruna svizzera,
la frisia e altre ancora con l’intento di incrociarle con lo zebù
locale per il latte, ma che non possiedono le caratteristiche adatte
per il clima e la forza lavoro. Quella che Shiva chiama rivoluzione
bianca, secondo il suo pensiero è un eccellente esempio di
riduzionismo: ha ridotto la mucca a macchina del latte e il latte a
mera merce da vendere anziché alimento essenziale che dovrebbe
essere consumato nelle aree rurali e questo mutamento ha emarginato
il lavoro delle donne e il loro controllo sul reddito derivante dai
prodotti lattiero caseari e ha causato la denutrizione di molti
bambini nelle aree rurali.
Shiva
auspica il recupero del principio femminile nel settore lattiero
caseario che implica il recupero dell'integrità della mucca e il
rigetto della “sacralità” di una scienza che è violenta.
Implica il recupero dell’integrazione fra le attività lattiero
caseari e le coltivazioni e la ricostruzione delle interconnessioni
suolo animali. Secondo il suo pensiero, l'ordine del giorno
femminista per quanto riguarda il cibo, deve essere il recupero del
principio femminile nella produzione alimentare così da assicurare
la sostenibilità e la diversità ed equi modelli di distribuzione.
Nel
capitolo VI “Le donne e la scomparsa dell’acqua”, sostiene che
in India come in Africa la siccità è un prodotto umano assai più
che un disastro naturale e che la creazione della siccità e della
desertificazione deriva dalla scienza riduzionista e da modelli di
sviluppo che violano i cicli vitali nei fiumi, nei suoli e nelle
montagne.
I
fiumi sono in secca perché i loro bacini sono stati minati,
disboscati o coltivati in eccesso, per ottenerne profitti. Le
sorgenti sotterranee scompaiono perché sono state ipersfruttate per
l’irrigazione delle colture da reddito. Un villaggio dopo l'altro
viene derubato della sua ancora di salvezza, cioè le sue sorgenti di
acqua potabile, e il numero di villaggi sottoposti alla scarsità
d'acqua è direttamente proporzionale al numero di “progetti”
realizzati dalle agenzie governative per “sviluppare” l'acqua.
L'acqua va dal mare alle nuvole, alla terra e ai fiumi, ai laghi e ai
corsi sotterranei, per tornare alla fine all'oceano e porta vita
ovunque passa. È una risorsa rinnovabile proprio in virtù di questo
ciclo senza fine tra il mare, il cielo e la terra. A differenza di
ciò che gli ingegneri ci fanno credere, l'acqua non può essere
aumentata o creata. La si può deviare, redistribuire e anche
sprecare, ma la disponibilità di acqua sulla Terra è collegata e
limitata dal ciclo idrico, ma se sfruttata oltre questi limiti
scompare e si prosciuga. L'iper sfruttamento per pochi decenni può
distruggere sorgenti che hanno nutrito la vita per secoli. Gli
approcci dominanti all'uso e alla gestione dell'acqua sono
riduzionisti e mancano di cogliere la natura ciclica dei flussi
idrici poiché essi semplificano e mercificano la percezione
dell'acqua come risorsa e creano l'illusione che si possa produrre
l'abbondanza mentre si sta provocando la penuria.
Nel
pensiero indiano le foreste naturali nei bacini dei fiumi
costituivano il miglior meccanismo per il controllo delle acque e la
prevenzione delle inondazioni e quindi le foreste nei bacini dei
fiumi dei torrenti erano considerate sacre. In breve tempo i templi
dell'India antica dedicati alle dee del fiume sono stati sostituiti
dalle dighe secondo una forma mentis maschilista e quando si
costruiscono le dighe sommergendo vasti bacini boscosi e le acque del
fiume vengono deviate dal loro corso e incanalate si commettono
quattro tipi di violenza, secondo Shiva:
-
la
deforestazione nel bacino che riduce la quantità di caduta delle
piogge e quindi la portata dei fiumi trasformandoli da perenni in
stagionali;
-
la
deviazione dell'acqua dal suo corso naturale e dalle zone bagnate
originariamente ad altre “stabilite” in modo ingegneristico porta
la saturazione e alla salinità;
-
la
deviazione dell'acqua dal suo corso naturale fa sì che il fiume non
reintegri più i corsi d'acqua sotterranea in corrispondenza;
-
la
riduzione degli afflussi di nuova acqua dolce nel mare perturba
l'equilibrio acqua-dolce acqua-marina e dà luogo a processi di
salinizzazione ed erosione delle coste.
I
fiumi, imprigionati nelle dighe e devastati da sistemi idraulici
giganteschi, non possono più compiere le loro molteplici funzioni
nel mantenimento della diversità della vita lungo il bacino.
Significativa è una canzone cantata dalle donne Dalit che coglie la
forza antivitale del fiume sbarrato che irriga colture per scopi
commerciali come la canna da zucchero mentre le donne e i bambini
sono assetati:
Costruendo
questa diga
sotterro
la mia vita.
Sorge
l'alba,
non
c'è farina nel mulino.
Ieri
ho raccolto un po' di crusca per il pasto di oggi.
Il
sole si alza
e
il mio spirito sprofonda.
Nascondo
il mio bambino in un cesto
e
scacciando le lacrime
vado
a costruire la diga.
La
diga è pronta
e
dà vita ai campi di canna da zucchero
rendendo
i raccolti ricchi e succosi.
Ma
io cammino per miglia e miglia nei boschi
per
cercare poche gocce di acqua da bere.
Il
mio sudore bagna le foglie secche
che
cadono sulla terra arida.
Di
volta in volta, strategie di riforestazione inappropriate possono
causare l'esaurimento dell’umidità del suolo e dunque il suo
inaridimento. L’introduzione su larga scala dell’eucalipto in
India, per esempio, contribuisce a questo inaridimento, in primo
luogo per il suo elevato consumo di acqua e poi per l’irrilevanza
del suo contributo alla formazione di humus.
Per
il pensiero riduzionista che guida la silvicoltura, gli alberi
producono solo legname commerciale e non acqua, mentre per le donne
dei movimenti ecologisti, gli alberi nelle aree soggette a siccità
dovrebbero essere piantati prima di tutto per produrre acqua. Allo
stesso modo, per gli ingegneri riduzionisti le dighe, i canali e le
condutture producono l'acqua e gli esperti sono uomini formati in
Occidente, mentre per i movimenti ecologisti sono le foreste nei
bacini fluviali, le rocce, i fiume i pozzi a produrre acqua. Secondo
Shiva, le vere esperte in idraulica sono le donne che partecipano
quotidianamente al ciclo idrologico e procurano acqua per le proprie
famiglie e sanno anche depurarla senza sostanze chimiche. Per secoli,
infatti, svariati prodotti naturali, insieme alla conoscenza delle
loro proprietà da parte delle donne, hanno permesso di rendere
potabile l'acqua, nelle case di tutti i villaggi indiani attraverso 7
diversi metodi di depurazione.
Il
saggio di Shiva termina con il capitolo in cui auspica il recupero
del principio femminile. Mette in guardia contro l'economia
riduzionista che considera solo il lavoro pagato quello che produce
valore, mentre le donne povere del Terzo Mondo si procurano acqua,
foraggio e legna attingendo ai beni liberi che la natura mette a
disposizione di tutti, ma questa loro attività di raccolta viene
ignorata dall’economia riduzionista.
Si
crea una dicotomia tra il lavoro produttivo maschile e il
lavoro non produttivo femminile con la moneta e il prezzo
presi come uniche misure del valore economico e della ricchezza.
Questo
spartiacque ideologico tra il lavoro produttivo e quello non
produttivo fondato sui criteri di mercato, si manifesta molto
rapidamente nelle crisi economiche contemporanee. Shiva ribadisce che
l'eredità intellettuale necessaria alla sopravvivenza ecologica
viene da chi è esperto in sopravvivenza, cioè le donne la cui
conoscenza è inclusiva e non esclusiva. Le donne del Terzo
Mondo, in modo particolare, portano la questione della vita e della
sopravvivenza al centro della storia umana e gettano le fondamenta
del recupero del principio femminile nella natura e nella società e,
per questo tramite, recuperano la Terra in quanto sostenitrice e
fornitrice della vita.
“Oltre
a non essere una storia facile da raccontare
- scrive John
Safran Foer nel
suo libro “Possiamo
salvare il mondo, prima di cena”
- la crisi del
pianeta non si è dimostrata una buona storia, non solo non riesce a
convertirci, ma non riesce neppure a interessarci… I tentativi di
trasporre la crisi in ambito narrativo rientra nella fantascienza o
vengono liquidati come fantascienza... Il problema della crisi del
pianeta è che si scontra con una serie di pregiudizi cognitivi
innati correlati all’apatia, anche se molte delle calamità che
accompagnano i cambiamenti climatici sono vivide e fanno pensare a
una situazione in via di peggioramento… Nel loro complesso non
danno questa sensazione… ma danno la sensazione di essere astratte,
lontane e isolate anziché presentarsi come snodi cruciali di una
narrazione sempre più incalzante. Chi nega i cambiamenti climatici
rifiuta le conclusioni raggiunte dal 97% dagli scienziati che
si occupano di clima: il pianeta si sta riscaldando a causa delle
attività umane. La parola emergenza deriva dal latino emergēre che
significa comparire, portare alla luce. La parola apocalisse
deriva dal greco apokalyptein in greco significa svelare,
manifestare. La parola crisi deriva dal greco krisis che
significa scelta, decisione.
“Nella
nostra lingua, quindi, è inscritta l'idea che disastri tendono a
esporre quello che in precedenza era nascosto. Mentre la crisi del
pianeta si dispiega in una serie di emergenze le nostre decisioni
riveleranno che siamo.” In
questo libro Foer va avanti spiegando che se non capiamo che dobbiamo
agire
e non solo parlare, la situazione non potrà cambiare di molto. Ad
esempio, utilizzare macchine ibride o elettriche è sempre meglio che
usare le auto a benzina, ma nella realtà dovremmo usare l'auto molto
meno. In pratica dovremmo avere più motivazioni per agire… forse
gli ecologisti non sono in grado di suscitare emozioni forti riguardo
al destino della Terra. Nel 2018 pur sapendo più di quanto abbiamo
mai saputo sull’origine umana dei peggioramenti climatici,
l'umanità ha prodotto più gas serra che mai con l’aumento triplo
rispetto a quello della popolazione mondiale. Perché? La verità è
tanto ovvia quanto cruda: non ce ne importa nulla, dice Foer, sembra
che l’inquinamento sia laggiù, non quaggiù. In effetti, viviamo
le nostre vite senza preoccuparci molto della crisi del pianeta… ci
sentiamo anche quasi tutti persi fra cause e effetti… siamo confusi
dalle statistiche che cambiano di continuo e siamo anche frustrati
dalla retorica. La gente nel suo complesso si sente impotente perché
cosa ci si può aspettare dalle persone comuni visto che
singolarmente nessuno ha i mezzi per combattere?
Al
Gore nel docufilm
” Una scomoda
verità”
chiede allo spettatore: “Sei pronto a cambiare il tuo stile di vita
? La crisi climatica può essere risolta…”. E dà una serie di
consigli, fra cui passare alle fonti di energia rinnovabile,
ascoltare i propri figli, i giovani, contattare i fornitori di
energia per verificare se offrono energia pulita e piantare alberi,
tanti alberi… scrivere ai candidati del Parlamento e insistere
affinché il proprio paese diminuisca le emissioni di CO2 e così
via… tutte azioni che possono essere considerate importanti, ma che
non hanno un impatto così elevato… installare pannelli solari,
risparmiare energia, mangiare cibo locale, fare la raccolta
differenziata, lavare i vestiti con acqua fredda, fare attenzione
alla quantità e alla tipologia di imballaggi, comprare cibo
biologico sostituire un'auto convenzionale con un'auto ibrida o
elettrica… Ma le modalità con cui vengono affrontate le
problematiche sul clima non funzionano, tanto che Al Gore stesso l’ha
ammesso senza esitazioni nel docu-film “Una scomoda verità 2”.
Si stima infatti che il consumo di energia elettrica sia responsabile
del 25% delle emissioni annue di gas serra e che l'agricoltura pesi
per il 24% in gran parte riconducibile all’allevamento, ma anche
l'industria pesa per il 24%, i trasporti per il 14% e le costruzioni
il 6%. L'obiettivo dell'accordo di Parigi sarebbe quello di contenere
il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C e se anche riuscissimo
al limitare il riscaldamento, il pianeta avrebbe comunque dei
cambiamenti climatici enormi come lo scioglimento irreversibile dei
ghiacciai, la distruzione dal 20 al 40% della foresta amazzonica,
l’innalzamento del livello dei mari di circa ½ metro, un
drammatico incremento della mortalità umana dovuto al caldo, alle
inondazioni e alla siccità e così via… si tratta di statistiche
sconvolgenti. Nonostante questo, rispettare gli obiettivi
dell’accordo di Parigi rappresenti lo scenario migliore, Foer nel
suo libro ci vuole parlare più che altro dell'impatto che ha
l’allevamento sull'ambiente. Argomento mai citato da Al Gore nei
suoi due documentari perché quando si parla di carne, latticini e
uova la gente si mette sulla difensiva e a parte i vegani nessuno
muore dalla voglia di affrontare l'argomento. “Dobbiamo
dire le cose come stanno, non possiamo salvare il pianeta se non
riusciamo in modo significativo il nostro consumo di prodotti di
origine animale o almeno, niente prodotti di origine animale prima di
cena”. Il genere
umano è stato prima cacciatore e raccoglitore ma dall’avvento
dell’agricoltura circa 12.000 anni fa ,gli esseri umani hanno
distrutto 83% di tutti i mammiferi selvatici e la metà delle piante
a livello globale. L'umanità sfrutta il 59% di tutta la terra
coltivabile per crescere foraggio per il bestiame e un terzo di tutta
l'acqua potabile usata dall'uomo è destinata al bestiame, il 70%
degli antibiotici prodotti nel mondo sono utilizzati per il bestiame
che poi riducono l'efficacia degli antibiotici nel curare le malattie
umane. Il 60% di tutti i mammiferi presenti sulla terra sono animali
allevati a scopo alimentare. Sul pianeta ci sono all'incirca 30
animali allevati per ogni essere umano.
Foer
insiste anche su quanto sia estremo il nostro modo di mangiare e
mette in evidenza quanto gli americani consumino di proteine, il
doppio del fabbisogno raccomandato e sappiamo che chi ha una dieta ad
alto consumo di proteine animali ha una probabilità quadrupla di
morire di cancro. In America, un pasto su 5 viene consumato in
macchina probabilmente mangiando un panino di McDonald's con
l'hamburger. Ma qual è l'impatto dei gas serra? Sappiamo che i raggi
solari attraverso la nostra atmosfera riscaldano la Terra e i gas
serra intrappolano nell’atmosfera una porzione del calore. La
vita sulla Terra dipende dall'effetto serra, se non ci fosse, la
temperatura media sarebbe circa 18 ° sotto lo zero, anziché gli
attuali 15. Ma l’effetto dei gas serra è notevolmente aumentato:
negli 800.000 anni che hanno preceduto la Rivoluzione Industriale la
concentrazione di gas serra nella nostra atmosfera è rimasto
stabile. A partire da tale rivoluzione invece, la concentrazione di
CO2 nell’atmosfera è aumentata all'incirca del 40%. Per farla
breve, tra l'avvento dell'allevamento intensivo negli anni '60 e il
1999 le concentrazioni di protossido di azoto in atmosfera sono
aumentate a un ritmo doppio e le concentrazioni di metano sono
aumentate a un ritmo sei volte più elevato rispetto a qualunque
quarantennio degli ultimi 2000 anni.
Sicuramente
è impossibile guarire il mondo nel giro di pochi anni, ma lo si può
ferire a morte per negligenza. Le quattro cose di maggior
impatto che un individuo può fare per contrastare il mutamento
climatico sono: avere un'alimentazione a base vegetale, evitare di
viaggiare in aereo, vivere senza auto e fare meno figli, ma di queste
quattro azioni solo un'alimentazione a base vegetale affronta
immediatamente il problema del metano e del protossido di azoto,
perciò, tutti entro poche ore, quando andremo a tavola, potremmo
cambiare il destino del nostro pianeta. Visto che gli Stati fanno
poco e niente a favore del pianeta probabilmente proprio i singoli
possono fare tanto… se pensiamo che Trump scrive su Twitter e
sostiene che il riscaldamento globale è una balla e molti governanti
lo definiscono cambiamento climatico perché suona meglio e fa meno
orrore… È una rivoluzione che probabilmente deve partire dal basso
riducendo lo spreco di cibo e il consumo di prodotti di origine
animale e tanto altro, come decidere di volare di meno come hanno
iniziato a fare gli scandinavi e guidare di meno. Ci aspettiamo anche
che i governi mettano fine all’estrazione e alla combustione di
carburanti fossili e che promuovano più investimenti in energie
rinnovabili e che riciclino e riutilizzino materiali rinnovabili che
piantino più alberi e che proteggano le foreste esistenti. Si
potrebbe sostenere che le aziende producono quello che noi compriamo
e gli agricoltori coltivino quello che noi mangiamo: i crimini che
commettono li commettono a nome nostro.
Scavato
nella roccia di una montagna di permafrost in Norvegia 130 m sotto il
livello del mare si trova il deposito globale di sementi delle
Svalbard la più vasta collezione mondiale di biodiversità agricola,
che anche nel caso di un tracollo totale agricoltura, quel deposito
potrebbe garantire la sopravvivenza alimentare. Un'altra iniziativa
chiamata progetto Arca congelata, si batte per facilitare e
promuovere la conservazione dei tessuti cellule e DNA di animali in
pericolo.
Noè
fu più fortunato di noi dice Foer: noi abbiamo molto meno di un
secolo per costruire la nostra Arca, abbiamo forse una decina di anni
per mettere in atto i cambiamenti e a differenza di lui dobbiamo
farlo senza credere, senza istruzioni dall'alto, ma solo con la
motivazione di noi stessi ad agire. Per usare le stesse parole
di Foer, noi siamo il diluvio, noi siamo l'Arca.
Mi
riallaccio al tema del bestiame tramite un vecchio libro del 1992 che
amo molto, “Ecocidio”di Jeremy Rifkin.
Nell’introduzione all’edizione italiana del 2001, inizia parlando
della BSE, una sindrome che ci siamo dimenticati, l’encefalopatia
spongiforme bovina, la sindrome della mucca pazza, riscontrata per la
prima volta nel 1986 in Gran Bretagna.
Quello
che Rifkin sostiene è che se si può trarne un insegnamento, è che
l’uomo, trattando senza coscienza e raziocinio le altre creature
viventi, ha messo a repentaglio la propria salute. Il saggio è un
interessantissimo excursus sulla carne bovina dall’antichità
quando il dio Api era un toro, all’era dell’hamburger a basso
costo di McDonalds. Già circa 30 anni fa l'autore ci metteva in
guardia sulla pratica intensiva degli allevamenti: “Ciascuno di
noi è in qualche misura responsabile della perdita della foresta
pluviale primordiale, per esempio si stima che ogni hamburger
ricavato da carni provenienti dal centro e Sudamerica comporti la
distruzione di 75 chilogrammi di forme viventi.“ Rifkin chiama
i bovini “locuste con gli zoccoli” e scrive: “Attualmente i
bovini sono la principale causa di desertificazione che è provocata
dal pascolo eccessivo del bestiame, da una coltivazione
eccessivamente intensiva della terra, dalla deforestazione e da
inadeguate tecniche di irrigazione ma, fra le 4 cause, la produzione
bovina èla primaria. I bovini stanno distruggendo gran parte del
West americano. – Ripeto, lo diceva 30 anni fa - C'è un
esercito di 2/3 milioni vacche che pascola un'area di circa 120
milioni ettari a cavallo fra 11 stati… ogni capo riesce a consumare
400 chilogrammi di vegetazione al mese spogliando il territorio di
erba e foraggi brucando cespugli e alberelli distruggendo perfino i
cactus e la corteccia degli alberi. Con i suoi potenti zoccoli
calpesta piante selvatiche e compatta il suolo sottoponendolo a una
pressione di quasi quattro chilogrammi per centimetro quadrato e
l’azione riduce la quantità d'aria fra le particelle del suolo
diminuendo la quantità di acqua che può essere assorbita. La
combinazione di pascolo eccessivo e calpestio del suolo ha sconvolto
l'ordine biologico delle pianure distruggendo la flora e la fauna
indigena, eliminando la copertura vegetale. I bovini hanno lasciato
le altre specie animali - insetti, uccelli e mammiferi - prive di
alimentazione e riparo adeguati. Potrei continuare a descrivere
gli effetti nocivi che i pascoli intensivi hanno sul sistema fra cui
anche la moria dei pesci di acqua dolce nei fiumi, poiché il
calpestio sugli argini tende ad allargare il letto del fiume che
essendo meno profondo surriscalda la propria temperatura… tanto che
le carpe e le trote sono considerevolmente ridotte in tutto l'ovest
americano. Anche l'utilizzo di erbicidi per eliminare alberi e
cespugli, è stato un fattore determinante per l'estinzione di grandi
ungulati, ma forse l'effetto più nefasto dell'eccesso di pascolo
sulle terre incolte pubbliche è la forte riduzione della presenza di
animali selvatici come antilopocapre, cervi, e antilopi che si
sono quasi istinti dai territori selvaggi del West dove lungo le
recinzioni si vedono spesso gli scheletri dei grandi ungulati… “fin
dall'inizio, l'attività di controllo del governo federale sulle
pianure occidentali è stata indirizzata all’eliminazione di ogni
forma di habitat selvatico con sistematiche campagne volte
all’eliminazione dal territorio di qualsiasi predatore che
potenzialmente potesse rappresentare una minaccia per il bestiame
come il puma, il coyote, l'orso, la lince, il gatto selvatico e
perfino l'aquila, portandolo sull'orlo dell'estinzione… L'uccisione
in massa di milioni di predatori ha avuto come conseguenza la
incontrollata proliferazione delle loro prede tradizionali come
conigli selvatici, citelli, topi canguro, ghiri e altri roditori che
si sono riprodotti in eccesso e gli agenti del governo anziché
preoccuparsi di ripristinare un equilibrio naturale fra predatori e
predati hanno cercato di contenere l'esplosione della popolazione di
roditori spargendo cereali avvelenati con mezzi aerei. Rifkin
affronta poi il problema del pascolo eccessivo in Africa dove ogni
anno milioni di ettari di terre vergini sono inghiottite da un
processo di desertificazione che rappresenta ormai la più grande
minaccia per l'ecologia del continente e della sopravvivenza della
sua popolazione umana. I bovini furono introdotti nel continente
africano fra il 5000 e il 2300 a. C. dagli imperi mediorientali e da
tribù nomadi delle steppe euroasiatiche. Oggi più del 50% della
superficie dell’Africa orientale è riservata al pascolo di 23
milioni capi di bovini… per secoli le tribù nomadi e quelle che si
reggevano su una piccola economia agropastorale, hanno mantenuto un
equilibrio efficace fra allevamento dei bovini e vincoli ecologici
ricorrendo alle antichissime pratiche della migrazione e a tecniche
di allevamento che non gravassero eccessivamente sulla capacità
produttiva della terra. Il potere coloniale ha modificato l'equazione
inducendo forzatamente cambiamenti alle consolidate prassi tribali e
portando inevitabilmente alla desertificazione del continente.
