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Libreria delle donne di Milano
Circolo della Rosa - martedì 4
dicembre 2007
Il posto del padre
Qual è il posto del padre dopo la fine del
patriarcato e l'avvento della libertà femminile?
Questo il tema discusso nel corso dell'incontro alla
Libreria delle donne del 4 dicembre, primo di una serie dedicati a
questo argomento, organizzati da Laura Colombo e Sara
Gandini.
"Il senso politico di questi incontri per noi è
affrontare la cosiddetta relazione di differenza, la relazione tra i
sessi" dice Laura nel suo intervento. A discutere in questa
serata è stato invitato Marco Deriu.
(trascrizione di Serena Fuart)
"Noi partiamo da un dato: la fine del
patriarcato e la libertà femminile che hanno rivoluzionato le nostre
vite - inizia così Sara Gandini nel corso del suo intervento
introduttivo.
"Noi, figlie della rivoluzione femminista e del
pensiero della differenza, investiamo il guadagno della relazione con
la madre nella politica, nel lavoro, nelle relazioni che danno senso
alla nostra vita. Non sentiamo il timore del ritorno del padre
patriarcale, che non ha più spazio dentro di noi. Questa figura
oramai sparisce di fronte alla grandezza dell'autorità femminile.
E però, Manuela Fraire, nell'intervento allo IAPH a
Roma, sottolineava bene come l'immaginario collettivo sia abitato
alternativamente dai due volti dello stesso fantasma del padre. Da
una parte il fantasma del vecchio tiranno patriarcale, portatore di
valori assoluti indeclinabili e indiscutibili. Dall'altra il padre
umiliato, depresso, marginale nella sua funzione educativa. Anche nel
saggio di Marco Deriu intitolato Disposti alla cura?, pubblicato nel
volume Mascolinità all'italiana, emerge il timore di molti uomini
che il padre diventi sempre più emarginato, dalla relazione della
madre con il figlio, con la figlia; con il rischio che crescano
sempre più forme di rivalsa aggressive sia verso la madre che verso
i figli. Un padre che reagisce con la violenza al tentativo della
madri di smarcarsi dal suo dominio. Le cronache ne sono piene ogni
giorno di più.
Il nuovo fenomeno della sterilità maschile, di cui
alcune hanno parlato durante la discussione per il referendum sulla
fecondazione assistita, ancora non è stato spiegato dalla
razionalità medico-scientifica che non ha indagato il suo aspetto di
sintomo di una virilità che stenta a fare i conti con la libertà
femminile, e con uno stato dei rapporti, tra uomini e donne,
abbastanza sterile. Come fa notare Annamaria Piussi sulla rivista di
Diotima del 2005, quello che si tende ad oscurare è proprio il nesso
tra desiderio, erotismo tra i sessi che cala, e infertilità che
cresce, in un'economia relazionale di coppia dove la sessualità, che
è sempre un accettare di calarsi nell'oscurità di sé e dell'altro,
diviene un terreno troppo complesso di incontro.
Charmet, in I nuovi adolescenti, individua la genesi
attuale del desiderio maschile di paternità nella relazione
sentimentale e passionale con una donna. Secondo Charmet è la
relazione d'amore con la compagna il luogo in cui origina il
desiderio di avere e di accudire un figlio; è la donna che ama che
lo guarisce dal "narcisismo" maschile e lo predispone ad
assumere la posizione paterna. Questa "fecondazione femminile"
della mente dell'uomo funziona fino a quando il sogno d'amore non si
incrina. A quel punto gli uomini-padri stentano a riorientarsi sulla
nuova realtà, mostrando di avere grosse difficoltà a ridefinire il
proprio rapporto con i figli, e alimentano in sé un senso di
sconfitta che spesso si traduce in depressione o in voglia di rivalsa
violenta nei confronti della madre. E' come se venisse a cadere non
solo il centro su cui si è costruita la loro nuova identità di
padri, ma anche la nuova possibile base di ridefinizione di sé come
uomini. Dunque l'insicurezza dei nuovi padri, come mostra Marco
Deriu, nel suo libro La fragilità dei padri, rivela qualcosa di
essenziale anche dell'attuale fragilità maschile, di un'identità
frantumata dai grandi cambiamenti dell'ultimo secolo che stenta a
trovare un proprio ordine di senso.
E però, nella discussione che ho avuto proprio
questa domenica con il nostro gruppo Intercity-Intersex (un gruppo
misto di uomini e donne venuti dopo il femminismo, cui fanno parte
tra gli altri alcuni uomini della associazione Maschile Plurale), è
emerso un desiderio autonomo di esserci in quanto padri nella
crescita del proprio figlio. E' stata una discussione molto animata
in cui il conflitto fra i sessi nella crescita dei figli è emerso
con una carica inaspettata. Emergevano i fantasmi delle donne,
coinvolte dal conflitto interiore tra la paura di essere lasciate
sole, il desiderio più o meno consapevole di dominio, e il sentirsi
accusate di voler far fuori il padre. E i timori dei maschi, ma anche
di alcune donne, che i padri vengano esclusi, marginalizzati nella
crescita dei figli, e il desiderio più o meno inconscio di poter
fare a meno della madre (ieri è uscito l'esempio significativo di un
africano che con la morte della madre dei suoi figli tanto aveva
fatto che era riuscito persino ad allattare). Uno dei nodi del
conflitto riguardava appunto la necessità, o meno, che sia la madre
a fare da mediazione nella relazione con il padre, ed emergeva un
desiderio di parità rispetto ai figli. Al contrario io sono convinta
della centralità della madre, anche in questo contesto, che la madre
venga prima, temporalmente ma non solo, e ritengo che uno dei nodi
del problema sia il posto che la madre assegna alla figura paterna.
