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MATERNITA' E
LAVORO
a
cura di Mariateresa Grillone
Il
75% delle donne tra i 25-49 anni, con un figlio, in Europa è
occupato; si arriva all’87% in Svezia, all’80% in Germania, al
78% in Francia, mentre in Italia questa percentuale si abbassa al
59%. Cosa frena l’occupazione delle mamme italiane? Le donne con
figli in Italia hanno meno probabilità di entrare nel mondo del
lavoro; ed è proprio l’evento nascita a far terminare la carriera
lavorativa. Una prima conferma di questa tendenza è data dai dati
sulle dimissioni delle madri lavoratrici; infatti nel 2019 in Italia
sono state oltre 37 mila quelle che hanno presentato le loro
dimissioni ed ovviamente le fasce d'età più giovani sono quelle più
interessate.
Fra
le motivazioni delle dimissioni o risoluzioni consensuali addotte
dalle lavoratrici la più ricorrente resta la difficoltà di
conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della
prole. Le voci individuate dallo studio dell'ispettorato del lavoro
sono: assenza di parenti di supporto (quando i nonni non possono);
elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (le rette
dell'asilo nido, spese per la baby sitter); mancato accoglimento al
nido.
“Per
le madri-lavoratrici, i primi tre anni di vita di un bambino
rappresentano il periodo in cui occorre un maggiore sostegno”, ha
detto la ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia
Catalfo, commentando i numeri dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.
“Un primo passo avanti - sostiene - lo abbiamo già fatto con il
Family Act nel quale, fra le altre cose, oltre all'assegno unico e al
potenziamento dei congedi parentali, è prevista una quota di riserva
della dotazione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese,
per l'avvio delle nuove imprese start up femminili e
l'accompagnamento per i primi due anni".
Si
tratta di un disegno di legge delega: significa che dovrà affrontare
l’iter parlamentare necessario per delegare, appunto, il governo a
legiferare sulla specifica materia. Per esempio la riforma dei
congedi parentali che istituisce un minimo di dieci giorni
obbligatori di paternità ed i permessi retribuiti per i colloqui con
gli insegnanti; un contributo per le rette di asili nido e scuole
materne; l’integrazione del reddito per le madri che tornano al
lavoro erogata dall’Inps; l’armonizzazione fra vita privata ed
impiego con misure premiali; sostegni o detrazioni di vario genere
per assistenza ai minori affetti da patologie fisiche. Pacchetto,
davvero molto ricco, speriamo di non perdere per strada troppi pezzi.
Nel
2019, si ricorderà, non c'è stata nessuna pandemia e le scuole sono
state aperte. Pensare alla fotografia dell'Italia 2020 fa paura. Una
situazione resa ancora più difficile dal lockdown, dove al lavoro
quotidiano e di cura si è aggiunta la didattica a distanza. La
pandemia ha ingigantito tutte le disparità esistenti comprese quelle
di genere. Il lavoro da casa, smart working, viene visto da tanti
come privilegio, conservi il posto di lavoro e segui i figli; però
il rischio che resti isolato dai colleghi di lavoro e le minori
possibilità di carriera è elevato. Si dà quasi per scontato che la
conciliazione vita-lavoro sia un problema delle donne, i dati ISTAT
parlano chiaro, hanno lasciato il lavoro 37 mila mamme contro 14 mila
padri.
Parità
di diritti non vuol dire fare tutti la stessa cosa, ma avere tutti le
stesse possibilità di fare ciò che si vuole indipendentemente da
genere, età, status e condizionamenti culturali. Una società equa
non è quella in cui i figli sono accuditi esattamente al 50%, ma
quella che consente al genitore che vuole occuparsene di farlo
indipendentemente dal suo genere. La parità non è il livellamento
delle differenze, che invece vanno valorizzate perché rappresentano
la vera ricchezza di ogni società.
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