L'accesso di pascolo e le periodiche siccità hanno creato una crisi
di vaste proporzioni anche per la popolazione umana. Milioni di
profughi delle aree rurali cercano di sottrarsi all’avanzata del
deserto migrando verso aree urbane già affollate.
Oggi,
perfino le riserve di acqua dolce del pianeta sono minacciate dalla
combinazione di siccità, eccesso di coltivazione e pascolo. In
Africa orientale, nei paesi africani che si affacciano sul
Mediterraneo, ci sono evidenti problemi di siccità, ma diminuiscono
anche le falde acquifere del Messico e dell'india meridionale. Negli
Stati Uniti la carenza di acqua dolce si trova a livelli
critici e sebbene gli americani si stiano rendendo conto del problema
che investe la parte occidentale del paese, sono inconsapevoli del
ruolo che l'allevamento di bovini e di altro bestiame ha
nell’abbassamento delle falde acquifere: quasi metà dell'acqua
consumata negli Stati Uniti è destinata alla coltivazione di
alimenti per bovini e per altro bestiame e, incredibile ma vero,
l'acqua utilizzata per produrre 5 chilogrammi di carne bovina
equivale al consumo domestico complessivo di una famiglia in un anno!
Di rado i consumatori sono informati del fatto che il divieto di
innaffiare i prati e lavare le automobili, utilizzare acqua per scopi
di non immediata necessità è dovuto all’enorme quantità di acqua
pompata per far crescere i cereali destinati all’alimentazione dei
bovini e di altro bestiame.
I
bovini sono anche causa di un altro problema ambientale legato alle
acque: infatti ogni anno producono quasi un miliardo di tonnellate di
rifiuti organici la maggior parte dei quali almeno negli Stati Uniti,
si riversano sul terreno e penetra nella falda inquinando pozzi,
fiumi e laghi del paese.
Sebbene
molto sia stato scritto sull’impatto atmosferico prodotto dall'uso
dei combustibili fossili per trasporti, produzione industriale,
infrastruttura di comunicazione, case, uffici, ben poco, sostiene
Rifkin, è stato detto sull'effetto delle moderne tecniche di
allevamento animale in termini di produzione di gas serra.
“Il
bovino un corpo considerato sacro, simbolo di fertilità e più
recentemente diventato emblema del capitale mobile sta inquinando
l'atmosfera e la superficie terrestre e trasformando la biosfera
stessa in una zona contaminata da gas letali.
Nel
1750, epoca nella rivoluzione industriale, l’atmosfera terrestre
conteneva approssimativamente 288 parti per milione di anidride
carbonica oggi ne contiene 350. Dalla fine della guerra civile
americana a oggi le nazioni industriali bruciando combustibili
fossili, hanno scaricato nell'atmosfera 185 miliardi t di carboni.
L'impiego di combustibili fossili è responsabile per circa 2/3
degli 8, 5 miliardi t di CO2 rilasciate nell’atmosfera nel 1987.”
Secondo Rifkin,
l'impiego di combustibili fossili è responsabile per circa 2/3
dell'anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera di quell’anno e
il rimanente terzo proviene dall’aumentata combustione della
biomassa terrestre che è dovuta principalmente all'industria della
carne bovina a livello mondiale. Ma la combustione della
biomassa è solo un aspetto del problema: l’allevamento dei bovini
contribuisce anche in altri modi al surriscaldamento del pianeta, per
esempio, negli Stati Uniti per produrre mezzo chilogrammo di carne
bovina è necessaria l'energia equivalente a 4 l di benzina! Inoltre,
per produrre cereali da mangime destinato ai bovini è necessario il
ricorso a fertilizzanti petrolchimici che emettono ossido d‘ozono,
un altro gas serra. Questo è rilasciato dai fertilizzanti e da
altre fonti e incide per il 6% sul riscaldamento del pianeta.
Infine, i bovini emettono metano, un potente gas serra che viene
emesso anche da torbiere, risaie, ma è l'incremento della
popolazione di bovini e termiti oltre la combustione di foreste e
pascoli la ragione del grande incremento di emissioni di metano
registrato negli ultimi decenni e le emissioni di metano sono
responsabili del 18% dell'aumento del surriscaldamento del pianeta,
basti pensare che i livelli di metano nell'atmosfera sono rimasti
relativamente costanti per quasi 10.000 anni, fino alla prima
rivoluzione industriale. Quando gli alberi vengono abbattuti per far
posto ai pascoli per il bestiame, le termiti sono libere di nutrirsi
senza essere uccise dalle sostanze chimiche sprigionate dagli alberi
in vegetazione e considerando che una termite regina depone 80.000
uova al giorno alcuni entomologi stimano che la massa complessiva
delle termiti presenti sulla Terra sia circa 750 kg per ogni essere
umano e si aspetta che la loro crescente popolazione contribuisca con
altri milioni di tonnellate alle emissioni di metano nell’atmosfera.
La cultura bovina mondiale comincia a far avvertire la propria
presenza anche nella biosfera: ogni chilogrammo di carne bovina è
prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di
un campo isterilito, di un fiume disseccato, per rilascio in
atmosfera dei milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido
d’azoto e metano perché oggi milioni di americani europei
giapponesi consumano hamburger, arrosti e bistecche in quantità
incalcolabili ignari dell’effetto che le loro abitudini alimentari
hanno sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta.
Entro
il 2030 città come New York e Boston potrebbero avere un clima
tropicale… il livello del mare potrà alzarsi fra 90 e 150 cm…
l'acqua salata invaderebbe le pianure costiere infiltrandosi nei
fiumi e nei laghi rendendo l'acqua salmastra riducendo ulteriormente
la disponibilità di una risorsa già scarsa come l'acqua dolce…
l’innalzamento del mare cancellerebbe nelle carte geografiche
numerose terre e isole… le Maldive nell'Oceano indiano e i Caraibi
saranno sommersi. La terra sommersa creerebbe una nuova massa di
profughi, milioni di persone rimaste senza rifugio, senza patria
perché per la prima volta nella storia la loro terra sarà
inghiottita dal mare. Le nazioni costiere dovranno spendere miliardi
di dollari per la costruzione di dighe per evitare il disastro, ma
anche in quel caso gli scienziati prevedono che l'Egitto potrebbe
perdere il 15% dei terreni agricoli della zona del delta del Nilo e
così via…
Il
prezzo dell’era del progresso rappresenta i milioni di tonnellate
di energia consumata nell’era moderna… la biosfera si è
comportata come un gigante per registro contabile cosmico annotando
in dettaglio tutti gli sprechi dell’area industriale. In questo
registro il complesso bovino moderno ha un posto di primo piano per
soddisfare la domanda di carne del mercato. Il cambiamento del clima,
l'accorciarsi delle stagioni agricole, il mutamento delle
precipitazioni atmosferiche, l’erosione del suolo, l’avanzata del
deserto potrebbe suonare la campana a morto per il complesso bovino e
per un’artificiosa scala delle proteine eretto a sostegno della
cultura dei bovini nutriti a cereali.
Dopo
aver esaminato accuratamente tutte le problematiche legate
all’ambiente e al capitalismo, Rifkin affronta anche l’aspetto
psicologico e antropologico legato alla carne: ”Divorare il
mondo è al medesimo tempo piacevole e lacerante, negare la vita a un
altro essere per poter vivere è un esperienza dolorosa… eppure
consumare i frutti della conquista è intimamente soddisfacente e ci
rende profondamente consapevoli della nostra vitalità. Mangiare è
in stretto rapporto con Eros e Thanatos, con la vita e la morte più
di qualsiasi altra esperienza mangiare ci mette il rapporto con il
mondo naturale, l'atto in se stesso incita tutti i nostri sensi,
gusto, olfatto, tatto, udito e vista. Mangiare stabilisce uno dei più
primordiali legami fra gli uomini ed è per questo che in molto
culture mangiare è considerato un atto sacro, una comunione, oltre
che un gesto di sopravvivenza e di rigenerazione.
Il
filosofo francese Roland Barthes afferma che il modo in cui
una cultura si appropria delle altre creature, i tipi di creature di
cui si ciba, il modo in cui queste vengono preparate e servite non è
che una forma sofisticata di comunicazione che diffonde i valori, le
credenze e principi pragmatici che caratterizza una cultura nella sua
interezza.
Il
nutrirsi dalla natura è al tempo stesso moda e visione del mondo. La
storia dell'uomo è intelligibile solo nel contesto della storia del
cibo e questo è particolarmente evidente nelle culture carnivore.
L'influenza delle moderne culture bovine è stata pervasiva e ha dato
forma e risposte a domande sulle differenze di genere di classe
sull'identità nazionale sulle politiche coloniali perfino sulla
teoria della razza, anzi la portata psicologica del complesso bovino
moderno si è estesa ben oltre condizionando perfino la nostra
concezione di tempo e spazio e i principi che costituiscono una
moderna visione del mondo.
La
differenza fra le culture agricole da quelle venatorie è che
l'interesse delle prime è rivolto alla crescita e alla
rigenerazione, quello delle seconde all’uccisione e alla morte.
Questi due differenti approcci a nutrirsi della terra comportano due
contrapposte visioni del mondo. Le piante sono considerate non
prede e proprietà, piuttosto eredità o doni della generosità della
terra. Le culture premoderne che si affidavano prevalentemente alla
carne per soddisfare i propri bisogni alimentari sono più vicine al
gesto di uccidere delle culture fondate sulla coltivazione dei
cereali. Lo spargimento di sangue permea queste società. Fra natura
e cultura esiste un confine labile, e questo è particolarmente
evidente nella preparazione del cibo. L'antropologo francese Levi
Strauss sottolinea che solo la specie umana cucina il proprio
cibo creando un legame indissolubile fra civiltà e mondo naturale.
Il modo in cui viene cucinata la carne a sua volta fornisce un’utile
interpretazione della natura di un popolo dei suoi valori e delle sue
istituzioni e della sua visione del mondo. Le culture carnivore
tendono a preferire l’arrostito al bollito perché è più vicino
allo stato naturale della carne. Le società agro pastorali che
allevano e coltivano tendono a utilizzare entrambi i metodi di
cottura, le culture vegetariane invece tendono a cucinare raramente
la carne e a bollire gli alimenti. La differenza psicologica fra
arrostire e bollire è importante perché nella bollitura si richiede
due mediazioni: la carne viene collocato in una pentola colma d'acqua
che viene a sua volta posta sul fuoco il recipiente e l'acqua media
fra la carne al fuoco creando una più netta separazione fra cultura
e natura. Arrostire, afferma Levi Strauss, crea solo un muro
sottile fra civiltà e il mondo naturale, di solito la carne viene
bruciata all'esterno ma lasciata rossa quasi sanguinolenta
all’interno rendendo l'alimento più simile al suo stato crudo che
cotto. Fra molte tribù di indiani americani e presso altre civiltà
di cacciatori raccoglitori, l’arrostire è un’attività deputata
al maschio mentre la bollitura è affidata alla femmina. Il gesto di
arrostire è associato alla mascolinità, alla baldanza, alla caccia,
al culto del guerriero. Bollire afferma Levi Strauss è più
economico e meno dispendioso che arrostire. La carne arrosto è
sempre stata associata con il potere, quella bollita con la frugalità
e con i valori terapeutici e rigenerativi. Ancora oggi nell’America
post-industriale, l'immagine tipica della cultura della bistecca, la
scena del cowboy che intorno al fuoco arrostisce la carne, viene
replicata ogni sera in estate milioni di volte nei giardinetti ben
curati delle villette di periferia quando l'uomo di casa si mette ad
accendere la carbonella o la bombola di metano e posa la costata
sulla griglia rovente. Di tutti i cibi, la carne bovina rossa
conferisce il maggiore status e quasi tutte le culture carnivore. La
carne rossa si trova al vertice della piramide alimentare: il sangue
rappresenta la forza vitale dell'animale, è intriso di spirito nelle
culture tradizionali… il sangue anche considerato portatore di
eredità… il sangue contenuto nella carne rossa veniva anche
considerato stimolante della passionalità e da sempre si è ritenuto
che mangiare carne cruda eccitasse la passione sessuale e le carni
rosse soprattutto quelle bovine, sono associate alla mascolinità e
alle qualità maschili mentre le carni bianche sono state associate
alla femminilità e alla qualità femminile. Basti pensare che
durante l'epoca vittoriana i giornali di salute spesso suggerivano
una riduzione dell'assunzione di carne rossa alle donne gravide e
alle puerpere mettendo invece enfasi sui piatti di pesce uova e carne
bianca più delicati e leggeri. I piatti descritti non solo
rispecchiavano la delicata condizione femminile, ma evitavano di
stimolare quella “qualità sanguigna” che sembrava inadatta a chi
doveva assumere il ruolo di nutrice. L'antropologa Peggy Sunday,
in una ricerca su un centinaio di culture non tecnologiche, ha
rilevato che l'economia fondata sugli animali erano dominate dal
maschio mentre quelle fondate sui vegetali erano più orientate verso
il polo femminile. L’'economie animali sono caratterizzati da
divinità maschili, da patrilinearità e da gerarchie di genere che
pone il maschio al vertice della piramide sociale. Le donne hanno la
quota maggiore di carico di lavoro ed eseguono quasi tutte le
attività manuali a basso valore aggiunto. Al contrario, le culture
basate sulle piante sono caratterizzate dalla femminilità ed alla
matrilinearità e sono più egalitarie sotto il profilo economico.
Rifkin fa riferimento a un testo di Carol J. Adams, The
“Sexual Politics of Meat” che ci rammenta quanto certe differenze
di alimentazione e di genere siano entrati a far parte del patrimonio
psicologico collettivo e individuale. La carne, per esempio, ha in
certe espressioni un significato che va ben oltre quello di semplice
alimento. La carne in certe culture occidentali è così importante
da essere utilizzata in senso metaforico come sinonimo di sveltezza,
di azione così come i vegetali rappresentano lentezza, monotonia e
stupidità… quando si dice ad esempio di una persona in stato di
morte cerebrale che è diventata un “vegetale” per esempio. Le
piante richiamano alla mente concetti di passività: nel 19º secolo
le donne descrivevano gli uomini con termini quali “bisteccone”,
“manzo”, “animale” e gli uomini si riferivano le donne come
“fiore”, “rosa”, “bocciolo”. Comparando spesso gli uomini
alla carne e le donne alle piante l'ordine sociale è in grado di
riprodurre un sistema in cui gerarchia alimentare di genere si
rafforzano reciprocamente. Rifkin sostiene che nonostante i progressi
del movimento femminista moderno, le antiche differenze di prassi che
caratterizzano la cultura della bistecca continuano a rafforzare le
discriminazioni alimentari e di genere. Ecocidio è un
testo così bello e interessante che avrei voglia di riassumerlo
tutto, ma un capitolo, per la precisione il XXXVII, l’ho letto
diverse volte ai miei studenti di economia aziendale e alle mie
figlie nel corso degli anni per farli/le desistere da andare da
McDonalds…
Si
intitola ”l’hamburger e la cultura dell’autostrada” e
descrive come si arrivò negli Stati Uniti alla suburbanizzazione
della campagna americana grazie all’invenzione dell'automobile e
alla creazione di una cultura dell’autostrada fino alla catena dei
ristoranti McDonalds. Il nuovo stile di vita suburbano portò a
un fondamentale cambiamento nei costumi di lavoro e di vita
modificando anche le abitudini alimentari. Per
adeguarsi alla velocità e alla mobilità della cultura
dell’autostrada lo stile di vita suburbano richiedeva comodità,
efficienza, velocità e prevedibilità nella preparazione e nel
consumo di cibo. L'industria della carne reagì facendo
dell'hamburger e delle catene di ristorazione fast food un sinonimo
dello stile di vita suburbano. L'effetto
psicologico e culturale dell'hamburger è stato impressionante e
diffuso come simbolo dell'America agli occhi del resto del mondo,
quando la gente si metteva in coda sotto gli archi dorati di McDonald
partecipava all’esperienza americana. Nel capitolo, oltre ad
esserci una bellissima descrizione dell’idea della carne che
ha avuto l’americano medio da F.D. Roosvelt in poi, viene
raccontato come si è giunti alla perfezione della catena
organizzata di McDonald's nel produrre gli hamburger e
del modo intelligente nella scelta di localizzazione dei negozi…
“Nei primi anni
'60 Kroc[9]
cominciò a scandagliare il paese sul suo aereo aziendale osservando
dall'alto con un binocolo incroci autostradali, le aree di sviluppo
residenziale, i centri commerciali, i punti nevralgici della
crescente cultura dell’autostrada al pari di un generale che ti
esponga bandierine su una mappa per dislocare le proprie truppe.
Krock collocò ristoranti McDonald's in ogni punto strategico
macdonaldizzando il panorama americano in meno di una generazione.
Il suo fervore imprenditoriale rasentava il fanatismo messianico come
lui stesso era disposto a riconoscere”. È interessante notare che
i campanili delle chiese hanno giocato un ruolo fondamentale nella
strategia di localizzazione… Krock collocò molti ristoranti nei
pressi delle chiese suburbane, che l'immagine pura e salubre del suo
ristorante e quella della vicina chiesa si sarebbero illuminate
reciprocamente”. Addirittura
si dice che gli archi dorati di McDonald volessero rappresentare le
porte del Paradiso… Oggi anche l'ultimo consumatore è sottoposto
nelle proprie abitudini alimentari ai principi dell’organizzazione
razionale, alla scienza della meccanizzazione, ai controlli di
qualità, agli standard misurabili, alla prevedibilità del prodotto,
a un uso efficiente e utilitaristico del tempi, sostiene Rifkin. Lo
stesso criterio tecnologico utilizzato per gestire i manzi negli
allevamenti industriali e nelle linee di produzione dei mattatoi è
stato efficacemente utilizzato anche per gestire la performance dei
lavoratori addetti alla macellazione e per riorientare le abitudini
alimentare del consumatore verso i banchi dei ristoranti fast food.
Ogni elemento del moderno complesso bovino - il bestiame, i
lavoratori, i consumatori - si è trasformato in unità di produzione
di consumo nell’ambito di una gabbia di riferimento utilitarista,
orientata al profitto.
Per
fortuna, McDonalds oggi non è più così di moda come al tempo di
stesura di Ecocidio.
E
che dire del XXXVIII “La decostruzione della carne
moderna”? Vi devo riportare qualche brano. “La vacca è un
animale fra i più placidi per temperamento appare pacifica e
soddisfatta… ha una visione del mondo sfocato dato che le manca la
macula lutea… bruca in uno stato di quasi sonnambulismo sembra
vivere in un mondo parallelo…
Il
Toro irradia forza, la sua massa si concentrano nella parte anteriore
del corpo, ha un collo poderoso e quarti posteriori e snelli al punto
da sembrare incapace di reggere una mole così imponente… il suo
atteggiamento è determinato, attento. Il Toro è territoriale, il
suo l'occhio è intenso, il suo sguardo pericoloso.
La
carne moderna è testimone dell'ethos utilitarista: all'atto della
nascita lo spirito dell'animale viene spietatamente represso e
soppresso. I bovini vengono castrati, privati delle corna, imbottiti
di ormoni antibiotici, irrorati di insetticida, allineati su un piano
di cemento ingozzati di cereali, segature, morchia e liquami finchè
raggiungono il peso ideale, poi vengono trasportati in camion a
mattatoi automatizzati dove vengono uccisi, smembrati, tagliati a
pezzi, mescolati confezionati e proposti in prodotti e sottoprodotti
utili che nulla hanno più a che vedere con le creature viventi da
cui derivano. Naturalmente i bovini sono sfruttati da tempo
immemorabile, da sempre l'essere umano ha contato sui bovini e su
altri animali per avere il cibo, abiti, riparo, trazione,
combustibile e altri beni di prima necessità, ma fin dall'antichità
l'uomo ha capito che gli altri animali non erano molto differenti da
lui.
Con
l'uomo, l'animale condivideva caratteri fisici e comportamentali come
lui pensava, reagiva, dimostrava affetto e amore, tutelava il proprio
interesse, proteggeva i cuccioli e provvedeva al loro futuro. Queste
analogie erano sufficienti a rendere l'uccisione e il consumo degli
animali da parte dell'uomo una faccenda delicata, tanto che per
risolvere le contraddizioni legate all’uccisione e al consumo di
creature senzienti le culture carnivore premoderne svilupparono una
grande varietà di atti rituali per compensare l'atto di proprio di
appropriazione della vita di un'altra creatura. Rifkin ci racconta
che successivamente l'ebraismo e la tarda cristianità si liberarono
degli aspetti sacrificali della macellazione animale. All'uomo non
era più richiesta l'espiazione per aver tolto la vita a un'altra
creatura e altri espedienti furono trovati per giustificare il
consumo di carne animale. Anche i teologi giudaico cristiani
offrirono la giustificazione razionale all’uccisione dell’animale
a scopo alimentare, più tardi i pensatori illuministi offrirono
anche una giustificazione biologica ipotizzando che la natura
esistesse solo in funzione del soddisfacimento dei bisogni
utilitaristici umani, poi i darwiniani aggiunsero che l'unico scopo
dell'evoluzione era promuovere la sopravvivenza del più adatto nella
lotta competitiva della natura, e dato che l'uomo era il più evoluto
appropriandosi della carne di altre creature e metabolizzandola nella
massima misura possibile non avrebbe fatto altro che rispettare il
proprio ruolo nell’evoluzione.
Queste
elaborate giustificazioni non sono state però sufficienti a placare
il conflitto negli uomini e nelle donne occidentali che continuano a
compatire le bestie di cui si nutrono e a provare sentimenti
contraddittori. Per liberarsi la coscienza l'uomo moderno ha eretto
una serie di barriere che lo separano per quanto possibile
dall’animale di cui si nutre sottraendosi a una relazione intima
con la preda l'uomo è riuscito a sopprimere il profondo legame
emotivo che insieme alla paura e il disgusto, alla vergogna e il
pentimento accompagna l’uccisione di un'altra creatura.
L’ubiquo
hamburger rappresenta l'ultimo stadio del moderno processo di
decostruzione della carne il bovino è stato disassemblato in una
materia indistinguibile, reso manipolabile, modellabile in un
processo di produzione altamente meccanizzato.
Rifkin
termina il suo saggio considerando il bovino come il male occulto
poiché è pervasivo, le attività che lo circondano hanno
contribuito in misura rilevante al deterioramento dell'ambiente del
pianeta e abbiamo visto perché. Inoltre, i consumatori del
Primo Mondo si godono i piaceri di una dieta di carne, ma patiscono
le conseguenze degli eccessi che la posizione dominante
dell’artificiosa scala delle proteine comporta, con il corpo
intasato di colesterolo, vene arteriose occluse da grassi animali e
sono vittime delle malattie del benessere degli attacchi cardiaci,
dei tumori del colon, della mammella e del diabete. Il moderno
“complesso bovino” rappresenta quindi una nuova specie di forza
malvagia che agisce nel mondo. Questo male occulto viene inflitto a
distanza, è un male camuffato da strati sovrapposti di veli
tecnologici istituzionali, un male così lontano nel tempo e nel
luogo da chi lo commette e da chi lo subisce da non lasciar
sospettare alcuna relazione causale. Lasciare intendere, infatti,
che un individuo sta facendo il male coltivando cereali destinati
all’alimentazione animale o consumando un hamburger può sembrare
strano perfino perverso, come i proprietari dei negozi in cui si
vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertono mai
personalmente la disperazione delle vittime della povertà di quei
milioni di famiglie allontanate dalla propria terra (land grabbing)
per fare spazio a coltivazione di prodotti destinati esclusivamente
all'esportazione e i ragazzi che divorano i cheeseburger in un
fast-food è certo che non siano consapevoli di quanta superficie di
foresta fluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro
disposizione quel pasto e che il consumatore che acquista una
bistecca al supermercato non si senta responsabile del dolore della
brutalità patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta
tecnologia.