Anche Luisella Brusa, in Mi vedevo riflessa nel suo
specchio, sottolineava come solo lo sguardo della madre, il suo
desiderio per altro, permette di fare spazio, di muoversi verso un
altrove, specialmente per la figlia femmina. E anche Luigi Zoja, che
da uomo ha riflettuto sulla figura del padre in Il gesto di Ettore,
afferma che lo sguardo devoto del figlio, della figlia, verso la
madre è un fatto originario, non ha bisogno della mediazione di un
terza persona. La madre è invece necessaria come mediatrice, per
spostare lo sguardo d'amore, di stima, del figlio, della figlia, da
sé stessa al padre.
Per questo motivo io e Laura desideriamo
interrogarci su come noi donne ci poniamo di fronte ai padri e ci
preme dire che non siamo d'accordo con la lettera pubblicata su VD
intitolata Il posto dei padri, in cui si riprende la tesi del libro
Uomini e padri. L'oscura questione maschile di Giuditta Lo Russo. In
quella lettera si risolve la questione sul posto del padre affermando
che la figlia e la madre non escludono il padre perché avvertito
come bisognoso: "se no - i padri - sarebbero troppo soli e non
saprebbero dove andare", dice la bimba della lettera. Non viene
nominato alcun guadagno, alcuna ricchezza dalla relazione con il
padre. Non lo si immagina neanche come possibile polo di curiosità,
attenzioni, carica erotica.
Ma io mi chiedo: "Solo facendo leva sulla
nostra bontà, su un presunto altruismo femminile, gli troviamo un
posto?"
Io penso invece che l'esclusione del padre implica
elidere una parte di sé. Dal momento del concepimento noi ci
portiamo dentro sia il padre che la madre, che per metterci al mondo
ci hanno, anche solo per un breve istante, desiderato. La dimensione
di desiderio da parte della madre, prima della nascita del figlio, è
uno dei nodi da tenere a mente. Se nella mente della madre, con la
nascita del figlio, non c'è più spazio per altro, c'è solo
l'essere madre e non anche donna, se non c'è spazio per il padre,
anche in quanto uomo, se non c'è spazio per il mondo segnato dalla
differenza sessuale, c'è il rischio che il rapporto con il figlio,
con la figlia, si chiuda. Posizione che relega la madre alla
esclusiva funzione di cura, mentre favorisce nell'uomo un ritiro di
stampo autistico. Il rischio quindi di convogliare nel rapporto con i
figli anche tutto l'eros che precedentemente si era espresso nel
rapporto con il padre dei suoi figli diviene un punto di massima
contraddizione, proprio perché la nostra politica non rinuncia al
legame con il corpo e con gli interrogativi che la sessualità porta
nella relazione tra sessi e tra generazioni.
Perciò riguardo alla domanda della lettera di VD
"Quale posto ha il padre?", che diventa per me "quale
posto la madre, la donna assegna al padre, da una posizione di
libertà", è cruciale l'intuizione con cui il femminismo della
differenza pone l'accento sul desiderio, oltre alla cura, come motore
della curiosità verso l'altro.
Marco Deriu: "vorrei raccontare delle ricerche
e degli interrogativi che mi hanno guidato nelle riflessioni sulla
paternità. Questioni che, per me, nascono in parte da interrogativi
legati alla mia biografia e, in parte, da una curiosità che riguarda
il rapporto tra generazioni, cioè in che misura stia modificando la
paternità e in che misura il maschile possa cambiare anche pensando
una trasformazione tra generazioni di uomini, tra genealogie
maschili. La mia prima curiosità è nata proprio dalla questione di
come gli uomini di oggi si rappresentino e si sentano in rapporto
alle donne, ma anche in rapporto agli uomini, ai padri da cui
provengono. La prima cosa che vorrei dire è generale: la riflessione
sul padre non può che partire del fatto che avviene in una
situazione di forte cambiamento, quello che avete nominato come fine
del patriarcato che è anche la fine di un ordine simbolico in cui la
figura del padre era molto forte. Questo si evidenzia in una
situazione generale di spaesamento, di incertezza che vivono gli
uomini, i padri, in cui compaiono dimensioni problematiche di disagio
e di difficoltà.