Ma
si può andare oltre
la carne,
consiglia Rifkin, nel nome del progresso del profitto il moderno
complesso bovino ha distrutto ecosistemi naturali e trasformato parte
del pianeta in una desolata terra semi desertica inadatta ad essere
abitata da uomini, animali e vegetali. In nome dell’efficienza il
moderno complesso bovino ha trasformato vacche, lavoratori di
impianti di macellazione, consumatori in dati di produzione, di
consumo, utensili e target privi di qualsiasi valore intrinseco e
spirituale.
La
mitologia della carne è stata utilizzata continuamente per affermare
il dominio maschile, sottolineare le divisioni di classe promuovere
gli interessi del nazionalismo e del colonialismo, perpetuare la
disuguaglianza sociale e lo sfruttamento economico su scala mondiale.
La storia della lunga relazione dell’umanità con i bovini è la
storia della relazione dell'uomo con la propria capacità generativa:
il Toro e la Vacca antiche icone della nostra virilità e fertilità
sono stati dissacrati, snaturati, spogliati della loro vitalità e
trasformati in macchine per produrre.
Nel
primo stadio del nostro rapporto con i bovini i nostri antenati
veneravano una forza generatrice: i nostri antenati rendevano omaggio
ai bovini per compiacere gli dèi e i loro riti erano pensati per
manipolare le forze cosmiche a loro vantaggio in modo da prosperare e
mangiavano carne per assimilare lo spirito divino, partecipare al
grande ciclo ed eterna rinascita.
Nella
seconda fase di questo rapporto ci siamo sostituiti agli dèi e
abbiamo trasformato i bovini in una risorsa produttiva manipolabile,
abbiamo conquistato il controllo sui bovini e per estensione sulla
forza generatrice della natura prendendoli entrambi dipendenti dai
nostri scopi razionali, abbiamo annullato la nostra dipendenza dalla
natura ma nel farlo abbiamo perso il senso del sacro e della
comunione intima con il resto del creato.
Oggi
siamo al principio della terza fase della saga uomo bovino.
Scegliendo di non mangiare carni bovine manifestiamo la volontà di
fondare una nuova alleanza con queste creature una relazione che
trascende gli imperativi del mercato nella dissolutezza del consumo
andare oltre la
carne significa
trasformare radicalmente il nostro modo di pensare su quello che è
l'atteggiamento giusto nei confronti della natura nel nuovo mondo che
si va formando.
Eliminando
la carne dalla dieta umana la nostra specie può compiere un
significativo passo in avanti verso una nuova consapevolezza allo
scopo di salvarsi insieme al pianeta. Il controverso economista
Jeremy Rifkin ha scritto tanti saggi…ma è stato anche consulente
di diverse multinazionali.
Il
libro “Siete pazzi a mangiarlo!” di Christophe Brusset
è una confessione-denuncia di un insider delle multinazionali
del cibo. Nel capitolo “pericolo giallo” racconta che nel
settembre 2008 scoppia in Cina l'enorme scandalo del latte
contaminato con la melammina uno dei principali costituenti della
fòrmica… questa sostanza è stata aggiunta fraudolentemente al
latte per aumentare artificialmente il tasso di proteine ma, questa
provoca negli uomini e negli animali la formazione di calcoli
responsabili dei problemi renali e urinari. L’ampiezza della frode
è tale che la maggior parte del latte di uso corrente in Cina,
liquido o in polvere, è contaminato così come i prodotti che ne
contengono come lo yogurt, il formaggio, il cioccolato, i biscotti,
le caramelle Mou. Anche il latte maternizzato non fa eccezione e
ovunque nel paese i bambini si ammalano… questo dramma ha
traumatizzato la popolazione tanto che il latte in polvere
maternizzato importato, è divenuto improvvisamente un prodotto di
lusso e tuttora è oggetto di vasto contrabbando. I consumatori
cinesi hanno perso la fiducia nei prodotti nazionali con una vera e
propria esplosione delle importazioni. Ma in Cina c'è stato anche
nel 2011 il caso dei panini ingialliti tramite l'aggiunta di una
pittura tossica per farli sembrare di granturco e nel 2013 nella
regione di Shanghai è stata smantellata la “mafia del maiale”
che smerciava come carne commestibile, gli animali morti di malattia.
Nel 2014 Walmart, la prima catena di supermercati nel mondo, ha
dovuto ritirare gli scaffali di alcuni dei suoi punti vendita cinesi
la carne d'asino molto consumata in Cina perché conteneva carne di
volpe e nel 2014 uno stabilimento di Shanghai che produceva anche le
nugget di pollo e le polpette di manzo per di McDonald's è stato
chiuso per aver riciclato carne scaduta mischiandola in carne fresca.
Nel 2014 c'è stato lo scandalo del tofu tossico in cui centinaia di
tonnellate di tofu contenevano idrossidometasolfinato di sodio, un
agente sbiancante cancerogeno vietato. Purtroppo, innumerevoli
prodotti alimentari cinesi vengono esportati in tutto il mondo
compresa l'Europa… quasi 5 miliardi € in prodotti alimentari
cinesi sono stati importati in Europa nel solo 2013.
Molte
delle aziende in tutto il mondo hanno un’etica particolare, una
visione tutta loro del bene e del male: Il Bene tutto ciò che
aumenta il profitto, il Male perdere soldi.
Quando
si parla di cibo si deve stare ancora più attenti e l'autore ci
vuole proprio mettere in guardia… le lumache di Borgogna i porcini
di Bordeaux, la senape di Digione, le erbe di Provenza… tutti i
prodotti che in realtà non vengono dai luoghi scritti sulle
etichette, ma il timo viene dal Marocco, le lumache vengono dalla
Turchia e così via… il che vuol dire che “trasformato in
Francia” non significa di origine francese…Un'impresa non è un
servizio sociale dello Stato la sua finalità non è il benessere dei
suoi dipendenti o la soddisfazione dei suoi clienti ma il profitto o
il margine di guadagno e per creare profitto la ricetta non è molto
complicata, basta comprare o produrre a un costo inferiore a quello
di vendita. La responsabilità più grande di determinati crimini ce
l'hanno gli ipermercati e supermercati cioè la grande distribuzione
poiché calmierano i prezzi mettendo in concorrenza i produttori gli
uni contro gli altri. In pratica, un produttore che non può
aumentare i propri prezzi ha come unica soluzione di produrre a costi
ancora più bassi abbassando la qualità o abbassando il peso della
merce venduta mantenendo lo stesso prezzo, che è una forma subdola
di aumento. Ogni alimento venduto al supermercato ha ormai i
suoi segreti in addensanti per i formaggi, coloranti, additivi per i
salumi (polifosfati, gelificanti, zucchero, glutammati, aromi e fumo
liquido per il sapore, ascorbato di sodio e sali nitrati per la
conservazione) …e si deve sapere anche che alcune confezioni sono
pericolose come quelle di cartone riciclato a diretto contatto con
gli alimenti anche se questi sono secchi come i legumi. Nel cartone
riciclato si può trovare dell'olio minerale che proviene da
imballaggi vecchi, fogli di carta, giornali che contenevano vernici e
inchiostri e altre molecole chimiche non alimentari questi sono
idrocarburi di oli minerali sono cancerogeni e genotossici e queste
molecole si accumulano nei tessuti umani soprattutto nel fegato con
il rischio del cancro. Per la gamma di prodotti biologici le normali
confezioni di plastica non sembrano abbastanza naturali e quindi ne
sono state usate delle plastiche oxo biodegradabili che sono
plastiche non realmente più degradabili bensì frammentabili e
generalmente a base di polimeri sintetici… alla plastica vengono
semplicemente aggiunti degli additivi chimici che consentono di
programmarne la frammentazione liberando così nell’ambiente una
moltitudine di scagliette di plastica che come risultato finale
produrranno le cosiddette microplastiche, minuscole particelle che
non hanno nulla di ecologico. Queste polveri di plastica anche se
sono diventate ormai invisibili inquinano l'ambiente e si ritrovano
in tutta la catena alimentare, nei pesci certo, ma anche nel miele!
La carta e il cartone sembrano naturali, soprattutto se sono di
colore marroncino e sono riciclabili, ma non resistono all'acqua, si
sfasceranno, non si saldano non fanno da barriera all’ossigeno,
insomma, in molti casi sono inutilizzabili. Alcuni produttori di
imballaggi hanno dunque spalmato il cartoncino con un sottile strato
di plastica trasparente ciò rende la carta impermeabile pur
lasciandola ben visibile e riconoscibile. Questa carta spalmata viene
poi incollata su un foglio di plastica classica… il risultato è
una confezione composita che sembra naturale, ma che è del tutto
impossibile riciclare perché i materiali che la compongono non sono
più separabili. È il massimo della stupidità! Quando si sa che la
carta e la plastica da sole si riciclano perfettamente.
Se
tanti prodotti all’apparenza naturali come il miele, la paprika, lo
zafferano, l’origano… il tè verde cinese sono in realtà
manipolati e hanno tracce di pesticidi e di escrementi di topo,
figuriamo cosa c’è in un prodotto lavorato… ci fa capire
Brusset.
Un
alimento semplice come le cipolle la dice lunga su come siamo messi.
La maggior parte delle cipolle e degli scalogni coltivati in Europa
vengono inviati in Polonia, dove la manodopera costa di meno, per
essere sbucciati a mano prima di tornare nei paesi di origine.
Il costo del trasporto aggiunto al costo della trasformazione
realizzata in Polonia è meno elevato rispetto a quello della stessa
prestazione lavorativa direttamente nei luoghi di produzione. Certo,
non si tiene conto dell’emissione dei gas serra… e del costo
ecologico che tale scelta secondo la logica del profitto impone.
La
grande distribuzione ha fatto man bassa dell’industria
agroalimentare, il rapporto di forza è talmente squilibrato che una
piccola o media impresa non ha il minimo peso di fronte ai mastodonti
della distribuzione. Le centrali d'acquisto le impongono
sistematicamente delle condizioni ingiuste che deve accettare, ma
questi vincoli portano molte imprese al fallimento o a delocalizzare.
Questo è un problema che riguarda sì le imprese, ma deve riguardare
soprattutto i consumatori, poiché le industrie sono obbligate a
integrare nei prezzi di vendita tutti gli sconti fornitori che sanno
di dover versare e devono restare comunque competitive e quindi per
abbassare i costi, in ultima istanza abbasseranno la qualità dei
prodotti.
Il
libro termina con una piccola guida di sopravvivenza al supermercato
che in sintesi si può riassumere in: controllare le origini; evitare
i primi prezzi; privilegiare le grandi marche; evitare polveri e
puree; controllare bene le liste degli ingredienti; controllare le
confezioni; controllare le date di scadenza; diffidare dei marchi di
garanzia; controllare le etichettature e fare del nostro peggior
nemico il nostro migliore alleato. Quest’ultimo consiglio intende
che siamo noi l'arma assoluta del marketing quando facilitiamo le
cose quando non ci informiamo, quando non contestiamo, non ci
indigniamo quando privilegiamo il prezzo, l'estetica e la praticità
alla qualità.
In
pratica, dice Brusset, non è il marketing che ci inganna,
l’industriale che fa prodotti di cattiva qualità, i supermercati
che li distribuiscono, le autorità incapaci di proteggere
popolazioni da epidemia di obesità o diabete, ma sono i consumatori
finali che sono creduloni e che comprano ad occhi chiusi. Lui
ci ha messo in guardia.
Nel documentario Planet
of the Humans diretto
dall’ambientalista Jeff
Gibbs
si vuole dimostrare che il capitalismo, con riuscite operazioni di
greenwashing (una
strategia di comunicazione adottata da alcune aziende che vogliono
rendere la propria immagine “verde”, ossia attenta all’ambiente
e alla sostenibilità ambientale. Per questo è come se si facessero
un “lavaggio nel verde”, come se si “tingessero di verde”, ma
appunto, è una
questione puramente di immagine e non di sostanza.)
nella maggior parte dei casi, il voler apparire un’impresa “green”
nasconde pratiche che all’ambiente fanno tutt’altro che bene…
si è mangiato l’ambientalismo.
Non
possiamo sostenere questo ritmo di consumo delle risorse, non basterà
cercare forme alternative di energia, di trovare l’Eldorado
dell’energia “pulita”. C’è solo una unica via: ridurre. Per
prima cosa lo spreco, a cominciare da quello di cibo. A nessuno piace
la rinuncia, tantomeno a quei popoli che solo da poco tempo sono
arrivati alle comodità della vita moderna. Anni fa ai miei studenti
di economia aziendale, dopo aver spiegato cosa sia
l’esternalizzazione e l’outsourcing che molte aziende adottano
seguendo la logica del profitto, ho fatto anche capire che quello che
le teorie economiche capitalistiche predicano oggi, andava contro il
buon senso del vivere comune. L’usare il polistirolo e la plastica
per confezionare 3 zucchine al supermercato, garantiva sì lavoro
agli operai delle industrie del packaging, ma alla lunga avrebbe
intossicato il nostro Pianeta. Le multinazionali hanno la forza di
convincere i governi che la crescita del PIL è il termometro del
benessere di un paese, ma ci sono altri economisti con meno forza
economica, ma con più lungimiranza per il benessere della comunità
che del singolo, che sostengono che debba essere il FIL (indice di
felicità interna) a misurare il benessere di un popolo. Noi tutti
consumiamo molto, lo sappiamo e dobbiamo fare un mea culpa, ma
dovremmo anche formulare un je accuse contro i governi
conniventi con poteri forti e multinazionali che promuovono i consumi
indotti grazie al marketing sfrenato senza scrupoli di certe aziende.
Nel Tibet la popolazione aveva un’economia ricca e solidale prima
che fosse invaso dall’economia capitalistica che ha portato la
comunità nella povertà e nella disperazione come possiamo vedere
nel documentario “L’economia della felicità” di Helena
Norbert-Hodge del 2012 e leggere nel suo saggio omonimo.
I
beduini nomadi hanno ancora oggi un’economia di sussistenza basata
sulle greggi di pecore, capre e sui cammelli come i loro antenati
preistorici. Loretta
Napoleoni
in “Sul
filo di lana”
scrive: “… Mentre osservavo
affascinata la preparazione di questo pranzo di benvenuto mi resi
conto che quasi tutti i loro beni provenivano dal gregge. La tenda
era realizzata con lunghe strisce di stoffa tessuta con pelo di capra
e lana di pecora… i tendaggi interni erano tessuti con pelo di
cammello. Mangiammo montone, la carne ovina tipica del Medio
Oriente e il latte, lo yogurt e il formaggio stagionato che ci
offrirono venivano tutti da loro dalle loro greggi di pecore e di
capre. Il fuoco e le stufe erano alimentati con lo sterco di questi
stessi animali. Dopo pranzo notai in un angolo una pila di coperte
fatte a maglia… vidi che la lana doveva essere stata filata in
maniera speciale per risultare tanto sottile e morbida con poco
spessore e prima di quasi tutta la lanolina. …era stata raccolta a
mano dal collo delle pecore dove il vello ha una consistenza molto
sottile…
Sì,
non può esserci ambientalismo senza un ribaltamento (o meglio la
fine) del capitalismo. Il rischio, guardando questo doc, è di alzare
le mani e dirsi, «mi arrendo, è tutto inutile», o pentirsi delle
scelte fatte, tipo ricoprire il tetto di casa di pannelli solari.
Ho
letto qualche anno fa “Sapiens – Da animali a dèi” di
Yuval Noah Harari in pochi giorni nonostante fosse un saggio
di oltre 500 pagine. Ci fu regalato da una coppia di cari amici e a
distanza di pochi giorni, ci fu regalato anche dalle nostre figlie.
Ora a casa abbiamo due copie e ne sono ben felice, così posso
prestarne una, quella non sottolineata, e tenermi quella che ho letto
attentamente. Harari è un professore di Storia specializzato a
Oxford che insegna storia alla Hebrew University di Gerusalemme.
Harari oltre a essere uno storico e un bravissimo divulgatore, è un
filosofo nell’anima e mi piace quello che dice e come lo dice.
Il
testo, oltre a ripercorrere la storia dell’umanità, spiega come
siamo arrivati a creare le società, le leggi, la burocrazia, il
consumismo e la ricerca della felicità.
A
un certo punto del testo scrive: “Poiché
le distinzioni biologiche tra differenti gruppi di Homo Sapiens sono,
di fatto, assolutamente trascurabili, la biologia non è in grado di
spiegare, per esempio, né le complessità della società indiana, né
le dinamiche razziali americane. Possiamo capire quei fenomeni solo
studiando gli eventi, le circostanze e i rapporti di potere che hanno
trasformato certi prodotti dell'immaginazione in strutture sociali
crudeli e molto concrete. Società differenti adottano tipi
differenti di gerarchie immaginate, ma c'è una gerarchia di suprema
importanza in tutte le società umane conosciute: la gerarchia di
genere. Ovunque le genti si sono divise fra uomini e donne. E quasi
ovunque gli uomini hanno avuto la meglio, almeno a partire dalla
Rivoluzione agricola.” … e
continua con le innumerevoli ingiustizie che hanno subito le donne
nel corso della storia.
Le varie società, sostiene, associano alla mascolinità e alla
femminilità una quantità enorme di attributi che, per la maggior
parte, non hanno alcun fondamento biologico preciso. Numerosi greci
di oggi pensano che una parte integrante della qualità maschile stia
nell’essere attratto sessualmente soltanto dalle donne, e
nell’avere rapporti sessuali esclusivamente con l'altro sesso. Non
lo considerano un dato culturale, quanto piuttosto una realtà
biologica: i rapporti tra due persone di sesso opposto sono naturali,
e innaturali quelli tra persone dello stesso sesso. In realtà, a
madre natura non importa se gli uomini si sentano attratti
sessualmente l'uno dall'altro. Un numero significativo di culture
umane ha considerato le relazioni omosessuali non solo legittime, ma
anche costruttive dal punto di vista sociale, vedi gli antichi
greci. Come possiamo distinguere ciò che è biologicamente
determinato da ciò che cerchiamo di giustificare tirando in ballo
miti biologici? Una buona regola dice: “La biologia consente, la
cultura proibisce”. La biologia è propensa a tollerare uno spettro
di possibilità assai ampio, ma la cultura tende a sostenere che essa
proibisce solo ciò che è innaturale. Ma da un punto di vista
biologico niente è innaturale. Tutto
quello che è possibile è, per definizione, anche naturale.
Molti
concetti naturali e innaturali provengono dalla teologia cristiana,
sostiene, piuttosto che dalla biologia.
Per
rendere le cose meno complicate, gli studiosi tendono di solito a
distinguere fra “sesso” che è una categoria biologica e
“genere”, che è una categoria culturale. Il sesso pone una
distinzione fra maschi e femmina, e le qualità di questa divisione
sono dati oggettivi rimasti costanti attraverso la storia. Il genere
pone una distinzione fra uomini e donne (anche se ci sono in alcune
culture altre categorie). Le cosiddette qualità “mascoline” e
“femminine” sono intersoggettive e subiscono continui
cambiamenti.
Il
sesso è un gioco da bambini, il genere invece è una faccenda seria.
Le
società patriarcali educano gli uomini a pensare agire in modo
mascolino e le donne a pensare agire in modo femminile punendo chi
osa attraversare questi confini e le qualità considerate maschili
sono più stimate risposto a quelle considerate femminili. Vengono
anche investite meno risorse nella salute e nell’educazione delle
donne che godono anche di minori opportunità economiche, di minore
potere politico e di minore libertà di movimento. Qui Harari si
domanda come mai, salvo rare eccezioni, il “patriarcato sia e sia
stato così universale” e
suppone che possa esserci una teoria biologica che avvalori questo
motivo. Una potrebbe essere la potenza muscolare, ma non lo ritiene
possibile, un’altra teoria è quella dell’aggressività, nel
senso che milioni di anni di evoluzione hanno reso gli uomini molto
più violenti delle donne, ma anche questa teoria Harari non la
ritiene attendibile e lo spiega. Un terzo tipo di spiegazione
biologica attribuisce minore importanza alla forza bruta e alla
violenza e avanza l'ipotesi che attraverso milioni di anni
dell’evoluzione gli uomini e le donne abbiano sviluppato differenti
strategie di sopravvivenza e di riproduzione. Poiché gli uomini
competevano l'uno contro l'altro per avere l'opportunità di
fecondare le donne fertili, le probabilità individuali di
riproduzione dipendevano soprattutto dalla capacità del singolo uomo
di superare sconfiggere gli altri uomini. Con il passare del tempo, i
geni maschili che riuscivano a passare alla generazione successiva
appartenevano gli uomini più ambiziosi, aggressivi e competitivi.
Una donna in gravidata invece, aveva bisogno di un uomo per
assicurarsi la sopravvivenza e di veder garantita anche quella dei
figli e non ebbe altra scelta se non accettare qualsiasi condizione
l'uomo ponesse. Col passare del tempo i geni femminili che passavano
la generazione successiva erano di donne remissive che si prendevano
cura della prole. Il risultato di queste differenti strategie di
sopravvivenza è che gli uomini sono stati programmati per essere
ambiziosi e competitivi e per eccellere in politica e negli affari,
mentre le donne sono state indotte a farsi da parte e a dedicare la
loro vita all'allevamento dei figli. Anche questo approccio viene
smentito dell’esperienza empirica: ci sono molte specie di animali
tra cui gli elefanti e gli scimpanzé bonomo, in cui la dinamica fra
femmine dipendenti e maschi e competitivi sfocia in una società
matriarcale. Se ciò è possibile fra i bonomo e gli elefanti perché
non dovrebbe esserlo fra i Sapiens? Al momento presente non
disponiamo di una risposta a questo interrogativo può darsi che le
ipotesi comuni siano sbagliate. Forse i maschi della specie Homo
Sapiens sono caratterizzati non dalla forza fisica dall'aggressività
o dalla competizione, ma da superiori qualità sociali e a una
maggiore tendenza a cooperare. Semplicemente non lo sappiamo ancora,
dice Harari - almeno è onesto - quel che sappiamo però è che
durante il secolo scorso i ruoli di genere hanno subito un enorme
rivoluzione.
Nel
1620, Francis Bacon, pubblicò un manifesto scientifico intitolato
Novum Organum in cui si affermava che “la conoscenza è
potere” e dette avvio alla connessione fra scienza e tecnica.
Scienza, industrie e tecnologia militare cominciarono a intrecciarsi
soltanto con l'avvento del sistema capitalistico e con la prima
Rivoluzione Industriale. Tuttavia, una volta che questo rapporto fu
stabilito, esso trasformò il mondo molto velocemente. Quando la
cultura moderna riconobbe che c'erano molte cose importanti che
ancora non conosceva, quando tale ammissione di ignoranza si sposò
con l'idea che le scoperte scientifiche potevano conferire nuovi
poteri, si cominciò a sospettare che, dopo tutto, attuare un vero
progresso fosse possibile. Povertà, malattia, guerra, carestia,
vecchiaia e la morte stessa non erano il destino inevitabile del
genere umano. Erano semplicemente il frutto della nostra ignoranza.
Il capitalismo esordì come una teoria sui modi in cui funziona
l'economia e forniva una descrizione di come il denaro operava e
promuoveva il concetto secondo cui reinvestire i profitti nella
produzione porta a una veloce crescita economica. Gradualmente, il
capitalismo diventò molto più che una pura e semplice dottrina
economica e questa nuova “religione” ha avuto un influsso
decisivo anche sullo sviluppo della scienza moderna. Oggi non si
investe nella scienza, se non vi è “utilità”, nel senso di
aumento di produzione e di profitti. Se non si tiene conto della
scienza, la storia del capitalismo è incomprensibile. La fede
capitalistica in una perpetua crescita economica va contro quasi
tutto ciò che sappiamo dell'universo. “Un branco di lupi
sarebbe assolutamente folle a pensare che la disponibilità di pecore
possa crescere in definitivamente.” Sostiene Harari. Il
capitale e la politica si influenzano reciprocamente in misura tale
che i loro rapporti vengono dibattuti animatamente dagli economisti,
dai politici e dalla gente comune. I capitalisti convinti tendono ad
affermare che il capitale dovrebbe essere libero di influenzare la
politica, ma che ai politici non dovrebbe essere consentito di
influenzare il capitale. Il libero mercato ha un neo, secondo
Harari, perché non può garantire che i profitti vengono ricavati in
modo giusto o redistribuiti in maniera equa. L'economia capitalistica
moderna, se vuole sopravvivere, ha come imperativo il costante
incremento della produzione, ma produrre di per sé non basta. Ci
deve essere anche qualcuno che compra i prodotti e pertanto si è
creata una nuova etica: il consumismo. Scrive Harari che
l'etica capitalistica e quella consumistica sono due facce della
stessa medaglia una fusione dei due comandamenti: Investire e
comprare.
Il
genere umano si è impadronito del mondo. Degrado ecologico e
scarsità delle risorse sono però due cose diverse, da una parte le
risorse disponibili per l'umanità sembra siano in costante aumento e
non è vero, mentre la paura del degrado ecologico è assolutamente
fondata. In futuro, è possibile che i Sapiens acquistino il
controllo su una miriade di materiali nuovi e di nuove fonti di
energie distruggendo però simultaneamente ciò che rimane
dell’habitat naturale e portando all'estinzione molte altre specie.
In realtà, lo scompiglio ecologico potrebbe mettere in pericolo la
stessa sopravvivenza di Homo Sapiens: il riscaldamento terrestre,
l’innalzamento degli oceani, l'inquinamento sempre più diffuso
potrebbero rendere il nostro pianeta meno abitabile per la nostra
specie e il futuro potrebbe di conseguenza assistere a una gara fra
le possibilità dell'uomo e disastri naturali indotti dall'uomo
stesso. Molti definiscono tale processo “distruzione della natura“.
Ma secondo Harari, non sarà una reale distruzione, ma una mutazione.
La natura non può essere distrutta. Circa 65 milioni di anni fa un
asteroide spazzò via i dinosauri, ma così facendo, aprì la strada
ai mammiferi. Oggi il genere umano sta portando all'estinzione molte
specie e potrebbe distruggere se stesso ma, nello stesso tempo, altri
organismi se la cavano benissimo. Ratti e scarafaggi sono in pieno
rigoglio. Queste creature tenaci riuscirebbero probabilmente a
scamparla sotto le macerie fumanti di una apocalisse nucleare e forse
fra 65 milioni di anni, ratti intelligenti rivolgeranno grati un
pensiero allo sterminio operato dal genere umano. Il testo è molto
interessante e consiglio nuovamente di leggerlo. Nel bellissimo
capitolo 19, “E vissero felici e contenti” si legge: “Gli
ultimi 500 anni sono stati testimoni di una serie sbalorditiva di
rivoluzioni. La Terra è stata unificata in un'unica sfera ecologica
e storica… la scienza e la rivoluzione industriale hanno conferito
all'umanità poteri oltre umani e un'energia praticamente illimitata.
L’ordine sociale si è trasformato completamente, così come la
politica, la vita quotidiana e la psicologia umana, ma siamo più
felici?” Se la risposta è no a che cosa è servito sviluppare
l'agricoltura, le città, la scrittura, la coniatura delle monete,
gli imperi, la scienza e l'industria?
I
contadini dovevano lavorare molto di più dei cacciatori-raccoglitori
per ottenere cibi meno variati e meno nutrienti e erano molto più
esposti alle malattie e allo sfruttamento. Analogamente la diffusione
degli imperi europei accrebbe notevolmente il potere collettivo
dell'umanità attraverso la circolazione delle idee, delle tecnologie
dei raccolti e l'apertura di nuove vie commerciali. Tuttavia, non fu
certo una svolta positiva per milioni di africani, di nativi
americani e di aborigeni australiani. Quando giudichiamo la modernità
è fin troppo facile assumere il punto di vista di un individuo
occidentale borghese del XXI secolo. Inoltre, sostiene Harari, la
breve età dell'oro di quest'ultimo mezzo secolo potrebbe aver
gettato i semi di una futura catastrofe. Nel corso degli ultimi
decenni abbiamo continuato a turbare l'equilibrio ecologico del
nostro pianeta in ogni modo e possiamo congratularci con noi stessi
riguardo alle conquiste senza precedenti compiuta dal moderno Sapiens
solo se ignoriamo il destino di tutti gli altri animali. Nel corso
degli ultimi due secoli, decine di miliardi di questi animali sono
state sottoposte a un regime di sfruttamento industriale che non ha
precedenti negli annali del pianeta Terra. Poi dice la sua sui
cyborg, sull’ingegneria genetica e così via... Il saggio termina
in questo modo: “Che cosa vogliamo diventare? Tale questione,
chiamata “questione del potenziamento umano”, ridimensiona i
dibattiti che attualmente preoccupano i politici, i filosofi, gli
studiosi e la gente normale… in fin dei conti il dibattito odierno
fra le religioni, le ideologie, le nazioni e le classi sociali del
nostro tempo è destinato con tutta probabilità a scomparire insieme
ai Sapiens. Se i nostri successori avranno un livello diverso di
coscienza… appare dubbio che il cristianesimo o l'islam
rivestiranno qualche interesse per loro, o che la loro organizzazione
sociale potrà essere comunista o capitalista, o che i loro generi
potranno essere maschile e femminile… siamo passati dalle canoe
alle galee, dai battelli a vapore alle navette spaziali, ma nessuno
sa dove stiamo andando. Siamo più potenti di quanto siamo mai stati,
ma non sappiamo che cosa fare con tutto questo potere. Peggio di
tutto, gli umani sembrano più irresponsabili che mai. Siamo dèi che
si sono fatti da sé, a tenerci compagnia abbiamo solo le leggi della
fisica, e non dobbiamo rendere conto a nessuno. Di conseguenza,
stiamo causando la distruzione dei nostri compagni animali e
dell’ecosistema circostante, ricercando null'altro che il nostro
benessere e il nostro divertimento, e per giunta senza mai essere
soddisfatti.
Può
esserci qualcosa di più pericoloso di una massa di dèi
insoddisfatti e irresponsabili che non sanno neppure ciò che
vogliono?”
Nel
suo secondo, a mio parere, bellissimo saggio storico-filosofico,
“Homo Deus – Breve storia del futuro”, Yuval Noah Harari
apre sostenendo che da qualche decennio siamo riusciti a tenere
sotto controllo carestie, pestilenze e guerre. Il testo è stato
pubblicato in Italia nel 2017, tre anni prima del COVID-19 quando si
pensava che l’essere umano era padrone oltre che della tecnologia,
anche della scienza e che saremmo stati al riparo da certe malattie
virali. L'impensabile può accadere…
Il
testo racconta che la storia dell’umanità è una narrazione, prima
orale e poi scritta in cui i Sapiens si sono riconosciuti e hanno
stretto diverse alleanze, una con Dio, per esempio.
Se
la religione è un contratto e la spiritualità è un cammino, voglio
chiarire che io amo camminare.
La
narrazione non è il male, anzi è vitale. Senza storia accettate da
tutti su cose come il denaro, gli stati, le società per azioni, o le
regole del calcio, nessuna società umana complessa può funzionare.
Ma le storie sono soltanto strumenti. Quando dimentichiamo che
si tratta soltanto di finzione perdiamo il contatto con la
realtà, sostiene Harari. La modernità è un nuovo patto. Il mondo
moderno non crede nello scopo, crede solo nella causalità. Se la
modernità ha un motto, sostiene Harari, può essere questo:” è
così che vanno le cose”. Ma se così vanno le cose, allora gli
uomini non sono vincolati e possono fare ciò che vogliono ammesso di
riuscire a trovare il modo di farlo. Le pestilenze e le siccità non
hanno significato cosmico e ora siamo in grado di eliminarle…
Forse
e con lentezza, dico io, visto come sta andando con la pandemia in
corso.
Secondo
Harari, dopo la morte non ci aspetta alcun paradiso, ma possiamo
creare il paradiso qui sulla Terra e viverci per sempre se solo
riusciamo a superare alcune difficoltà tecniche… investendo denaro
nella ricerca se le scoperte scientifiche accelereranno il progresso
tecnologico… se le nuove tecnologie daranno impulso alla crescita
economica e così via… e nessun Dio ci fermerà. In pratica, la
vita moderna consiste in un incessante ricerca del potere dentro un
Universo svuotato di senso. Se le pressioni evoluzionistiche hanno
abituato gli esseri umani a guardare al mondo come a una torta di
dimensioni invariabili e che se qualcuno ottiene una fetta più
grande qualcun altro ne ottiene imparabilmente una più piccola, le
religioni tradizionali hanno cercato di risolvere i problemi
dell'umanità attraverso una redistribuzione della torta esistente,
per così dire, oppure promettendo una torta nell'aldilà. La
modernità, al contrario, si basa sulla convinzione che la crescita
economica non sia solo possibile, ma assolutamente essenziale. In
pratica, “se hai un problema forse hai bisogno di acquistare
qualcosa, e se vuoi acquistare più cose, devi produrre di più.”
Generazione dopo generazione la scienza ha permesso di individuare
nuove fonti energetiche, nuove materie prime, macchinari più
avanzati e oggi il genere umano dispone di quantità maggiori di
energia… se proviamo a immaginare cosa accadrà fra vent'anni
possiamo ragionevolmente aspettarci di produrre e consumare, nel
2037, molto più di quanto facciamo oggi. Confidiamo che la
nanotecnologia e l'ingegneria genetica e l'intelligenza artificiale
rivoluzioni la produzione e abbiamo buone probabilità di risolvere
il problema della scarsità delle risorse.
La
vera nemesi della moderna economia, ci mette in guardia Harari, è il
collasso ecologico.
Un
tracollo ecologico causerà la rovina dell'economia, disordini
politici, un drastico abbassamento degli standard di vita a cui siamo
abituati, e metterà a rischio la stessa esistenza della civiltà
umana. È logico. Chissà se la scienza sarà in grado di salvare,
contemporaneamente l'economia dalla paralisi e l'ambiente dalla
catastrofe… ci dovremmo preoccupare per il fatto che un’apocalisse
ecologica potrebbe avere conseguenze diverse sulle differenti caste
dell'umanità. Nella storia, la giustizia non esiste. Quando si
verifica un disastro, i poveri soffrono sempre molto più dei ricchi,
anche se spesso sono soprattutto questi ultimi a causare la tragedia.
Già adesso il riscaldamento globale sta avendo conseguenze più
pesanti sulla vita dei poveri che vivono in paesi africani aridi,
piuttosto che su quella degli occidentali benestanti. Nonostante
molti accademici e un numero crescente di politici riconoscano la
realtà del riscaldamento globale, la gravità del pericolo, questa
presa di coscienza non ha finora modificato i nostri comportamenti in
maniera significativa. Inoltre, quando si parla di cambiamento
climatico, molti di coloro che credono fermamente nella crescita non
si limitano a sperare nei miracoli, ma danno per scontato che questi
si verificheranno. Se nella peggiore delle ipotesi la scienza non
riuscisse a scongiurare il diluvio, gli ingegneri saprebbero comunque
costruire un Arca di Noè super tecnologica per la casta superiore (i
ricchi) mentre miliardi di persone povere annegherebbero. La fede in
quest’arca high-tech rappresenta al momento una delle più gravi
minacce per il futuro del genere umano dell’intero ecosistema,
secondo Harari. È il moderno patto dell’alleanza.
Oggi,
criticare duramente il capitalismo liberista è una delle priorità
del dibattito intellettuale, ma dal momento che il capitalismo domina
il nostro mondo è difficile comprendere i suoi difetti prima che
essi provochino una catastrofe apocalittica. La moderna
alleanza ci ha promesso un potere senza precedenti e nella realtà
tale promessa non è stata disattesa, ma in cambio ci ha richiesto la
rinuncia al significato. Tuttavia, il genere umano oggi non è solo
più potente che mai, ma è anche più pacifico e cooperativo. Come
ci siamo riusciti e come la moralità, e la bellezza, e la
compassione sopravvivano e resistano in un mondo senza dèi, senza
paradiso e senza inferno può essere spiegato solo dalla comparsa di
una nuova rivoluzionaria religione: l'umanesimo.
L’umanesimo
è la nuova narrazione del genere umano, secondo Harari.
Mentre
tradizionalmente il grandioso piano cosmico dava un senso alla vita
degli umani, l'umanesimo capovolge i ruoli e prevede che l'esperienza
e gli umani diano un senso al cosmo: dare un senso al mondo che un
senso non ha. Di conseguenza la rivoluzione religiosa fondamentale
della modernità non è stata smarrire la fede in Dio, bensì
accrescere la fede nell'umanità. Ricordiamo le parole di Jean
Jacques Rousseau “… tutto ciò che avverto come bene è bene,
tutto ciò che avverto come male e male.” Senza stare a
ripetere l’excursus storico, sociologico e filosofico di Harari, in
poche parole si può sostenere che di fatto l'umanesimo ha condiviso
il destino di ogni religione di successo come il cristianesimo e il
buddismo. Dopo essersi diffuso e sviluppato, si è spaccato in
numerose sette in lotta fra di loro e tutte queste sette credono che
l'esperienza umana sia la fonte suprema dell'attualità e del senso
della vita, ma la interpretano in modi differenti. L'umanesimo si
divide in tre filoni principali secondo Harari, il filone ortodosso
che ritiene che ogni essere umano è un individuo unico che
possiede una distintiva voce interiore e una serie irripetibile di
esperienze e l’individuo libero dovrà avere più importanza negli
interessi dello Stato e delle dottrine religiose. Grazie a questa
esaltazione della libertà il filone ortodosso dell'umanesimo è
conosciuto come umanesimo liberale o semplicemente come
“liberalismo”. La politica liberale crede che l'elettore sappia
cose meglio votare, l'arte liberale ritiene che la bellezza risieda
nell’occhio di chi osserva, l'economia liberale crede che il
consumatore abbia sempre ragione… l'etica liberale ci consiglia di
procedere per la nostra strada, se è questo che ci fa stare bene. La
pedagogia liberale ci insegna a pensare in maniera autonoma…
Fra
il diciannovesimo e il ventesimo secolo mentre l'umanesimo vedeva
aumentare la sua credibilità sociale e il suo potere politico, si
svilupparono due rami: l'umanesimo socialista e l'umanesimo
evoluzionista di cui più noti fautori furono i nazisti e ora
i populisti. Alla fine del capitolo, Harari, sostiene che i grandiosi
progetti umani del ventesimo secolo hanno sconfitto la fame, le
epidemie, (?) le guerre e si sono prefissi l’obiettivo di
salvaguardare una norma universale di agiatezza, salute e pace per
ciascuno. I nuovi progetti del ventunesimo secolo saranno quelli di
ottenere l'immortalità, la felicità eterna e uno status divino.
Questi nuovi progetti potranno anche creare una nuova casta dei
superuomini e superdonne (aggiungo io), che potrebbe disfarsi
delle sue radici liberali e trattare i “normali uomini” non
meglio di come gli europei del diciannovesimo secolo trattavano gli
africani. Se le scoperte scientifiche, gli sviluppi tecnologici
divideranno l'umanità in una massa di uomini e donne inutili e una
piccola élite di superuomini e superdonne potenziati, o se la
qualità sarà trasferita dagli esseri umani agli algoritmi dotati di
un’intelligenza superiore, allora il liberalismo collasserà.
Arriveremo al datismo: la religione dei dati.
Harari
conclude: il datismo minaccia di fare a Homo Sapiens quello che Homo
Sapiens ha fatto tutti gli altri animali. Le vite e l'esperienza di
tutti gli altri animali erano sottostimate perché assolvevano
funzioni meno importanti rispetto agli esseri umani e ogni volta che
un animale cessava di svolgere una qualunque funzione necessaria si
estingueva. Quando noi umani perderemo la nostra importanza
funzionale per la rete di connessioni, scopriremo che non siamo
all'apice della creazione e i parametri che abbiamo venerato ci
condanneranno alla stessa sorte toccata ai mammut o ai delfini
fluviali cinesi… cioè all'oblio. “A uno sguardo
retrospettivo, l'umanità si rivelerà essere stata soltanto
un’increspatura nel flusso di dati cosmico”. Harari termina
il saggio dichiarandosi non in grado di prevedere il futuro poiché
la tecnologia non è deterministica e potrebbe creare tipi di società
molto differenti da quelle prospettate. L'intento del saggio è stato
quello di ampliare i nostri orizzonti per renderci consapevoli
dell’esistenza di uno spettro di opzioni assai più vasto rispetto
ai vincoli di ideologie e sistemi sociali contemporanei.
Se
riflettiamo in termini di mesi, con ogni probabilità dovremo
concentrarci su problemi immediati come i disordini che coinvolgono
il Medio Oriente, la crisi dei rifugiati in Europa e l'economia
cinese. Se pensiamo in termini di decenni, allora ci dovremo
concentrare sul riscaldamento globale, la crescente diseguaglianza e
la disgregazione del mercato del lavoro che stanno all’orizzonte in
maniera minacciosa. Tuttavia, se vogliamo guardare allo sviluppo
della vita in maniera davvero ambiziosa e lungimirante dovremo
rispondere a queste tre domande:
1.
gli
organismi sono davvero soltanto algoritmi e la vita è davvero
soltanto elaborazione di dati?
2.
che
cos'è più importante l'intelligenza o la consapevolezza?
3.
che
cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana
quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci
conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?
Del III
saggio di Harari, “21 lezioni per XXI secolo” riporto solo
una frase: “Chi possiede i dati possiede il futuro” e ha
detto tutto. Aiutoooo!!!
Dopo
aver letto la trilogia di Yuval Noah Harari, ho voluto approfondire
l’argomento sul cammino dell’umanità con l’importante saggio
“Armi, acciaio e malattie” di Jared Diamond che ha
vinto con questo libro il premio Pulitzer nel 1998 per la saggistica.
Diamond è docente all’Università della California e si occupa di
biologia educativa e di biogeografia. Dopo aver raccontato di come si
sia evoluta l’agricoltura da pochi centri nel mondo e come si sia
poi diffusa in relazione alle varie differenze geografiche, nel
capitolo XI spiega come l’agricoltura abbia portato alle malattie,
alla scrittura, alla tecnologia e alle strutture di governo. Oggi si
sa che sia gli adulti che i bambini contraggono malattie dai loro
animali domestici. Molte sono semplici fastidi come le allergie,
altre sono malattie che in passato, sono diventate faccende molto
serie come vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo,
colera. Poiché queste sono state le principali cause di morte per
lungo tempo, sono anche state fattori decisivi nel corso della
storia. Nelle guerre fino alla Seconda guerra mondiale, le epidemie
facevano molte più vittime delle armi, basti ricordare che gli
indiani del Nuovo Mondo caddero sotto i bacilli spagnoli dei
conquistadores piuttosto che sotto le armi. La questione
dell’origine animale delle malattie è di grande importanza, si
pensi all'Aids che pare essersi originato a partire da un virus di
alcune scimmie africane. Purtroppo per noi, esistono i germi più
furbi di altri… e alcuni come il virus dell’influenza, hanno
imparato a cambiare i loro antigeni, cioè quei complessi molecolari
e riconosciuti dagli anticorpi, la costante evoluzione di nuovi ceppi
virali dotati di diversi antigeni spiega perché l'influenza
contratta due anni fa non ci immunizza nei confronti della versione
diffusa quest'anno. Ora, grazie, si fa per dire, al COVID-19 e a
tutto quello che si è letto e sentito, la maggioranza della
popolazione mondiale è a conoscenza di quanto descritto in questa
parte del testo. Non posso sintetizzare, perché andrei fuori tema,
questo interessantissimo saggio che invito a leggere, ma qualcosa
voglio sottolinearla.
Diamond
ci fa questa domanda retorica: Perché l'agricoltura è responsabile
della nascita delle malattie infettive? Per prima cosa perché
contadini sedentari a differenza dei cacciatori raccoglitori, devono
convivere con i loro rifiuti, il che fornisce ai microbi una comoda
strada per diffondersi nelle acque utilizzate dalla comunità.
Alcuni popoli rendono le cose ancora più facili ai batteri e vermi
fecali raccogliendo le loro deiezioni e spargendoli sui campi come
concime. Le tecniche di irrigazione di piscicoltura poi facilitano la
vita ai molluschi, vettori della schistosomiasi e delle fasciole, che
possono infilarsi nella pelle di chi si avventura nelle acque
contaminate. Inoltre, gli insediamenti agricoli attirano i roditori,
che sono noti veicoli di malattie. Il disboscamento, infine, rende
l'habitat ideale per il prosperare della zanzara anofele che porta la
malaria.
Se
la nascita dell'agricoltura fu una festa per i nostri microbi,
continua Diamond, l'arrivo nelle città fu addirittura la manna dal
cielo: in città c'erano molti più ospiti potenziali, e in
condizioni igieniche ancora peggiori. Un altro momento di gloria
nella storia dei germi fu l'apertura delle rotte commerciali, che
trasformarono i popoli d’Europa, Asia e Nord Africa in un
gigantesco banchetto per microbi. In questo modo il vaiolo poté
raggiungere Roma e uccidere milioni di cittadini dell'impero tra il
165 e il 180 d.C.
In
parole povere, giunti ad un certo livello di popolazione e di
affollamento, gli uomini dettero la possibilità agli agenti delle
malattie infettive tipiche della nostra specie di evolversi e
prosperare. Qui però c'è un paradosso: sono malattie nate con le
società affollate, che prima non esistevano. Da dove si sono
originate? Gli studi di biologia molecolare sui batteri e sui virus
ci aiutano a rispondere alla domanda. Molti agenti patogeni umani
sono stati individuati tra i parenti più prossimi: si tratta in gran
parte dei microbi che causano analoghe epidemie nei nostri animali
domestici. Le malattie infettive colpiscono soprattutto i gruppi
numerosi affollati, presenti quasi esclusivamente nelle specie
sociali. Quando queste specie, come i buoi e i maiali, furono
domesticate, erano già vittime di germi che non chiedevano di meglio
che trasferirsi nell’uomo. La nostra intimità con i bovini dura da
9000 anni, per esempio, e c'era tutto il tempo perché il virus della
peste bovina si accorgesse di noi…
Intendiamoci,
questo non significa che non possiamo non evolverci, socializzare e
inurbarci, se questo è il destino dell’umanità, ma che lo si fa
per tentativi ed errori… la scienza spesso spiega dopo, quel che è
successo prima.
La
storia si ripete. Scrive Diamond: “Circa il più sinistro dai
sottoprodotti dell'agricoltura, le malattie, non siamo in grado di
dire in quale area del vecchio mondo queste si siano originate.
Comunque, l'arrivo della peste bubbonica e forse del vaiolo in
Occidente, è ben documentato dal tempo dei romani e le cronache sono
concordi nel dire che si era generato a Oriente. Anche l'influenza,
derivata da una malattia dei suini, nacque probabilmente qui visto
che i maiali furono domesticati assai presto e divennero subito
numericamente rilevanti.” Per Oriente Jared Diamond si
riferisce alla Cina. SIGH.
Sono
Jeremy Rifkin dipendente. Ho letto i suoi libri e non ve li
posso riassumere tutti, anche se vorrei. Leggeteli. Scrive benissimo.
Nel
suo saggio del 2014 “La società a costo marginale zero”
ribadisce un concetto noto agli economisti: la dinamica del sistema
capitalistico trae alimento dalla scarsità. Più semplicemente, un
bene è considerato economico quando è scarso, disponibile e quando
c’è qualcuno che è disponibile ad acquistarlo. Risorse, beni e
servizi hanno un valore di scambio e possono acquisire sul mercato un
prezzo superiore al loro costo di produzione, ma se il costo
marginale di quei beni e di quei servizi scende quasi a zero il loro
prezzo si approssima alla soglia della gratuità, il sistema
capitalistico perde la possibilità di fare leva sulla scarsità e la
capacità di approfittare della dipendenza altrui. Quando il costo
marginale per produrre ogni unità aggiuntiva di un bene o di un
servizio si avvicina allo zero è segno che alla scarsità è
subentrata l'abbondanza. L’idea di organizzare la vita economica
intorno all'abbondanza e al valore di utilizzo e di condivisione
anziché intorno alla scarsità e al valore di scambio è talmente
lontana dal nostro modo di concepire la teoria e la prassi economica
da risultare quasi inconcepibile. Ma proprio questo è lo stato di
cose che sta iniziando a prendere piede in ampi settori
dell'economia. Abbondanza è una parola ambigua ed è un
concetto soggettivo, mentre la sostenibilità del pianeta non lo è.
Oggi
siamo in grado di misurare attivamente con strumenti parametrici
sofisticati l'impronta ecologica. Per sostenibilità si intende la
condizione relativamente stabile in cui l'uso delle risorse
necessarie al sostentamento del genere umano non supera la capacità
della natura del riciclare gli scarti e ricostituire la propria
dotazione. L’impronta ecologica misura in modo diretto dice Rifkin,
la pressione esercitata l'attività dell'uomo sulla biosfera.
Nell'ultimo mezzo secolo l'impronta ecologica dell’umanità è
cresciuta a dismisura, ma ci sono ancora troppi poveri che hanno un
regime alimentare povero e troppi ricchi che hanno un regime
alimentare troppo ricco e che la durata della vita più lunga è di
quelle popolazioni che seguono un regime dietetico intermedio.
Dobbiamo risolvere la questione della grande disparità fra ricchi e
poveri in termini di impronta ecologica e nel contempo ridurre la
popolazione complessiva del pianeta, ma prima di questo dovremmo
riflettere su ciò che rende le persone felici. (anche lui…)
Tutti
gli studi scientifici sulla felicità giungono alla conclusione che
essa cresce e decresce secondo una classica curva a campana. Il 40%
abbondante dell’umanità che vive con 2 $ al giorno in uno stato di
grave povertà sopravvivendo a fatica di settimane settimana è come
si può immaginare, profondamente infelice. Tuttavia, a mano a mano
che si emancipano dalla miseria i poveri cominciano a conoscere la
felicità. Finché non accade qualcosa di sorprendente: quando le
persone raggiungono un livello di reddito che soddisfa i bisogni
primari e le relative istanze di sicurezza, il livello della felicità
inizia a stabilizzarsi; ogni ulteriore aumento del benessere
materiale e dei relativi consumi ha, in termini di felicità
complessiva, ripercussioni marginali; finché non si arriva a un
punto passato il quale la linea della felicità inizia ad abbassarsi
e la persona diventa meno felice. Gli studi rivelano che l'accumulo
di ricchezze finisce per diventare un peso e che il consumo
incontrollato genera dipendenza, con benefici psicologici sempre più
scarsi e meno duraturi. I beni posseduti, insomma, finiscono per
impossessarsi del possessore.
Più
semplicemente, possiamo affermare che i soldi non danno la felicità.
Rifkin
fa un riferimento a una statistica in cui si evince che sebbene gli
americani oggi guadagnino il doppio di quanto guadagnavano nel 1957,
la quota di chi si dichiarava molto felice è calata dal 35 a 30% e
quella degli Stati Uniti non è un'eccezione. La felicità personale
aumenta secondo la ricerca di Layard fintanto che l'individuo non
raggiunge un livello di reddito di circa 20.000 $ l'anno, la soglia
minima dell'agiatezza; a quel punto ogni ulteriore aumento risulta in
termini di felicità, improduttivo. Rifkin sottolinea che le ragioni
per cui il lievitare della ricchezza materiale oltre la soglia
dell'agiatezza produca malessere disperazione è nel fatto che nei
rapporti con gli altri si frappone in misura crescente il filtro
dello status e l'azione dell'invidia e della gelosia. Ciò che rende
il materialismo così dannoso è il fatto che priva l'individuo del
principale impulso che anima la nostra specie: la natura empatica. E
se poi dobbiamo per forza fare riferimento alla filosofia di Hegel,
si può sostenere che per molti, la proprietà è espressione della
personalità dell’individuo e che quindi la nostra proprietà
diventa indistinguibile dalla nostra personalità. “Sono, in
quanto possiedo”.
Per
fortuna, sostiene Rifkin, gli studi più recenti hanno scoperto che
ci sono giovani che hanno meno interesse per le prospettive
materialistiche di un tempo e una minore inclinazione verso uno stile
di vita improntato a un ossessivo consumismo. I risultati di queste
ricerche collimano con la drastica ascesa del consumo collaborativo e
dell’economia della condivisione. In tutto il mondo la giovane
generazione condivide biciclette, auto, case innumerevoli altre cose,
privilegiando l'accesso al possesso, lo sharing. Un
numero crescente di ragazzi di ragazze stanno abbandonando i prodotti
di marca per orientarsi verso prodotti generici o in sostegno di
qualche causa. Il declino della visione materialista si riflette
anche nel crescente impegno per la sostenibilità e la tutela
dell'ambiente.
La
felicità non si compra con il denaro: la povertà genera
disperazione, ma l'incremento di ricchezza, una volta che si sia
superata la soglia di una moderata agiatezza, genera anch'esso un
sempre più profondo stato di disperazione. La deriva materialista,
lontano da fare le persone più felici, la rende più alienate,
paurose, diffidenti e sole. L'impulso fondamentale dell'uomo non è
in realtà una brama di cose materiali, come gli economisti hanno
voluto farci creder da tanto tempo, ma la ricerca della socialità.
Ciò che ci rende felici, una volta soddisfatti i requisiti minimi di
agiatezza materiale, sono l'affetto degli altri e il senso di
comunanza: l'amore, l'inclusione, il riconoscimento della nostra
umanità non sono affatto scarse, ma infinitamente abbondanti
sostiene, Jeremy Rifkin.
Nel
capitolo La cornucopia della sostenibilità Rifkin sostiene
anche che il fattore chiave per la stabilità demografica del pianeta
è l'accesso all'elettricità e sostiene che a emancipare le donne in
Europa, nelle Americhe e in altri paesi durante il ventesimo secolo è
stata proprio l’elettricità perché le ha liberate da molte
faccende domestiche che le teneva incatenate al focolare. È grazie
all'energia elettrica che le ragazze (soprattutto) hanno potuto
trovare il tempo per dedicarsi allo studio e che molte donne sono
riuscite a conquistarsi una certa indipendenza a guadagnare col
proprio lavoro acquisendo maggiore sicurezza e che quindi l'indice di
natalità ha subito un drastico calo. Egli sostiene che a mano a mano
che il movimento per l'accesso universale all'energia elettrica si
affermerà, con ogni probabilità nei paesi più poveri ci sarà un
rallentamento dell'espansione demografica, come è accaduto in tutti
gli altri paesi in cui l'avvento dell’energia elettrica ha
strappato la popolazione alla miseria e che quindi intorno alla metà
di questo secolo il decrescente tasso di fecondità dovrebbe
attestarsi a livello mondiale sui 2,1 bambini per famiglia segnando
l'inizio di una lenta decrescita della popolazione umana che è
auspicabile, se vogliamo riuscire tutti a beneficiare della vita
sulla Terra. Sempre se riusciremo a ridurre l’impronta ecologica.
Ridurre
l'impronta ecologica del mondo ricco, fare uscire dalla miseria il
40% di esseri umani più povero, stabilizzare e poi ridurre il numero
degli abitanti del pianeta in modo che la nostra specie possa vivere
nell’interesse della Terra sono obiettivi ambiziosi, ma non
impossibili: su di essi incombono però due incognite che
potrebbero vanificare tutti i nostri sforzi per integrare le risorse
del pianeta e sostituire la scarsità con l'abbondanza.
Il
mutamento climatico causato
dall' industrializzazione sta compromettendo i nostri ecosistemi
minacciando la sopravvivenza della nostra specie delle altre. Come se
non bastasse, le stesse tecnologie informatiche che grazie a internet
stanno collegando l'umanità in un’economia dell’abbondanza
basata sulla condivisione sono sempre più sfruttate da terrorismi
informatici
per seminare il caos con un impatto potenzialmente catastrofico che
potrebbe sfociare nel crollo della civiltà moderna e causare
centinaia di milioni di vittime.
Torniamo
all'argomento clima: abbiamo un pianeta sempre più caldo e non sto
qui a spiegare il perché, perché ne abbiamo già parlato attraverso
i saggi. L'abbiamo già scritto svariate volte. Abbiamo anche un
pianeta dove avvengono sempre più spesso catastrofi legate a
tempeste, a temporali di estrema violenza, a eventi idrologici ad
alta intensità, e momenti di siccità estrema dovuti ai cambiamenti
climatici. Se la nostra specie vuole sotto continuare a sopravvivere
e prosperare deve trovare in fretta un nuovo modo di abitare il
pianeta.
Queste
parole sono simili a tutte quelle che abbiamo trovato nei testi
precedenti che sono stati esaminati, avranno quindi ragione loro o le
multinazionali e gli oligarchi?
Rifkin
sostiene anche che il Commons collaborativo assumerà un ruolo sempre
più dominante, confinando l'economia capitalistica a un ruolo più
gregario. Del resto, la Terza Rivoluzione Industriale sta
avanzando con passo spedito verso la quarta. Nel capitolo Uno
stile di vita biosferico, Rifkin ripercorre velocemente la storia
dell'umanità da un punto di vista economico.
Nelle
società primitive dei cacciatori-raccoglitori la fonte di energia
era costituita dal corpo umano: non si conosceva ancora l'uso degli
animali domestici, né si sfruttava la forza del vento o quella
dell'acqua. Per coordinare la caccia e organizzare la vita sociale,
ogni società di cacciatori-raccoglitori elaborava qualche forma di
comunicazione orale e questo tipo di società era dotata di una
”coscienza mitologica”. In questa società l'impulso all'empatia
si fermava ai vincoli di sangue e a legami tribali.
L’avvento
delle grandi civiltà idrauliche, in Medio Oriente intorno al 3500
a.C., in Cina, e anche nell'Asia meridionale, portò con sé una
nuova matrice comunicazione-energia-trasporti. Per costruire e
mantenere in efficienza un sistema agricolo centralizzato, basato
sulla comunicazione mediante canali, occorreva un notevole apporto
sia in termini di manodopera che in termini di competenze tecniche.
Con il nuovo regime energetico sorsero le città, i granai, le reti
stradali, la moneta, i mercati e il commercio di lunga distanza.
Sorse anche il potere di gestire la produzione, lo stoccaggio la
distribuzione delle granaglie. Nacque nella mezzaluna fertile la
prima contabilità di magazzino e la scrittura.
La
combinazione di scrittura e produzione agricola con tecniche
idrauliche, fece passare la psiche umana dalla coscienza mitologica a
quella “teologica”. Nel periodo denominato era assiale, dall’800
a.C. al 100 d.C. sorsero le grandi religioni come l'ebraismo e il
cristianesimo, il buddismo e il confucianesimo. Al passaggio dalla
coscienza mitologica a quella teologica, si accompagnò un cospicuo
ampliamento dell’impulso all'empatia che dalla sfera dei legami di
sangue si allargò a quella di nuove famiglie fondate sulle identità
religiosa.
Nel
XIX secolo l'unione fra la stampa meccanica a vapore, la produzione
industriale alimentata a carbone, il sistema di trasporto su ferrovia
generò la “coscienza ideologica”. Ogni paese si dotò di una
propria narrazione storica in gran parte immaginaria, corredandola
con la rievocazione di grandi gesta, epiche battaglie, commemorazioni
collettive e celebrazioni nazionali.
Nel
XX secolo la combinazione tra elettrificazione centralizzata, uso del
petrolio e diffusione degli autoveicoli, segnò con l'avvento di una
società caratterizzata dal consumo di massa, un altro sviluppo
cognitivo, quello dalla coscienza ideologica alla “coscienza
psicologica”.
“Siamo
ormai talmente abituati - dice
Rifkin -
a pensare in modo introspettivo e terapeutico e a vivere nello stesso
tempo sia in un mondo interiore, sia nel mondo esterno, da
dimenticare che i nostri avi e tutte le generazioni che li hanno
preceduti erano incapaci di pensare in termini psicologici, salvo
eccezioni. Con la coscienza psicologica, l'impulso empatico si è
dilatato oltre i confini politici ed è arrivato a includere i legami
associativi.”
L’essere
umano ha dentro di sé la coscienza mitologica, quella teologica,
quella ideologica e quella psicologica che coesistono organicamente
nella psiche di ogni individuo sia pure in varia proporzione e in
vario grado in ogni cultura. Nel mondo è rimasta ancora qualche
minuscola comunità di cacciatori-raccoglitori con la loro coscienza
mitologica. Altre società sono rimaste legate soprattutto alla
coscienza teologica, altre sono approdate alla coscienza ideologica e
poi a quella psicologica.
“Questi
mutamenti di coscienza non si sono realizzati in modo meccanico e
lineare e ci sono stati periodi oscuri e fasi intermedie di
regressioni, ma nonostante questo, nella vicenda evolutiva dell'uomo
c'è uno schema ben riconoscibile che si concretizza nell’irregolare,
ma inequivocabile trasformazione della coscienza umana e nella
relativa espansione dell’impulso empatico in direzione di famiglie
ideali più ampie, organizzate attorno a matrici
comunicazione-energia-trasporti e paradigmi economici sempre più
complessi e interdipendenti.”
Scrive
Jeremy Rifkin.
La
storia è vista spesso attraverso le guerre, ma come osservava Hegel,
il periodo di felicità sono le pagine bianche della storia perché
corrispondono ai periodi di accordo.
Il
lato non scritto della storia è quello che copre il periodo di
crescita e di armonia suscitati dall’incessante spinta dell'uomo a
trascendere se stesso, a trovare la propria identità in organismi
sociali sempre più evoluti. Questi diventano strumento con cui
generiamo capitale sociale, esploriamo il senso della vicenda umana e
individuiamo il nostro posto nel grande disegno delle cose.
“L’empatia
è civiltà, la civiltà è empatica. I due elementi sono
inscindibili.”
La
storia dell'uomo ci mostra che alla felicità non ci si approssima
con il materialismo, ma con il coinvolgimento empatico perché per
esempio, se alla fine della vita volgiamo lo sguardo indietro e
consideriamo la nostra vicenda personale scopriamo che raramente le
esperienze più vivide nella memoria sono legate al guadagno
materiale, alla fama o al patrimonio bensì ricordiamo gli incontri
empatici.
“Quando
si entra in empatia si sente la fragilità e la transitorietà
dell'esistenza altrui. Empatizzare significa fare il tifo per
l'altro, augurarsi che abbia fortune, arrivi a dispiegare appieno il
potenziale del suo breve passaggio. Qualcuno può dubitare anche solo
per un istante, che i momenti più felici siano sempre
immancabilmente quelle di maggior empatia?”
Questi
ragionamenti conducono l'autore alla questione di come promuovere la
felicità individuale e collettiva nella nostra specie. Se siamo
passati alle varie coscienze espandendo il nostro impulso empatico,
in questo nostro cammino si potrebbe compiere un ulteriore passo: il
passaggio alla coscienza biosferica e una nuova estensione
dell’empatia tale da includere l'intero genere umano nella nostra
famiglia. Una nuova struttura intelligente composta da un internet
della comunicazione, un internet dell’energia e un internet
trasporti in interazione fra loro. Collegare ogni cosa, ogni essere
all'internet delle cose sarà un evento che trasformerà la storia
dell'uomo permettendo per la prima volta la nostra specie di
empatizzare, socializzare come un’unica famiglia secondo anche la
visione quantistica. L’unica cosa da eccepire sarebbe che i Big
Data saranno in mano a pochi… e gli esseri umani saranno schiavi
del datismo, come dirà Harari.
A
questa trasformazione si accompagna un mutamento della psiche umana:
il passaggio alla coscienza più sferica e l'ingresso nell'era
collaborativa. La sensibilità collaborativa e il riconoscimento che
le nostre vite individuali sono intimamente interconnesse che il
nostro benessere personale dipende in ultima analisi dal benessere
della più ampia comunità nella quale viviamo.
Questo
spirito di collaborazione sta cominciando a estendersi alla biosfera.
In tutto il mondo i ragazzi stanno imparando a conoscere la loro
impronta ecologica e stanno imparando a capire che la biosfera, la
nostra comunità planetaria, il cui stato di salute e il cui
benessere determina anche il nostro.
I
giovani d'oggi collegati fra loro nello spazio virtuale e in quello
fisico, si stanno velocemente sbarazzando dei residui vincoli
ideologici culturali e commerciali che da tempo immemorabile separano
il ”mio” dal “tuo” nel quadro di un sistema capitalistico
caratterizzato da rapporti di proprietà privata, scambi di mercato,
confini nazionali. La parola “open source” (programma
modificabile e disponibile liberamente) è diventata il mantra di una
generazione che vede i rapporti di potere in modo completamente
diverso rispetto ai propri genitori e i propri nonni. In un mondo
dominato dalla geopolitica, il dibattito si struttura nella
contrapposizione fra destra e sinistra e ruota attorno alla questione
di chi debba sedere a controllare i mezzi di produzione con alcuni
che sostengono il capitalismo e gli altri il socialismo. Ma i ragazzi
del nuovo millennio parlano raramente in termini destra e sinistra,
ma sono proiettati oltre il mercato capitalistico anche se continuano
a servirsene. Svolgono gran parte della loro vita economica in un
Commons collaborativo di rete.
Il
loro fresco spirito d'apertura sta abbattendo le barriere che hanno a
lungo diviso le persone in base al sesso, alla classe, alla razza,
all'etnia, e all'orientamento sessuale. Milioni di individui
specialmente giovani, stanno dilatando il proprio impulso empatico
anche verso altre creature come pinguini e gli orsi polari…
altre specie in pericolo degli ultimi ecosistemi selvaggi
incontaminati rimasti. I giovani hanno appena cominciato a cogliere
l'opportunità di dare vita a una civiltà empatica profondamente
inserite nella comunità della biosfera.
I
segni, in questo momento, sono più di speranza che di previsione. Ma
Jeremy Rrifkin sente nell'aria un inconfondibile sensazione di
possibilità.
Nel
2002 Rifkin esce con il libro “Economia
all’idrogeno”. È
un bel testo che consiglio di leggere, ma è datato, nel senso che
ancora oggi la tecnologia per produrre energia con l’idrogeno è
molto costosa e produce molti CO2 da immagazzinare. Una parte molto
interessante del testo è quando parla della ipotesi
Gaia
secondo la quale la terra funziona come un organismo vivente
autoregolato. Secondo la teoria di diversi scienziati degli anni 70,
la flora e la fauna di una data regione ricomposti geochimici
dell'atmosfera interagiscono in una relazione simbiotica per
mantenere il clima terrestre in uno stato relativamente stabile,
favorevole alla vita. James Lovelock[10]
indica la regolazione dell’ossigeno e del metano come un perfetto
esempio del modo in cui il processo cibernetico fra la vita e il
ciclo biochimico permette di mantenere sulla terra un regime
climatico omeostatico. Ci ricorda che il livello dell'ossigeno
nell'atmosfera terrestre deve essere compreso entro uno strettissimo
range
di
oscillazione: un aumento dell’1% del livello dell'ossigeno
aumenterebbe la probabilità degli incendi, un aumento del 4%,
probabilmente ridurrebbe l'intero pianeta un gigantesco rogo. La
produzione di ossigeno è garantita dalla fotosintesi: i cloroplasti
contenuti all'interno delle cellule vegetali convertono energia
solare in energia chimica, per il nutrimento della pianta e nel farlo
convertono in ossigeno il biossido di carbonio e l'acqua. Gli
animali, dal canto loro, per tenersi in vita assumono l'ossigeno
attraverso la respirazione ed emettono nell'atmosfera biossido di
carbonio gran parte del quale rientra in circolo attraverso la catena
vegetale procedendo così all'infinito. Alla fine degli anni 70 gli
scienziati scoprirono che il metano era un sottoprodotto biologico
derivante dalla fermentazione batterica. I microrganismi che vivono
nell’apparato digestivo dei ruminanti e delle termiti, e nelle
torbiere, producono almeno un miliardo di tonnellate annue di metano.
Il metano migra nell’atmosfera dove agisce da regolatore,
aggiungendo e sottraendo ossigeno all'aria… senza continuare questa
spiegazione scientifica, Rifkin sintetizza che gran parte di ciò che
costituisce la biosfera proviene da creature viventi o è da esse
modificato… il pianeta è dunque molto più simile a una creatura
vivente e ha un’entità organica auto regolata che si mantiene in
uno stato stabile necessario alla continuazione della vita. Secondo
l'ipotesi
Gaia
l'adattamento e l'evoluzione delle singole creature sono parte di un
processo più grande di adattamento ed evoluzione del pianeta spesso.
Da allora molti scienziati hanno aderito all'ipotesi Gaia correggendo
e ampliando e precisando il lavoro di Lovelock e di una biologa
americana, Lynn Margolis. Se in effetti, la Terra funziona come un
organismo vivente, l'attività dell'uomo che interviene sulla
biochimica di questo organismo può portare a gravi conseguenze tanto
per la vita umana quanto per la biosfera nel suo complesso. Il
massiccio ricorso ai combustibili fossili è il principale esempio su
scala globale di un'attività umana che provoca il rischio di un
radicale cambiamento del clima terrestre mettendo a repentaglio la
biosfera che supporta tutte le creature viventi. La rete energetica
dell’idrogeno secondo Rifkin, ci mette a disposizione un nuovo
regime non inquinante che decentralizza e democratizza l'energia.
Benché l'idrogeno si trovi ovunque e non sia una risorsa scarsa,
solo la creatività dell'uomo può estrarlo dal suo ambiente e
sfruttarlo al fine di generare energia. è possibile immaginare un
futuro, sostiene Rifkin, il cui costo di produzione di quantità
illimitate di idrogeno sarà virtualmente nullo.
Buone
notizie! Riprendendo quello che sostiene Rifkin, citato dal sito del
MISE (Ministero delle sviluppo economico) aggiornato al
ministro Giorgetti Governo Draghi si legge: Rilevanti considerazioni
sul crescente ruolo dell’idrogeno sono emerse anche a giugno 2019
in occasione del G20 dalla International Energy Agency, in uno
specifico rapporto - “The Future fo Hydrogen”- che individua
l’idrogeno come il vettore energetico necessario per immagazzinare
la produzione da fonti rinnovabili. Perchè́ favorire l'idrogeno
verde? In primis è un'energia pulita e producibile in qualsiasi
luogo del mondo se prodotto da fonti rinnovabili che hanno ormai
assunto un ruolo essenziale e strategico nei sistemi energetici
mondiali. Attraverso le fonti rinnovabili, a seguito del processo di
elettrolisi, è possibile produrre idrogeno verde la cui successiva
trasformazione produce energia e vapore acqueo, senza generare
effetti inquinanti. L’idrogeno verde può inoltre, essere stoccato
e utilizzato in diversi settori, quali quello dei trasporti, della
produzione di calore per uso industriale, fino all’immissione nelle
reti di trasporto e distribuzione del gas. Visto il crescente
interesse a livello internazionale verso l’idrogeno, quale
possibile alleato per la decarbonizzazione, il Ministero dello
Sviluppo Economico, attraverso la ex-DGSAIE ha convocato il Tavolo
Idrogeno con l’obiettivo di superare gli ostacoli che si
frappongono alla sua diffusione. All’iniziativa, avviata a partire
da giugno 2019, hanno aderito oltre 35 società ed enti di ricerca
attivi in Italia nella filiera dell’idrogeno. All’interno del
Tavolo Idrogeno sono stati quindi costituiti 3 Gruppi di Lavoro
(1-Aspetti normativi e regolamentari, 2-Produzione, stoccaggio e
Power to Gas, 3-Trasporti), così da favorire l’avvio di un
percorso che permetterà la definizione di priorità indirizzi e
valutazioni di competitività nel settore delle tecnologie
dell’idrogeno, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di
progetti nella filiera in ambito nazionale. Il confronto con i
partecipanti ha restituito un profilo aggiornato della situazione
relativa allo sviluppo delle tecnologie nei segmenti della filiera
industriale italiana relativi a: produzione di idrogeno, stoccaggio,
mobilità e power-to-gas (conversione dell’elettricità prodotta
dalle fonti rinnovabili in gas idrogeno).
Lo
sviluppo di sistemi energetici ed economici sempre più
decarbonizzati e basati sull’idrogeno verde dipenderà da diversi
fattori strategici, tra i quali l’adeguamento del framework
normativo, la progressiva riduzione dei costi di produzione delle
energie rinnovabili, la realizzazione di investimenti pubblici e
privati nel settore infrastutturale (es. stazioni di ricarica), oltre
che dalle attività di cooperazione internazionale volte a favorire
la ricerca e l’innovazione del settore dell’idrogeno pulito.
L’impegno
del Ministero è sia favorire e accompagnare la diffusione
dell’idrogeno verde a livello nazionale, che contribuire alle
principali iniziative internazionali in essere, quali “The Hydrogen
Initiative” promossa dalla Commissione Europea, il Tokyo Statement
del 2018 e la “Renewable and Clean Hydrogen Innovation” di
Mission Innovation, al fine di accelerare lo sviluppo di un mercato
globale dell’idrogeno quale “nuovo alleato” per la
decarbonizzazione.
Ultimamente
ho letto anche “La nostra casa è in fiamme” della giovane
attivista svedese Greta Thumberg perché avevamo comprato il
testo come BDS con l’intento di destinarlo ai/alle giovani per il
prestito e la consultazione. A distanza di circa sessant’anni dal
saggio di Carson il quadro è peggiorato perché ora si parla anche
del surriscaldamento del pianeta e che le nazioni ricche devono
assolutamente ridurre le emissioni. “E quasi nessuno parla del
fatto che siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa e ogni
singolo giorno si estinguono fino a 200 specie viventi e che il tasso
di estinzione naturale è oggi tra 1000 e 10.000 volte più alto di
quello che viene considerato normale” sostiene Greta.
Durante
il famoso discorso che Greta Thumberg fece il 25 gennaio 2019 a Davos
disse al mondo: “La nostra casa è in fiamme secondo l’IPCC
mancano meno di 12 anni al momento in cui non avremo più la
possibilità di rimediare ai nostri sbagli. In questo intervallo di
tempo dovranno avvenire cambiamenti senza precedenti in tutti gli
aspetti della società compresa una riduzione di almeno 50% delle
emissioni di CO2… O scegliamo di voler esistere ancora come civiltà
oppure no… non importa quanto sconveniente e poco redditizio possa
risultare... più pesante è il vostro dovere morale… gli adulti
continuano a dire dobbiamo dare speranza ai giovani... Non voglio che
siate ottimisti. Voglio che siate in preda al panico. Voglio che
proviate la paura che io provo ogni giorno. E poi voglio che agiate.
Voglio che agiate come fare essere un'emergenza. Voglio che
agiate come se la vostra casa fosse in fiamme. Perché lo è.”
Nel
capitolo Ipocriti leggo: “Almeno Donald Trump è sincero. investe
sul lavoro e sul denaro e se ne frega dell’Accordo di Parigi, così
tutti pensano che sia un estremista. Però noi facciamo esattamente
lo stesso.” dice Greta. Pare che la Svezia sia infatti all’ottavo
posto al mondo per le emissioni…
Nel
capitolo Anno Domini 2017 viene ribadito quello che Rachel Carson
aveva predetto sessant’anni prima: oltre 20.000 ricercatori e
scienziati hanno pubblicato un forte appello all'umanità spiegando
che ci stiamo avviando verso una catastrofe climatica e della
sostenibilità. Nel 2017 i ricercatori tedeschi hanno constatato che
il 75/80% degli insetti è scomparso. Poco tempo dopo un rapporto ha
rilevato che la popolazione di uccelli in Francia è crollata e che
alcune specie sono diminuite del 70%, perché gli uccelli non hanno
più insetti da mangiare. Greta si batte contro l’uso degli aerei
per le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Ultimamente
ho visto un programma su Rai 5 (uno dei pochi canali da seguire) sul
maggiore utilizzo del treno al posto dell’aereo nei paesi nordici.
Qualcuno sta cominciando a capire… Ogni volta che scegliamo di
salire su un aereo, mangiare carne o comprare vestiti nuovi, questo
comporta una riduzione del budget di anidride carbonica necessario
per aumentare il benessere delle zone meno fortunate del mondo. Sono
questioni tremendamente difficili con cui fare i conti, ma non
possiamo più permetterci il lusso di distogliere lo sguardo e
fingere che questo bivio esistenziale non ci sia. Restare a terra e
non prendere l’aereo, genera una reazione a catena, ed è la cosa
migliore da fare, si sostiene nel libro. Non è necessario volare per
moltissime persone, non è necessario mangiare carne e non è
necessario fare shopping inutile. La società della crescita,
dell’aumento del Pil, non accetta che la strada da percorrere
richieda a volte qualche passo indietro, per questa conta solo andare
avanti.
Secondo
un recente studio the InfluenceMap, un'organizzazione che si occupa
di analizzare l'impatto delle aziende sul clima, 44 delle 50 lobby
più influenti del mondo si oppongono attivamente a una politica
climatica efficace… ma no! E come mai? Dico io.
In
fondo, il compito principale di una società per azioni è realizzare
profitti, non salvare il mondo e per rendersi più simpatica utilizza
il cosiddetto Greenwashing, vale a dire sostenere che è bio,
che è verde e che investirà (non si sa quanto e quando) in energie
pulite… a un certo punto del libro leggo una frase di Greta: “Un
solo viaggio in aereo può cancellare vent’anni di raccolta
differenziata…” Possibile mi domando. Ma se è vero, allora
non dobbiamo volare più, almeno per scopi turistici. Le stesse
aziende che dicono che tutto si risolverà, basterà continuare a
comprare i loro prodotti green.
Più
leggo questo libro, che non è neanche bello, più mi rendo conto che
Greta e la sua famiglia hanno ragione: Quello che serve è una
rivoluzione e deve iniziare adesso, anzi prima di adesso. Il problema
è che siamo nel mezzo di una crisi che non è mai stata considerata
tale, soprattutto dai media, perché si sa che l’economia viene
prima dell’ecologia, purtroppo.
La
soluzione sarebbe semplice: tassazione altissima sui combustibili
fossili, piantare alberi a più non posso e mantenere le foreste
esistenti, non mangiare carne, evitare lo shopping inutile e non
prendere aerei. Non produrre plastica e non utilizzarla (questo che
lo dico a fare?).
“Arriverà
un momento in cui saremo tutti morti e dimenticati
- leggo - e l’unica
cosa che resterà di noi saranno quei gas serra che più o meno
consapevolmente abbiamo immesso nell’atmosfera. Andando al lavoro,
al supermercato, a fare shopping.”
Nessuno
può fare la rivoluzione da solo, ma è sufficiente una sola voce,
che sia sufficientemente forte, a innescare una reazione a catena.
Trovo una citazione di Rachel Carson, …chi si risente… “Ma
l’uomo è una parte della natura, e la sua guerra contro la natura
è inevitabilmente una guerra contro se stesso”.
Il
10% delle persone più ricche del pianeta è responsabile di metà
delle emissioni di gas serra che stanno distruggendo l’atmosfera e
di conseguenza causano il surriscaldamento del pianeta. Con il tasso
attuale di emissioni l’atmosfera equilibrata adatta alla vita sulla
Terra finirà. É uno dei fallimenti più grandi dell’Homo Sapiens,
leggo. Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi che oltre a non essere
affrontata come tale, è anche disconosciuta da molti di noi,
soprattutto dal sistema politico-economico attuale. “Meglio
parlare di ordine. O di sicurezza. Di criminalità, rifugiati, lavoro
e soldi. Sempre soldi.” Il nucleo del problema, per riassumere,
è il desiderio della grande maggioranza di continuare esattamente
come ha sempre fatto. Il fatto che questa inerzia coincida con la
conservazione dell’attuale equilibrio di potere e vada a vantaggio
dei privilegiati fa molto comodo proprio a chi fa parte di
quell’esiguo ed esclusivo gruppo di individui.
Economia
o ecologia? Dobbiamo scegliere.
Greta
Thumberg affetta dalla Sindrome di Aspergen e da disturbi alimentari
quando aveva solo quindici anni, ha scioperato per tre settimane
davanti al Parlamento Svedese a favore del clima e ha fatto in modo
che la questione climatica ottenesse attenzione. Ha poi scioperato da
scuola ogni venerdì con un sit-in davanti al Parlamento svedese
affinché la Svezia fosse in linea con l’accordo di Parigi. Il
libro si chiude così: “La battaglia per l’ambiente è il
movimento femminista più grande del mondo. Non perché in qualche
modo escluda gli uomini, ma perché sfida quelle strutture e quei
valori (patriarcali, aggiungo) che hanno creato la crisi in
cui ci troviamo. La madre Terra è pronta dietro le quinte. Il
sipario si alzerà da un momento all’altro.”
A
distanza di ben 37 anni dal saggio di Vandana Shiva, l’attivista,
giornalista, ebrea canadese Naomi Klein scrive nel 2019 “Il
mondo in Fiamme”- Contro il capitalismo per salvare il clima.”
Nell’introduzione, oltre a documentarci su quanti giovani si stiano
muovendo per il clima, Klein cita il “superpotere” di Greta, dai
cui discorsi ha parafrasato anche il titolo del suo saggio.
Klein
indaga e denuncia alcune specifiche modalità con cui alcune nazioni
sono state all'avanguardia nella creazione della catena logistica
globale che ha fatto nascere il capitalismo moderno, il sistema
economico del consumo illimitato e della depauperazione in piena
crisi climatica.
Una
storia che comincia con la tratta della gente di colore dall'Africa e
con le terre sottratte alle popolazioni indigene, il land
grabbing: due forme di esproprio brutale così lucrose da
generare i capitali e il potere in eccesso necessari per lanciare
l'era della rivoluzione industriale basata sui combustibili fossili e
con essa l'inizio del cambiamento climatico antropogenico. Un
processo che necessitava fin dai primi passi quelle teorie
scientifiche e anche teologiche che dichiarassero la supremazia
bianca e cristiana… quella che fu chiamato il “capitalismo
razziale”.
Accanto
a queste teorie che giustificavano il trattamento degli esseri umani
come se fossero materia prima, c'erano anche quelle teorie che
giustificavano lo stesso identico trattamento della natura, foreste,
fiumi, terre e animali acquatici. Millenni di sapere umano accumulato
su come possiamo a proteggere e rigenerare la natura (vedi Shiva)
sono stati cancellati a vantaggio di una nuova idea: che non ci
fossero limiti alla capacità dell'uomo di controllare la natura né
a quanta ricchezza si poteva estrarre da essa associati a mere
conseguenze.
L’immensa
ricchezza naturale delle terre che sarebbero divenuti gli Stati
Uniti, il Canada e l'Australia induceva immaginarle sin dal primo
contatto come una sorta di controfigura delle potenze coloniali, che
stavano esaurendo la natura da spremere a casa propria, con la
scoperta di questi nuovi mondi apparentemente inesauribili a cui Dio
aveva regalato una dilazione: nuova Inghilterra, nuova Amsterdam,
nuova Francia... come prova che non sarebbero mai rimaste a corto di
altra natura da sfruttare.
Il
Libro di Klein è anche composto da lunghi reportage e riflessioni in
cui si indagano gli ostacoli, alcuni economici, altri ideologici,
altri concernenti la storia secolare del diritto accampato da certe
persone di dominare la terra e la gente che ci vive sopra. In parole
povere, i miti che puntellano la storia dell’Occidente. Per
fortuna, si sta facendo largo, sostiene la giornalista, una visione
coraggiosa del mondo che potrebbe ribaltare certe idee legate solo a
interessi economici e ideologici che prende il nome di Green New
Deal.
L’IPCC
(International Panel on Climate Change) che fu creato dalle
Nazioni Unite per fornire ai legislatori le informazioni più
affidabili affinché prendessero decisioni assennate dopo che già i
governi avevano riconosciuto unanimi la minaccia del riscaldamento
globale già nel 1988, ha stabilito con un rapporto che attinge a
oltre 6000 fonti e redatto da quasi 100 autori e revisori, che siamo
destinati a un aumento del livello dei mari che inghiottirà le città
costiere, alla morte delle barriere coralline e a siccità che
cancelleranno le coltivazioni in parti immense del globo entro 12
anni. Eravamo nel 2019. Ora ce ne restano dieci.
Questo
rapporto dell’IPCC si è dimostrato un motivatore potente tanto che
arrivano le richieste da più parti degli Stati Uniti e dal mondo
intero affinché i governi reagiscano alla crisi climatica con un
ambizioso Green New Deal, un nuovo patto verde. Come dice
Naomi Klein è un'idea molto semplice perché l'umanità ha la
possibilità che capita una sola volta al secolo: quella di sanare un
sistema economico che sta voltando le spalle su più fronti alla
maggioranza degli abitanti del nostro pianeta perché i fattori che
stanno distruggendo la Terra stanno anche distruggendo la qualità
della vita della gente in tante altre maniere, dalla stagnazione
degli stipendi, all'aumento delle disuguaglianze, ai servizi in
disarmo, fino alla distruzione di qualsiasi coesione sociale e
affrontare questi fattori sottostanti ci dà l'occasione di risolvere
in un solo colpo parecchie crisi intrecciate.
Possiamo
creare centinaia di milioni di ottimi posti di lavoro in tutto il
mondo, investire nelle comunità nelle nazioni più sistematicamente
emarginate, garantire sanità e assistenza all'infanzia pubbliche e
tanto altro. L’esito di queste trasformazioni sarebbero sistemi
economici pensati per proteggere e rigenerare i meccanismi di
sopravvivenza del pianeta e rispettare e sostentare la gente che da
essi dipende.
I
vari piani che sono stati proposti per avviare questa trasformazione
in stile Green New
Deal immaginano un
futuro in cui è stato scelto il difficile compito della transizione
(adesso in italia
abbiamo il ministero per la transizione ecologica), compreso il
sacrificio del consumo esagerato. In cambio, però, migliorerà la
qualità della vita per i lavoratori in tantissimi modi, garantendo
più tempo per lo svago e per le arti, trasporti alloggi davvero
accessibili anche in senso economico, l'eliminazione degli enormi gap
di ricchezza fra razze e generi, e una vita di città che non sia una
battaglia incessante contro traffico rumore e inquinamento.
Ancora
prima del rapporto dell’IPCC sul grado e mezzo in più di
temperatura media del globo terrestre, il movimento climatico si è
concentrato prevalentemente sul periglioso futuro che ci si prospetta
nel caso i politici non agiscano. Questo approccio “dalla base”
alla crisi climatica non è nuovo di per sé e questo genere di
giustizia climatica è stato tentato a livello locale per tanti anni
a partire dall’America Latina e dai movimenti statunitensi per la
giustizia ambientale.
Il
concetto del Green New Deal è entrato nelle piattaforme di alcuni
piccoli partiti verdi di tutto il mondo e già nel 2014 Naomi Klein
stessa nel suo libro “Una rivoluzione ci salverà”
esaminava in maniera approfondita questo tipo di impostazione
olistica e anche un altro suo interessantissimo saggio No Logo,
uscito circa 20 anni fa, e che la sottoscritta ha fatto conoscere ai
propri studenti, metteva in guardia i costi umani ed ecologici della
globalizzazione delle multinazionali che producevano in Indonesia e
nel Delta del Niger. Era già chiaro che i vantaggi di quello che
veniva spacciato per benessere e miglioramento della vita di quasi
tutti gli abitanti del pianeta, sarebbe stato invece un massimo
sfruttamento dei singoli operai nei reparti e la decimazione di fiumi
e montagne trasformando terre fertili in distese salate.
A
noi umani servono tutte le misure possibili per abbassare le
emissioni, e ci servono adesso. Significa che non riusciremo a farlo
se non siamo disposti ad accettare un mutamento economico e sociale
sistemico. Gli esperti della riduzione delle emissioni sono impegnati
interminabili dibattiti e molti sono anche a favore del New Deal di
Roosevelt che ha dimostrato che possiamo mutare radicalmente sia
l'infrastruttura della società, sia la sua governance
nell'arco di un solo decennio. Infatti, nel decennio del New Deal,
nonostante le sue debolezze e contraddizioni, oltre 10 milioni di
persone furono assunte direttamente dal governo quasi tutte le
campagne americane ebbero l'elettricità per la prima volta, furono
costruite centinaia di migliaia di nuovi palazzi e strutture, furono
piantati 2,3 miliardi di alberi, aperti 800 nuovi parchi statali e
create centinaia di migliaia di opere d'arte pubbliche.
Klein
fa anche riferimento alla più giovane deputata americana del
Congresso, Alexandria Ocasio Cortes, e della sua risoluzione per il
Green New Deal in cui si dilunga a spiegare come prevede di evitare
il ripetersi di certi errori poiché non è solo un'occasione per
correggere il primo New Deal, ma anche quella di trasformare
l'economia.
Come
ha sostenuto una climatologa della Columbia University e della Nasa,
gli esseri umani non sono condannati, a meno che non scelgano di
esserlo.
Quel
che conta è iniziare subito il lavoro. Perché, come dice Greta
Thumberg, non possiamo risolvere un’emergenza senza trattarla da
emergenza.
In
sintesi, abbiamo bisogno di qualcosa che non è mai stato provato e
per farcela dovremmo ritrovare il senso del possibile e lo spirito
ottimista… Un monito risalente agli anni 30 e 40 del secolo scorso
e che sarebbe saggio ricordare, è che quando si crea un vuoto
politico ideologico, come quello che c’è anche oggi, (si riferisce
all’era trumpiana) non sono solo le idee umanitarie e piene di
speranza del Green New Deal quelle che affiorano in
superficie. Emergono anche quelle intrise di violenza e odio.
Come
si sa la crisi climatica è stata creata in netta prevalenza dagli
strati più ricchi della società: quasi il 50% delle emissioni
globali è prodotto dal 10% più ricco della popolazione mondiale e
il 20% più ricco è responsabile del 70%. però gli effetti di
queste emissioni colpiscono prima e con maggior forza ai più poveri
costringendo un numero crescente a spostarsi..., quando la terra è
banalmente troppo arida per le coltivazioni, e quando i mari salgono
troppo alla svelta per fermarli, allora la giustizia richiede che
ammettiamo senza infingimenti che qualsiasi persona ha il diritto
umano di spostarsi e chiedere protezione. Significa che dobbiamo dar
loro asilo e status di rifugiato all'arrivo.
In
breve, la devastazione climatica impone di addentrarsi nel terreno
più odiato dalla mentalità conservatrice: la redistribuzione della
ricchezza, la condivisione delle risorse e i risarcimenti.
Un
crescente numero di persone negazioniste lo comprende fin troppo
bene, motivo per cui elaborano svariate teorie per spiegare che non
può avvenire e non deve avvenire quello che gente come Naomi Klein,
le sue “sorelle” e i suoi “fratelli” nella lotta contro le
ingiustizie e contro la crisi climatica sostengono.
Secondo
la giornalista, i leader climatici del prossimo decennio dovranno
avere il coraggio di ritirare letteralmente tutte le licenze sociali,
politiche, e legali per bloccare subito l'espansione del settore dei
combustibili fossili gestendo un calo della produzione nei prossimi
decenni in modo equo e giusto nei confronti dei lavoratori e delle
comunità che sono in prima linea. Potrebbe anche essere necessario
acquisire alcune di queste compagnie per garantire che i profitti
superstiti vadano nel ripristino delle terre, delle acque e nelle
pensioni dei lavoratori invece che nelle tasche degli investitori.
Questo modus operandi esige un distacco deciso dal
fondamentalismo liberista che ha caratterizzato tanta parte degli
ultimi 50 anni della storia economica. Per fortuna il messaggio che
ci arriva dagli scioperi scolastici e che tantissimi giovani sono
pronti per questa forma di cambiamento profondo. “Sanno
fin troppo bene che la sesta estinzione di massa non è l'unica crisi
che hanno ereditato. Stanno anche crescendo fra le macerie del
fondamentalismo liberista dove i sogni di un infinito aumento del
livello di vita hanno ceduto il posto all' austerità rampante e all'
insicurezza economica e che le tecno utopie che immaginavano un
futuro inebriante fatto di connessione di comunità senza limiti si
sono tramutate nella dipendenza dagli algoritmi dell'invidia, della
sorveglianza aziendale illimitata, della misoginia e del suprematismo
bianco online in grande ascesa”. Sostiene N. Klein.
“Dobbiamo
smettere di competere l'uno contro l'altro. Dobbiamo iniziare a
collaborare a condividere le risorse rimanenti e di questo pianeta in
modo equo”. Ha
detto Greta Thumberg.
Costruiamo
un New Green Deal globale, e questa volta per tutti quanti.
Il
saggio di Klein continua descrivendo i vari disastri che alcune
multinazionali hanno provocato ultimamente come la Bp per la
fuoriuscita di 4 milioni di barili di petrolio nel Golfo del Messico
nel 2010 (!!!!) che non si prova nemmeno a ripristinare se non a
parole… poiché è difficile tappare in tempi brevi un buco nel
mare profondo… e le multe o le sanzioni non bastano… quanto
ci vorrà affinché il sistema torni integro?
Una
corsa contro il tempo quando proprio il tempo è il fattore che ci
manca.
L'unico
lato positivo in questa immane tragedia ambientale e che da ora in
poi si deve sottoscrivere il principio di precauzione che
stabilisce che quando un'attività minaccia di danneggiare l'ambiente
o la salute umana si proceda con cautela come se fosse sempre
possibile il fallimento addirittura probabile. Molte multinazionali
si comportano come se sapessero tutto, anche le conseguenze, invece,
non lo sanno e fatto da non sottovalutare, non sarebbero capaci di
risanare cosa distruggono...
Infatti,
nel 2015, a 5 anni dal disastro della Bp, risultò che i ¾ delle
femmine di tursiope (cetaceo della famiglia dei delfini) incinte non
erano in grado di dare alla luce figli viventi negli anni successivi
al disastro, che erano morti 5000 mammiferi molti dei quali delfini e
che si persero tra i due e i 5 miliardi di giovani pesci insieme e 8
miliardi di ostriche con un danno per il settore della pesca di circa
247 milioni di dollari di introiti annuali … e non solo…
Fino
al 1600, la Terra era considerata un essere vivente che di solito
assumeva le sembianze di una madre e lo si ritrova in un testo del
1980 della storica dell'ambiente Carolyn Merchant dal titolo “La
morte della natura”. Per questo motivo vigevano potenti
tabù contro le azioni che rischiavano deformare e dissacrare la
madre, attività mineraria comprese. Successivamente la
natura appariva ancora in veste di donna, però facile da soggiogare
e comandare. Sir Francis Bacon riassunse al meglio questo nuovo
spirito quando scrisse nel suo “De dignitate et augmentis
scientiarum“del 1623 che la natura “va costretta plasmata
e rifatta come nuova dall'arte e dalla mano dell'uomo.”
Klein
denuncia anche che è proprio il capitalismo il peggiore nemico degli
ecoattivisti, fino ad arrivare a sostenere che le misure per
combattere il riscaldamento globale sono in realtà un attacco al
capitalismo borghese americano e che il cambiamento climatico è un
complotto per sottrarre la libertà gli americani!!! SIGH.
Klein
sostiene il fatto che l'atmosfera terrestre non possa assorbire senza
rischi la quantità di CO2 che ci stiamo pompando dentro, è un
sintomo di una crisi assai più tosta nata dalla bugia cruciale su
cui si basa il nostro modello economico cioè che la natura sia
illimitata e che saremo sempre capaci di trovare un altro po' di quel
che ci serve e che se qualcosa si esaurisce potrà essere rimpiazzato
da un'altra risorsa che potremo estrarre all'infinito. In realtà,
non abbiamo sfruttato solo l'atmosfera oltre le sue capacità di
recupero, stiamo facendo altrettanto con gli oceani, con l'acqua
corrente con il suolo e con la biodiversità.
L’abbondanza
di ricerche che dimostrano che abbiamo spinto la natura oltre i suoi
limiti non esige soltanto prodotti verdi e soluzioni di mercato,
esige un nuovo paradigma di civiltà, basato non sul dominio della
natura, ma sul rispetto dei cicli naturali di recupero ed
estremamente sensibile ai limiti naturali, compresi quelli
dell‘intelligenza umana. Il cambiamento climatico non è il
problema, il cambiamento climatico è un MESSAGGIO e ci sta dicendo
che tante idee idolatrate della cultura occidentali non sono più
sostenibili e questo vale per la sinistra statalista quanto per la
destra neoliberista.
Secondo
Klein, il settore privato è poco adatto a agire in senso profondo
sul miglioramento per clima perché esige grandi investimenti
iniziali, ma si dovrebbe invece invertire il trend trentennale verso
le privatizzazioni perché una risposta seria alla minaccia climatica
impone di recuperare un’arte che è stata sbeffeggiata a destra e a
manca in questi decenni di fondamentalismo mercatista: la
pianificazione. Servirà tanta, tantissima
pianificazione industriale, anche per la destinazione dei terreni
nonché forme di pianificazione verso i lavoratori il cui compito
diverrà obsoleto in parallelo alla nostra limitazione dei
combustibili fossili. Saranno necessari programmi di avviamento ai
lavori verdi seri sia nel privato che nel pubblico, sia
a livello nazionale che internazionale e così via…come un punto
cruciale della pianificazione che dovremmo avviare prevede la rapida
inversione della deregulation del settore imprenditoriale
mettendo al bando i comportamenti distruttivi e chiaramente
pericolosi e insieme dare degli incentivi tipo sussidi alle
rinnovabili e alla tutela responsabile della terra.
Questo
significherà anche intralciare le multinazionali su più fronti, ma
sarà necessario, oltre a rilocalizzare la produzione. Ad esempio,
l’aumento delle emissioni causate dalle merci prodotte nei paesi in
via di sviluppo, ma consumati nei paesi industriali era sei volte i
risparmi nelle emissioni di questi ultimi!!! In un’economia
organizzata in modo da rispettare i limiti naturali, l'utilizzo dei
trasporti di lunga gittata ad alto consumo energetico dovrebbe essere
razionato e riservato ai casi in cui le merci non possono realmente
essere prodotte in loco, o in cui la produzione a livello locale
emette di più CO2.
Il
cambiamento climatico, sostiene Klein, non esige la fine dei
traffici, ma esige la fine della forma sfrenata di libero commercio.
Gli ultimi tre decenni contraddistinti dal liberismo, deregulation e
privatizzazioni non sono stati solo causati da alcune persone che
volevano aumentare i profitti della propria azienda, ma sono stati
anche la reazione alla stagflation degli anni 70 che ha
aumentato la pressione a trovare nuove strade per una rapida crescita
economica. La minaccia era reale all'interno del nostro attuale
modello economico: un calo della produzione è per definizione una
crisi, una recessione o una depressione. L'imperativo alla crescita è
il motivo per cui gli economisti convenzionali affrontano
immancabilmente il tema del cambiamento climatico chiedendo come sia
possibile ridurre le emissioni senza compromettere una robusta
crescita del PIL.
Oltre
alle varie teorie della cosiddetta decrescita felice ci sono
anche i paladini della crescita verde come Thomas Friedman (da
non confondere con Milton) che confermano che lo sviluppo delle nuove
tecnologie verdi e l'installazione di infrastrutture ecologiche
possono garantire un enorme boom economico facendo decollare il PIL e
generando la ricchezza necessaria per rendere, ad esempio, l'America
più sana più ricca più innovativa più produttiva e più sicura.
Il
risultato finale che è una crisi ecologica nata dal sovraconsumo
delle risorse naturali andrebbe risolta non solo migliorando
l'efficienza delle nostre economie, ma riducendo la quantità di cose
che consuma il 20% più ricco degli abitanti del pianeta. Eppure,
questa idea è anatema per le grandi aziende che dominano l'economia
globale controllate da investitori spregiudicati che esigono sempre
maggiori profitti anno dopo anno. Siamo quindi prigionieri
dell'insopportabile dilemma del “molla il sistema oppure
distruggi il pianeta”.
La
via d'uscita è optare per una transizione gestita verso un altro
paradigma economico usando tutti gli strumenti della pianificazione
discussi poco fa: la crescita dei consumi sarebbe riservata alle
parti del pianeta che stanno ancora uscendo dalla povertà e nel
frattempo, nel mondo industrializzato, i settori non governati dalla
pulsione ad accrescere i profitti annuali come il settore
pubblico e il no-profit aumenterebbero le loro quote di attività
economica complessiva come pure i settori con un minimo impatto
ecologico. Ci sarebbero enormi vantaggi per il benessere… come le
professioni per la cura della persona, l'insegnamento e l'attività
del tempo libero e così via…. e potremmo formare così tanti posti
di lavoro.
Ci
si può domandare come si faccia a sostenere finanziariamente tutta
la progettazione che viene auspicata, mentre N. Klein ci mette in
guardia sulla menzogna liberista che sostiene che se la torta cresce,
ce ne sarà per tutti, visto che invece le diseguaglianze stanno
aumentando… La risposta è semplice: sarebbe giusto tassare gli
inquinatori, le multinazionali, i ricchi, nonché gli speculatori
finanziari.
Reagire
al cambiamento climatico ci impone di infrangere tutte le regole del
manuale liberista e anche di farlo con grande urgenza, sostiene
Klein.
Dovremo
ricostruire la sfera pubblica, invertire il trend delle
privatizzazioni, ricollocare grandi parti dell'economia, ridurre
l'iperconsumo, riesumare la pianificazione a lungo termine, regolare
e tassare con forza le grandi imprese, forse alcune nazionalizzarle,
tagliare la spesa militare e ammettere i nostri debiti con il Sud
globale. Queste idee saranno da considerarsi utopiche fin tanto che
non saranno accompagnate da un massiccio sforzo allargato teso a
ridurre radicalmente l'influenza delle grandi imprese sulla vita
politica.
Uno
dei grandi problemi dei negazionisti è la “cognizione culturale”
ossia il processo grazie a cui tutti noi indipendentemente dalle
simpatie politiche filtriamo le nuove informazioni in maniera
progettata per proteggere la nostra visione preferita della società
“giusta”. Detto in maniera più semplice, è sempre più facile
negare la realtà che veder cadere a pezzi la propria visione del
mondo.
Quando
le ideologie potenti sono contestate da prove concrete provenienti
dal mondo reale è raro che muoiano del tutto… piuttosto divengono
marginali tipo setta. A questo punto della storia i fondamentalisti
del libero mercato dovrebbero essere relegati a uno status marginale,
abbandonati a coccolare nelle oscurità le loro copie di “Liberi di
scegliere” di Milton Friedman (questa volta è proprio Milton) o di
altri economisti come lui, ma li salva da questo destino il fatto che
le loro idee di governo rimangono così proficue per i miliardari del
pianeta da mantenerli ben al sicuro.
I
negazionisti non stanno solo proteggendo la loro visione culturale
del mondo, stanno proteggendo potenti interessi costituiti che
guadagnano cifre enormi dall’intorbidare le acque del dibattito sul
clima. I legami fra i negazionisti e questi interessi sono ben noti e
ben documentati, sostiene Klein. Porta l’esempio che “alcuni
scienziati presenti alle conferenze sul clima della Heartland sono
quasi tutti talmente imbottiti di dollari dei combustibili fossili
che puoi letteralmente odorarne i vapori” Poiché, come ha
affermato Patrick Michaels del Cato Institute, il 40%
degli introiti della ditta di consulenze viene dalle compagnie
petrolifere e una parte arriva dal carbone…un indagine di
Greenpeace su un altro oratore fisso delle conferenze, l'astrofisico
Willie Soon, ha scoperto che dal 2002 il 100% delle sue nuove
sovvenzioni è arrivato da interessi costituiti legati ai
combustibili fossili!!!
Una
delle scoperte più interessanti degli studi sulla percezione del
clima è il rapporto evidente del rifiuto di accettare la scienza del
cambiamento climatico e i privilegi economici e sociali. I
negazionisti sono in percentuale preponderante, non solo
conservatori, ma anche bianchi e di sesso maschile e di reddito
superiore alla media. E è più probabile che rispetto agli altri
adulti siano molto più sicuri delle proprie opinioni per quanto
siano state dimostrate errate…
Apriremo
i nostri confini ammettendo che siamo stati noi a creare la crisi da
cui stanno scappando i profughi climatici? Oppure costruiremo
fortezze sempre più tecnologiche e adotteremo leggi sempre più
draconiane contro l'immigrazione? Come tratterremo la scarsità delle
risorse?
Conosciamo
già la risposta. La ricerca di risorse scarse da parte delle grandi
imprese diverrà più rapace, più violenta. Le terre arabili In
Africa continueranno a essere accaparrate per fornire cibo e
combustibile alle nazioni più ricche. Siccità e carestia
continueranno a essere usate come pretesto per imporre i semi
geneticamente modificati, indebitando sempre più i contadini e tanto
altro… Le soluzioni climatiche liberiste come vengono chiamate,
saranno una calamita per le speculazioni, per le truffe e per il
capitalismo clientelare.
Mentre
il pianeta si riscalda, l’ideologia al potere che ci dice “ognuno
per sé” o “le vittime si meritano il loro destino” o “possiamo
dominare la natura” ci porterà in un posto molto freddo, scrive
Klein: verso un rinvigorimento della superiorità razziale celata
sotto la superficie di certe parti del movimento negazionista.
All'interno
del movimento climatico ci sono esponenti, come Tim DeChristopher,
che sostengano di dover ribaltare l'economia da cima a fondo, non
vogliono piccoli cambiamenti, desiderano il rovesciamento totale
dell'economia e della società. Quando fu articolata questa visione,
poteva sembrare un miraggio, mentre oggi sostiene N. Klein, suona
profetico poiché si scopre che tantissime persone hanno un gran
bisogno di questo tipo di trasformazione su tanti fronti dal pratico,
allo spirituale.
I
collegamenti vanno oltre la critica condivisa del potere delle grandi
imprese. Ci devono essere alternative economiche quali si sono
radicate nell’ultimo decennio come i progetti di energia
rinnovabile gestiti dalla comunità, i mercati contadini,
l’agricoltura comunitaria, le iniziative di rilocalizzazione
economica che hanno fatto rivivere le strade dei negozi e nel settore
cooperativo. Questi modelli non si limitano a creare posti di lavoro,
né a far rivivere le comunità mentre riducono le emissioni, ma lo
fanno in una maniera che disperde sistematicamente il potere. In
parole povere, stanno cominciando a cambiare i valori culturali: i
giovani organizzatori odierni si accingono a cambiare la politica, ma
prima che questo possa succedere, è importante sfidare i valori che
soggiacciono all'individualismo e alla vita rampante che hanno creato
la crisi economica.
Tutto
sommato, sostiene Naomi Klein, la cultura è fluida. Può cambiare.
E’ successo tante volte nella nostra storia. Il nostro dovere è
credere che una visione del mondo molto diversa può essere la nostra
salvezza.
A
proposito di una visione del mondo molto diversa c'è anche quella
della geoingegneria. Bill Gates qualche anno fa ha stanziato
milioni di dollari nelle ricerche geoingegneristiche dell’azienda
Intellectual Ventures per progetti su come pompare anidride solforosa
nell’atmosfera per bloccare i raggi solari in cielo e su uno
strumento che bloccherebbe in teoria la potenza degli uragani. La
giornalista contrappone una critica di tali folli tali iniziative in
quanto sostiene: “Non sarebbe meglio cambiare il nostro
comportamento, ridurre il nostro utilizzo dei combustibili fossili
prima di iniziare a giocherellare con i nostri sistemi basilari di
sostegno alla vita del pianeta?” Le ramificazioni della
geoingegneria sono molteplici e non abbiamo qui la competenza per
stabilire cosa possa essere fattibile, visto che neanche gli
ingegneri del settore ce l’hanno, se non per ipotesi.
Il
surriscaldamento terrestre fa in modo che gli animali siano sfasati
temporalmente rispetto a una fondamentale fonte di cibo, in
particolare nella stagione delle nascite, quando non riuscire a
trovare abbastanza cibo può determinare un rapido calo della
popolazione. Diversamente dagli animali, sostiene la giornalista, noi
umani siamo benedetti dalla capacità di ragionamento avanzato e
quindi sappiamo adattarci più consciamente e cambiare i nostri
schemi comportamentali con molta più velocità. Se le idee che
regolano la nostra cultura ci impediscono di salvarci, allora è in
nostro potere cambiare queste idee.
Il
cambiamento climatico esige che consumiamo di meno, perché non siamo
nati costretti ad acquistare tanto e nel recente passato
l'essere umano è stato felice consumando parecchio di meno. Il
problema è il ruolo esagerato che il consumo è arrivato a recitare
nella nostra specifica epoca. Il tardo capitalismo ci addestra a
creare noi stessi tramite le nostre scelte di consumo: lo shopping e
il modo in cui formiamo la nostra identità, troviamo una comunità e
ci esprimiamo.
Dire
alla gente che non può acquistare quanto vuole perché i sistemi di
supporto dal pianeta sono sovraccarichi, potrebbe essere vista come
una sorta di aggressione. Probabilmente per questo che delle tre R
originali, riduzione, riuso, riciclo, solo la terza è stata
un fattore trainante dato che permette di continuare a fare compere
fin quanto sbattiamo i rifiuti nel cassonetto giusto.
Un
fatto determinante della nostra lentezza a prendere certe decisioni
amiche del clima, è che i fattori inquinanti del clima sono
invisibili e noi abbiamo smesso di credere a ciò che non possiamo
vedere. Una gran parte della nostra economia si basa sull’assunto
che ci sia sempre un “altrove” nel quale possiamo gettare i
nostri rifiuti, ma “il nostro è un mondo in cui non c'è un
altrove”.
L'aria
è invisibile per antonomasia e il gas serra che la riscaldano sono i
nostri fantasmi più inafferrabili e quindi, “lontano dagli occhi
lontano dal cuore”.
Un
altro fattore che rende il cambiamento climatico tanto arduo da
afferrare per molti di noi, è che viviamo in una cultura dell’eterno
presente, che si stacca volutamente tanto dal passato che ci ha
creati quanto dal futuro che influenziamo con le nostre azioni.
Purtroppo,
la risposta alla domanda “che cosa posso fare come individuo per
fermare il cambiamento globale?” è: nulla. Non puoi fare nulla.
L'idea che in quanto individui separati anche se numerosi possiamo
giocare una parte significativa per migliorare il sistema climatico
planetario o anche l'economia globale e oggettivamente è stupida,
dice Naomi Klein. Possiamo affrontare questa sfida tremenda soltanto
stando insieme, ma il paradosso sta nel fatto che quelli che hanno
relativamente poco potere tendono a capirlo meglio di chi ha un
potere di gran lunga maggiore. Lo sostiene non tanto per sminuire
l'attivismo locale, perché il “local” è essenziale, ma per
ribadire che non basta.
La
giornalista rievoca poi una sua presenza a Roma nel 2015 in seguito
alla enciclica di Papa Francesco sul cambiamento climatico dal titolo
Laudato sì in cui viene presentata da padre Federico Lombardi
come una femminista laica ebrea.
La
parte dell’enciclica in cui Papa Francesco giunge alla conclusione
che “la Bibbia non dà adito a un antropocentrismo dispotico che
non si interessi alle altre creature” ha fatto sicuramente sbuffare
i teologi ortodossi, dice Klein, poiché non c'è nulla di più
centrato sull’uomo della persistente interpretazione
giudeo-cristiana di un Dio creatore del mondo intero specificamente
per assolvere qualsiasi necessità di Adamo.
Quanto
all'idea che facciamo parte di una famiglia assieme agli altri esseri
viventi e che la Terra è nostra madre che dà la vita è sin troppo
familiare alle eco orecchie, ma detto dalla Chiesa!
Sostituire
Dio padre con la terra materna significa svuotare il mondo naturale
dei suoi poteri sacri che era appunto il vero obiettivo della
soppressione del paganesimo, animismo e panteismo. Asserendo che la
vita ha un valore in sé per sé, Francesco sta ribaltando secoli di
interpretazione teologica e dedica un intero capitolo dell’enciclica
alle necessità di una conversione ecologica tra i cristiani.
Naomi
Klein termina l'articolo sostenendo che se una delle più vecchie e
tradizionali istituzioni al mondo può mutare i propri insegnamenti e
le proprie pratiche in maniera tanto radicale e rapida come sta
tentando di fare Francesco, allora possono cambiare di sicuro anche
tante istituzioni più recenti e più elastiche.
In
un altro articolo del 2016 a Toronto parla del mito
dell’inesauribilità: “abbiamo sentito usare un’infinità di
volte gli aggettivi inesauribile e infinito per descrivere le foreste
orientali di grandi conifere, i giganteschi cedri del nord ovest del
Pacifico, ogni sorta di pesci … c'era tanta roba… c'era
soprattutto la fantastica libertà di essere improvvidi.
Tomas
Huxley,
il biologo inglese noto come il mastino di Darwin, disse
all'esposizione internazionale della pesca del 1883 che la pesca del
merluzzo era inesauribile, nel senso che nulla di quanto avrebbero
potuto fare avrebbe influenzato seriamente il numero di pesci e che
qualsiasi tentativo di regolare questo tipo di pesca sembrava di
conseguenza inutile. Visto che nel 1800 l'alca
impenne
(un uccello della famiglia degli Alcidi incapace di volare, il
cui ultimo esemplare venne ucciso dai pescatori nel 1844) era ormai
del tutto estinta, visto che il numero dei castori iniziò a crollare
nel Canada orientale poco dopo, visto che il teoricamente
inesauribile merluzzo di Terranova fu dichiarato commercialmente
estinto nel 1992, visto che le foreste erano praticamente sparite
nell’Ontario del Sud insieme al 91% dei boschi più grossi e
migliori nell'isola di Vancouver, questo mito della inesauribilità è
sicuramente da sfatare.
Quando
i governi parlano di verità e riconciliazione (si riferisce ai furti
e al genocidio sugli aborigeni) e poi premono per far passare
progetti infrastrutturali indesiderati, dobbiamo ricordare che non
può esserci alcuna verità finché non ammettiamo il “perché”
dietro secoli di abuso e furto della terra. E non può esserci alcuna
riconciliazione quando il crimine è ancora in corso. Soltanto quando
avremo il coraggio di dire la verità sulle nostre vecchie favole
arriveranno nuove storie a guidarci. Storie che riconoscono che il
mondo naturale e tutti i suoi abitanti hanno dei limiti. Storie che
ci insegnino come curarci l'un l'altro e rigenerare la vita entro
quei limiti. Storie che facciano cessare una volta per tutte il mito
della inesauribilità.
Nel
2016 Klein ha vinto il premio Sidney per la pace come Arundhati Roy,
Noam Chomsky, Vandana Shiva, Desmond Tutu. Nel suo discorso
all’accettazione del premio, oltre a rendere partecipe il mondo del
proprio sconforto per la vincita del negazionista climatico Trump,
condanna proprio il governo australiano per l’intenzionalità
espressa di voler continuare a estrarre e utilizzare il carbone e per
la poca sensibilità ecologica in senso lato e auspica l’avvento
della “giustizia climatica” attraverso una vera e propria
guerra con guerrieri che insorgono per il diritto all'acqua pulita,
alle buone scuole, per i lavori ben pagati, per la sanità
universale.
Klein
prosegue raccontando le sue due settimane di vacanza nell’estate
del 2017 sulla Sunshine Coast della Columbia Britannica, un tratto
frastagliato di costa caratterizzato da cupe foreste di sempre verdi
che terminano contro scogliere e spiagge cosparse di legname. Il sito
meteo del governo canadese prevedeva che il clima sarebbe stato
fantastico, una lunga sequenza di giornate soleggiate cieli sereni e
temperature superiori alla media. Quanto arrivò ai primi di agosto
insieme alla sua famiglia, trovò una cappa biancastra che aveva
inghiottito la costa, le temperature erano tanto basse da imporre il
maglione. Il sole era oscurato per l'enorme quantità di fumo
soffiato fin da oltre 600 km nell’entroterra dove erano in corso
circa 130 incontrollati incendi forestali. Il fumo creò un proprio
sistema meteo quell'anno, abbastanza potente da modificare il clima
in una distesa di terre che corrispondeva all'incirca 100.000 miglia
quadrate.
Questi
incendi in tutta la parte ovest anche degli Stati Uniti ha fatto sì
che ci sia un enorme superficie di territorio carbonizzato, decine di
migliaia di vite sconvolte dalle ordinanze di abbandonare l'area, le
case, le fattorie, le bestie perdute, le industrie da quella
turistica alle segherie costrette a chiudere.
In
luglio e in agosto il fumo proveniente da questa conflagrazione ha
coperto un'area di 1.800.000 km² più grande di Francia, Germania,
Italia, Spagna e Portogallo messi insieme ed è solo un'istantanea di
un assai più lunga stagione dei fuochi. Alla fine dell'estate erano
in fiamme grandi parti dell'ovest americano, un incendio a Los
Angeles, per esempio, è stato il più grande mai registrato entro la
cinta urbana. Un'emergenza incendio è stata dichiarata in ogni
singola contea dello Stato di Washington. Nel Montana, un incendio
forestale ha arso un migliaio di chilometri quadrati, il terzo rogo
più grande nella storia della regione dai tempi della
colonizzazione. Dagli anni 70 del secolo scorso la stagione dei
fuochi negli Stati Uniti si è allungata di 105 giorni stando a
un'analisi di Climate Central. Persino la gelida Groenlandia ha visto
in estate grandi incendi insoliti. Jason Box, un climatologo
di fama mondiale specializzato nei ghiacci groenlandesi, ha segnalato
che le temperature in Groenlandia sono probabilmente le più alte
degli ultimi 8 secoli.
Se
il fuoco recita una parte cruciale nel ciclo forestale, poiché se
lasciate a se stesse le foreste vanno periodicamente a fuoco, facendo
così spazio alla crescita di nuove piante, senza i regolari fuochi
naturali ora le foreste sono zeppe di combustibile e questo causa
incendi fuori controllo. Infatti, c'è un sacco di materiale
combustibile in più a causa dell’infestazione di curculionidi che
si lasciano alle spalle enormi tratti pieni di alberi morti secchi e
fragili. Ci sono prove schiaccianti del fatto che l'epidemia di
questi coleotteri della corteccia è stata esacerbata dal calore e
dalla siccità legati al cambiamento climatico.
Uno
dei pericoli maggiori degli incendi è il carbonio liberato dalle
foreste che ardono. Tre settimane dopo la calata del fumo sulla costa
dove era in vacanza Naomi Klein, il totale annuale delle emissioni di
gas serra per la provincia della Columbia Britannica era triplicato a
causa degli incendi e stava ancora salendo. Questo aumento clamoroso
delle emissioni fa parte di ciò che intendono i climatologi quando
ci avvertono dei cicli di feedback: bruciare carbonio porta a
temperature più alte e a lunghi periodi privi di piogge, che portano
a più incendi che liberano più carbonio nell'atmosfera, che portano
a condizioni più secche e calde e ad altri incendi. Un altro
feedback letale del genere è implicato negli incendi in Groenlandia.
Producono, infatti una fuliggine nera, nota anche come carbonio nero,
che si deposita sulle calotte di ghiaccio, ingrigendole o
annerendole. Il ghiaccio inscurito assorbe più calore di quello
bianco che invece lo riflette, e così si scioglie più rapidamente,
perciò il livello dei mari sale e con esso la liberazione di enormi
quantità di metano, causando altro riscaldamento e altri incendi,
che creano a loro volta più ghiaccio iscurito e più ghiaccio
sciolto.
Intanto,
il primo ministro canadese Justin Trudeau, approvò quell’anno un
progetto da 7,4 miliardi di dollari che avrebbe triplicato la portata
dell’oleodotto Kinder Morgan trans mountain che trasporta il
greggio ad alto tasso carbonico dall’Alberta attraverso la Columbia
britannica. Mentre il mondo bruciava era assurdo e incosciente
pensare all'allargamento dell’oleodotto e ci fu la forte
opposizione di tanti proprietari atavici delle terre, gli indigeni
secwepemc.
“La
salute delle nostre comunità e famiglie riposa pesantemente sulla
nostra capacità di pescare il salmone selvaggio e sull’accesso
all'acqua potabile, entrambe attività a rischio se l'oleodotto
Kinder Morgan dovesse rompersi o fosse toccato dagli incendi”
dichiarò
l'insegnante secwepemc
Dawn
Morrison.
Ribatté
il primo ministro canadese Trudeau che nessun paese dopo aver trovato
173 miliardi di barili di petrolio sotto terra deciderebbe di
lasciarli… e nello stesso tempo, denuncia Klein, c'era Donald Trump
il cui crimini climatici erano troppe estesi e stratificati per
poterli riassumere anche se valeva la pena ricordare che proprio in
quell’estate del 2017 di inondazioni e di incendi, scelse di
sciogliere il gruppo di consulenti federali che valutava gli effetti
del cambiamento climatico negli Stati Uniti per dare anche lui via
libera alle trivellazioni artiche nel mare di Beaufort!!!!
Che
dire? I potenti sono troppo potenti e troppo miopi. Nel 2019 ho
attraversato il famoso parco di Yosemite i California tornando dalla
Death Valley direzione San Francisco e per quasi un’ora ho
viaggiato in un paesaggio lunare dopo l’incendio che lo aveva
devastato l’anno prima.
Basterebbe
vedere una cosa del genere per cambiare idea e proteggere il clima.
“Non è mica uno scherzo perdere il cielo” dice Naomi
Klein.
“La
nostra casa collettiva è in fiamme, e tutti gli allarmi sono
scattati in simultanea, suonano assordanti per reclamare
disperatamente la nostra attenzione.”
In
uno degli ultimi capitoli di questo libro la giornalista canadese
riprende il Green New Deal presentato da Ocasio-Cortez e Markey
sostenendo che i significativi punti deboli dovranno essere
rafforzati e allargati proprio come successe negli anni del New Deal
originario.
La
loro proposta è un inquadramento ancora vago e lascia fuori un sacco
di cose e perché sia credibile deve comprendere un progetto concreto
per garantire gli stipendi di tutti i posti di lavoro verdi che crea
non siano immediatamente riversati in un stile di vita iperconsumista
che finisce involontariamente per aumentare le emissioni creando una
situazione in cui tutti hanno un buon lavoro un bel reddito e i soldi
vengono spesi nei prodotti di bassa qualità usa e getta
importati dalla Cina e destinati presto alle discariche.
“E’
il problema di quello che potremmo chiamare l'emergente keynesismo
climatico: il boom economico del dopoguerra rianimò le economie che
boccheggiavano, ma portò anche agli immensi insediamenti suburbani e
a un’andata consumista che alla fine sarebbe stata esportata in
ogni angolo del pianeta. I legislatori stanno ancora girando attorno
al dilemma se stiamo parlando di sbattere i pannelli solari sul tetto
di un supermercato definendola una scelta ecologica, oppure siamo
pronti a trattenere qualcosa di più di una discussione preliminare
sui limiti dello stile di vita che vede nello shopping il modo
principale per ottenere identità comunità e cultura. Questo
discorso è collegato ai tipi di investimento che anteponiamo nei
nostri Green New Deal. Abbiamo bisogno di transizioni che prevedano
severi limiti all'estrazione e in contemporanea creino nuove
opportunità di significato nella vita della gente affinché trovi il
piacere fuori dall’infinito ciclo consumista, che sia attraverso
l'arte e divertimenti urbani sussidiati dal governo o grazie a un
universale accesso alla natura. Inoltre, dato essenziale, è
significativo verificare che l'orario di lavoro della gente le
permetta di avere il tempo per questo genere di piaceri che non
finisca prigioniera di un ciclo di super lavoro che richiede il
rapido sollievo di fast-food e distrazioni ottundenti”
Questo
tipo di cambiamento esistenziale di attività nel tempo libero può
accrescere tangibilmente la felicità e l’appagamento, ma il
pianeta non può reggere il sogno impossibile di lussi privati per
tutti.
L'economista
Kate Raworth definisce nel suo libro “L'economia
della ciambella”[11]
il rispondere ai bisogni di tutti entro i mezzi del pianeta
attraverso economie che ci facciano prosperare anche se non crescono,
focalizzandosi sul diritto a una buona vita in quanto opposta a una
vita del consumo infinito e dell'obsolescenza programmata.
Ci
saranno i cambiamenti, ci saranno aree in cui su cui dovremmo attuare
riduzioni tra cui gli spostamenti in aereo, il consumo di carne e
l'utilizzo eccessivo di energia, ma ci saranno anche nuovi piaceri e
nuovi spazi in cui potremo creare l'abbondanza.
“Dopo
aver sguazzato nella mia parte e forse anche di più della mia parte
di rovine all’indomani di uragani e super tempeste da Katrina,
Sandy a Maria e respirato troppa aria satura di particolati da troppe
foreste in fiamme per combustione spontanea, sono abbastanza sicura
quando dico che un futuro con un clima scombussolato è un futuro
tetro e austero, che sarà in grado di ridurre in macerie cenere ogni
nostro possesso materiale. possiamo fingere che sia un'operazione
plausibile prolungare nel futuro lo status quo. Però è
un’illusione.”
Naomi
Klein ha prodotto insieme ad Alexandria Ocasio-Cortes un video
di 7 minuti dal titolo “Messaggio dal futuro” in cui
quest’ultima narra il futuro ambientato un paio di decenni in
avanti se viene attuato il Green New Deal che in solo 48 ore fu visto
da 6 milioni di persone e che fu poi presentato all’interno di una
tournée nazionale per presentare il Green New Deal organizzata dal
Sunrise Movement. Molti insegnanti lo fecero vedere agli studenti.
Soltanto se sappiamo da dove veniamo e dove vogliamo andare, avremo
un terreno solido su cui posare i piedi. “Soltanto allora
crederemo, come dice Ocasio-Cortez nel film, che il nostro futuro non
è ancora stato scritto e possiamo essere tutto quello che abbiamo il
coraggio di vedere.”
In
sintesi, il Green New Deal creerà una grande quantità di posti di
lavoro, finanziandolo creeremo un’economia più giusta che sfrutta
il potere dell’emergenza, è a prova di rinvii, è a prova di
recessione, è anti-reazione, può mobilitare un esercito di persone
favorevoli, costruirà nuove alleanze e fregherà la destra.
L'ostacolo
di gran lunga più grosso che ci si para di fronte è la
disperazione. La sensazione che sia troppo tardi ,che abbiamo
lasciato correre troppo a lungo, e che non concluderemo mai il lavoro
con una scadenza così ravvicinata. E sarebbe tutto vero se il
processo di trasformazione dovesse partire da zero, ma in realtà ci
sono decine di migliaia di persone, organizzazioni che preparano da
decenni un progresso in stile Green New Deal. Secondo la giornalista,
l'ideologia liberista thatcheriana sta svanendo e al suo posto
affiora una nuova idea di umanità. Viene dalle strade, dalle scuole,
dai posti di lavoro e persino da alcuni governi.
È
una concezione che asserisce che tutti noi insieme formiamo il
tessuto della società e che quando scommettiamo sul futuro della
nostra esistenza, non c'è nulla che non possiamo raggiungere.
È
uscito a febbraio 2021 il libro “Clima come evitare un disastro”
di Bill Gates. Prima di chiudere questo mio lavoro, ho pensato
che fosse bene sentire quello che ha da dire uno degli uomini più
ricchi, sicuramente, e più intelligenti, forse, del mondo. È un
saggio di 368 pagine scritto da un tecnocrate che cerca di spiegare
in modo semplice le varie fonti di energia a bassa emissione di Co2
rapporto costi-benefici e che pensa che chi legge è meno
intelligente di lui. Quest’ultima affermazione è probabilmente
vera nel 99% dei casi, ma sentirsi considerati/e quasi dei minus
habens dà un po’ fastidio. Dico questo perché per ogni
argomento parte da Adamo ed Eva e a questo punto della faccenda,
quando non abbiamo più tempo, come dice Greta, il suo libro poteva
essere più corto di almeno 100 pagine e avremmo risparmiato qualche
albero in più, tanto utile a contrastare le emissioni di CO2.
A
parte le polemiche, il testo si può riassumere in poche righe. Bill
Gates non consiglia di consumare meno alle popolazioni ricche del
pianeta (perché secondo lui è impensabile), mentre si auspica che
il Terzo Mondo arrivi al benessere (e quello credo che se lo augurino
in tanti/e). Quando si arriva al benessere, cioè quando si possiede
la luce elettrica, si fa una corretta alimentazione, si possiede
un’auto… si consuma di più… logicamente si
emettono molti gas serra in più. Se oggi emettiamo nell’atmosfera
cinquantuno miliardi di gas serra annui e dovremmo mirare a emissioni
zero, considerando anche le nuove emissioni dei paesi del Terzo Mondo
abbiamo bisogno di soluzioni SERIE per non aggravare ulteriormente il
cambiamento climatico.
I
gas serra sono prodotti da: Produzione di energia elettrica,
produzione industriale, produzione di animali da carne e
coltivazioni, trasporti, riscaldamento e climatizzazione.
La
ragione per cui il mondo emette così tanti gas serra è che,
fintanto che si ignorano i danni a lungo termine che provocano, le
attuali tecnologie energetiche sono di gran lunga le più economiche
disponibili, sostiene Gates, e fa riferimento costantemente ai Green
Premium. I Green Premium sono diversi a seconda a cosa si
riferiscono, i vari tipi di elettricità, i vari carburanti, il
cemento e così via… L’entità del Green Premium dipende da cosa
si sta sostituendo e da ciò con cui si sta sostituendo. Ad esempio,
il prezzo medio al dettaglio per un litro di carburante per jet negli
Stati Uniti è stato negli ultimi anni, di 0,58 $. I biocarburanti
avanzati per jet, costano in media 1,41 $ al litro. Il Green Premium
per carburante a zero emissioni è dato dalla differenza fra questi
due prezzi, ossia 0,83 $. Si tratta di oltre il 140%. In rari casi un
Green Premium può avere un valore negativo, quando il passaggio
all'energia verde è più conveniente che continuare ad affidarsi ai
combustibili fossili. Almeno per adesso. Ecco perché oltre alla
buona volontà, servono in fretta, innovazioni serie per fare la
transizione ecologica in tutto il Pianeta.
Al
contrario di Vandana Shiva, Bill Gates è favorevole alla Rivoluzione
Verde con varietà di coltivazioni e di bestiame in grado di
adattarsi ai cambiamenti climatici attraverso miglioramenti genetici.
Al
contrario di Naomi Klein, Bill Gates è favorevole e finanzia alcuni
progetti di geoingegneria. L'idea fondamentale per cui propende è di
operare cambiamenti temporanei negli oceani o nell’atmosfera al
fine di abbassare la temperatura del pianeta. Questi
cambiamenti non si propongono di sollevarci dalla responsabilità di
ridurre le emissioni, sostiene, ma ci darebbero solo un po' di tempo
in più per raccogliere le idee. Si tratterebbe per esempio, di
ridurre la quantità di luce solare che colpisce la terra e potremmo
farlo in diversi modi. Uno prevede la distribuzione di particelle
estremamente fini, nell'ordine di qualche milionesimo di centimetro
di diametro, degli strati superiori dell'atmosfera. Gli scienziati
sanno che queste particelle disperderebbero la luce del sole e
provocherebbero un raffreddamento. Un altro sistema geoingegneristico
prevede l'utilizzo di nuvole riflettenti in modo che la luce del sole
verrebbe dispersa dalla parte superiori delle nubi e in questo modo
raffreddare la Terra e potrebbe essere fatto con un getto salino
vaporizzato che permette alle nuvole di riflettere più luce. Secondo
Bill Gates, questi interventi sarebbero relativamente economici
rispetto all'entità del problema e che l’effetto sulle nuvole
durerebbe poco tempo, circa una settimana, per poi eventualmente
ripeterlo, ma anche sospenderlo, senza conseguenze a lungo termine.
FORSE,
DICO FORSE.
La
difficoltà potrebbe essere soprattutto legata a problemi politici
perché l’esperimento dovrebbe interessare l’intero pianeta e dal
momento che l'atmosfera è letteralmente una questione interesse
globale, nessuna nazione può decidere autonomamente di provare la
geoingegneria da sola e avremmo bisogno quindi di un largo consenso.
Bill
Gates è inoltre favorevole al nucleare di nuova generazione,
in cui ha anche messo ingenti capitali per la ricerca, perché è
energia pulita e sicura.
Le
ultime trenta pagine le dedica a dare dei consigli (a noi dei paesi
ricchi) del tipo comprare auto elettriche, mangiare hamburger
vegetali, ridurre le emissioni domestiche (pompa di calore al posto
della caldaia, isolare termicamente le finestre, usare le lampadine a
led).
Le
argomentazioni su cui mi ha trovato subito d’accordo è che ci
devono essere maggiori finanziamenti pubblici per la ricerca, che si
devono aumentare gli incentivi sulle scelte ecologiche e
disincentivare le emissioni di CO2 attraverso una tassazione.
Sollecita il/la cittadino/a candidarsi politicamente per incidere sul
sistema.
Se
avesse detto: noi ricchi cerchiamo di consumare di meno, sarebbe
stato ipocrita, lo comprendo, ma sarebbe stato bello leggerlo almeno
una volta.
Greta
ci dice invece, che quando la casa è in fiamme non stai a prenderti
il soprammobile, ma scappi.
CONCLUSIONI
Sono
consapevole di aver ripetuto diversi concetti, ma credo sia un bene
vedere che molti pensatori la pensano in maniera simile. Repetita
Iuvant:
Fare
BENE la raccolta differenziata;
Non
usare l’aereo;
Non
usare la plastica;
Camminare
a piedi o in bicicletta;
Usare
mezzi elettrici;
Mangiare
la carne una volta la settimana o meglio ancora, diventare
vegetariani. Piantare tanti, tanti, tanti alberi “adatti” come
Vandana Shiva comanda.
Non
diserbare chimicamente;
Non
utilizzare fertilizzanti chimici;
Non
usare antiparassitari;
Mettere
il fotovoltaico;
Fare
attenzione a diventare vittime del “datismo”;
Essere
umani e umane;
Tornare
a Terra Madre;
….
Poi
arriva una pandemia mondiale a tenerci tutti/e a casa e a meditare.
Ma
meditare è un bene, lo fa per due ore al giorno anche Yuval Noah
Harari e tanti altri uomini e tante altre donne.
FINE
PRIMA PARTE
Soverato,
15 marzo 2021
Letture
“La fine della fine della Terra” di
Jonathan Franzen ed. Einaudi;
“Primavera silenziosa” di Rachel
Carson ed. Universale Economica Feltrinelli;
“Terra madre – sopravvivere allo
sviluppo” di Vandana Shiva - ed..Utet;
“Sul filo di lana” di Loretta
Napoleoni - Ed. Mondadori;
“L’economia della felicità”
Docufilm di Helena Norbert-Hodge – Terra Nuova Edizioni Docufilm;
“Possiamo salvare il mondo, prima di
cena” di Jonathan Safran Foer – Ugo Guanda Editore;
“Ecocidio – Ascesa e caduta della
cultura della carne” di Jeremy Rifkin – Oscar Mondadori;
“Siete pazzi a mangiarlo!” di
Christophe Brusset - ed. Piemme;
“Una scomoda verità” Docufilm di Al
Gore;
“La società a costo marginale zero”
di Jeremy Rifkin – ed. A. Mondadori;
“Economia all’idrogeno” di Jeremy
Rifkin ed. Saggi Mondadori;
“Ami, acciaio e malattie” di Jared
Diamond ed. Super ET
Trilogia di Yuval Noah Harari ( Sapiens
– da animali a Dei; Homo Deus – breve storia del futuro; 21
Lezioni per il XXI secolo)
“La nostra casa è in fiamme” di
Greta Thumberg – Svante Thumberg – Beata Ernman e Malena Ernman –
ed. Mondadori;
“Il Mondo in fiamme” – contro il
capitalismo a salvare il pianeta – di Naomi Klein – ed.
Feltrinelli;
“CLIMA – Come evitare un disastro –
Le soluzioni di oggi. Le sfide di domani - Bill Gates ed Lanave di
Teseo;
[1]
Accaparramento di terre: le aziende, soprattutto le multinazionali
occidentali, hanno puntato e puntano ad acquisire enormi estensioni
di terreno da utilizzare per la coltivazione intensiva di prodotti
da esportare (in particolare, sono utilizzate per produrre materie
prime che, a loro volta, saranno utilizzate per la produzione di
biocarburanti).
[2]
Sociologa, professoressa e militante politica, Maria Mies è nota
per aver lavorato sul rapporto (the marriage) tra capitalismo e
patriarcato, nonché per essere tra le prime pensatrici e
interlocutrici dell’Ecofemminismo. È stata docente di Sociologia
presso la University of Applied Sciences (UAS) di Colonia – città
dove attualmente vive – fino al 1993, anno in cui ha abbandonato
l’insegnamento, per dedicarsi completamente all’attività di
intellettuale e attivista, organizzando convegni e conferenze,
scrivendo e prendendo parte all’azione di piazza. Nel 1979 è
stata convocata per fondare, presso l’Istituto di Scienze Sociali
(ISS) de L’Aia, il master in Women and Development, uno dei
primissimi percorsi accademici incentrati sulla woman question. In
questo cangiante contesto, Mies è entrata in contatto con donne
provenienti da tutto il mondo e ciò l’ha portata a muovere una
netta critica a tutte le posizioni e narrazioni eurocentriche,
raccontando e riflettendo sulle condizioni di donne, natura e
lavoratori (le colonies) non solo del Nord, ma soprattutto del Sud
del mondo.
[3]
Francis Bacon (1561-1626) : “sapere è potere”. E potere
significa dominio sulla natura.
[4]
Robert Boyle – Scienziato e governatore della Nuova Inghilterra.
[5]
“ la ricchezza delle nazioni” di Adam Smith - (Kirkcaldy, 5
giugno 1723 – Edimburgo, 17 luglio 1790) filosofo ed economista
scozzese.
[6]
Norman Ernest Borlaug (Cresco, 25 marzo 1914 – Dallas, 12
settembre 2009) è stato un agronomo e ambientalista statunitense,
vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1970, definito il padre
della Rivoluzione verde.
[7]
Il termine rivoluzione verde è stato coniato per indicare un
approccio innovativo ai temi della produzione agricola che,
attraverso l'impiego di varietà vegetali geneticamente selezionate,
fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e altri investimenti di capitale
in forma di nuovi mezzi tecnici e meccanici, ha consentito un
incremento significativo delle produzioni agricole in gran parte del
mondo tra gli anni quaranta e gli anni settanta del secolo scorso.
[8]
Paul DeBach – entomologo 28 dicembre 1914 (età 106 anni), Miles
City, Montana, Stati Uniti.
[9]
Raymond Albert Kroc, detto Ray (Oak Park, 5 ottobre 1902 – San
Diego, 14 gennaio 1984), è stato l’imprenditore statunitense che
ha creato la catena dei ristoranti McDonalds.
[10]
James Lovelock “GAIA – nuove idee sull’ecologia” Un testo
che ha rivoluzionato l’ecologia attraverso una nuova prospettiva.
[11]
Diagramma a ciambella: La ciambella è organizzata in
modo tale che al centro siano distribuite in diverse categorie le
carenze essenziali delle persone, mentre all’esterno della
ciambella sono contrapposti i limiti ecologici dei sistemi naturali
(come, ad esempio, cambiamento climatico, inquinamento chimico,
perdita di biodiversità). Proprio tra questi due insiemi di limiti
esiste uno spazio per l’umanità, equo sia dal punto di vista
sociale che naturale.
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