Le mie ricerche sono partite da un'osservazione: in
alcuni servizi dell'Emilia Romagna le operatrici e gli operatori dei
centri famiglia o dei centri per adolescenti si rendevano conto che
ogni volta che c'erano delle difficoltà nei ragazzi, sia che si
trattasse di violenza, sia che si trattasse di disagio, droghe ecc.
mancava o non interveniva mai il padre. Non c'era insomma un
intervento diretto della figura paterna. Era molto difficile
contattarlo, entrare in rapporto con lui. Mi sono chiesto, una parte
della ricerca era proprio su questo punto, in che misura questa
difficoltà, questo disagio dei figli raccontasse di una
comunicazione interrotta tra generazioni diverse di uomini.
Da una parte difficoltà e disagi dall'altra
un'occasione. Perchè un'occasione? Perchè una situazione in cui
vanno in crisi i modelli di riferimento coincide con una situazione
in cui, per la prima volta, gli uomini, ma nello specifico i padri,
non si pensano più come autotrasparenti, come autoevidenti. Quindi
c'è tutta una dimensione di interrogazione, di riflessione, in parte
consapevole e ricercata, in parte inconsapevole e comunque agita, che
secondo me è qualcosa di molto nuovo e può essere raccontato da
molti punti di vista. Questo aspetto ha anche un legame con un altro
fatto, cioè l'idea che non c'è più un modello di padre che si
trasmette di generazione in generazione, un modello che quindi i
nuovi padri assumono, ereditano, indossano ma c'è qualcosa di
diverso. La mia impressione è che in gran parte la figura paterna e
anche il tema di un'eventuale autorevolezza paterna non è più
qualcosa che viene recepito da una struttura sociale o che viene
recepito da modelli precostituiti, ma è qualcosa che si gioca, che
emerge che si può costruire solo nelle relazioni. Questo mi sembra
un aspetto molto interessante perché è come dire che i padri di
oggi, in qualche modo, imparano a fare i padri in maniera molto più
esplicita che in passato confrontandosi con tre tipi di relazione: la
prima è una relazione che riguarda il rapporto tra generazioni di
padri, cioè il rapporto del nuovo padre con il padre che ha avuto e
con l'esperienza che ha avuto come figlio, deve fare i conti insomma
con il proprio universo maschile. Il secondo è il rapporto con
l'altro sesso, sia nella dimensione della relazione con la madre sia
nella dimensione del rapporto con la partner. Il il terzo è il
rapporto con i propri figli, che terrò un po' sullo sfondo, che però
è molto importante anche questo. Non c'è più una gerarchia rigida,
c'è un modello molto più complesso in cui anche i padri imparano
qualcosa dai figli. In tutti i tre i casi, che per me sono sfide
relazionali, il farsi padre è qualcosa che emerge in fieri, emerge
nelle relazioni, e di questo molti padri iniziano ad essere
consapevoli.
Un accenno rapidissimo alla questione delle
genealogie maschili. In tutte le ricerche che ho fatto, interviste,
focus group, ma anche molti gruppi di padri e, separatamente, di
madri di bambini di scuole di infanzia, emergeva in modo molto forte
che uno dei conflitti che questi padri avevano nella loro esperienza
e storia era nel rapporto con il proprio padre, un conflitto
doloroso, faticoso. Si trattava di un'esperienza di padri
ingombranti, in qualche caso violenti, in altri casi invadenti,
pesanti non rispettosi e per un altro verso distanti. Il confronto
con questo tipo di padri più vicini al patriarcato ha avuto un peso
molto forte nella vita di queste persone e nel loro modo di ripensare
in qualche modo la paternità. Questo da due punti di vista. Molti di
questi padri tendono a prendere le distanze dai padri che hanno avuto
in una modalità nuova, che non è più quella del conflitto aperto,
esplicito e dichiarato in stile Sessantotto, l'idea dell'uccisione
simbolica del padre. Secondo me non c'è tanto questa modalità oggi,
quanto invece molto di più una presa di distanza che passa
attraverso forme di silenzio, assenza di verbalizzazione da certi
punti di vista. Il che, in alcuni casi può significare un passaggio
all'atto, in altri una chiusura sul piano della comunicazione molto
forte. E quindi, secondo me, anche qualcosa di più radicale che non
un conflitto come lo pensavamo un tempo. Questo apre a dei problemi
che ho cercato di indagare un po'. Trovo che ci sia un nodo non
facile da sciogliere: molti dei nuovi padri che cercano di essere
padri diversi da quelli che hanno avuto, che cercano di prendere le
distanze, secondo me fanno fatica a comprendere che non ci si
costruisce a tavolino, che non ci si autodetermina razionalmente, che
non c'è nessuna libertà e nessuna possibiltià di fare esperienze
diverse se non si sta nelle relazioni, se non ci si interroga, se non
si diventa competenti nelle relazioni, nelle storie, nelle trame da
cui si proviene. Qui c'è un'apparente discontinuità, ovvero la
presa di distanza dai padri, ma anche una continuità perché mi
sembra che riconfermi questo tentativo tipicamente maschile di
autodeterminarsi senza prendere coscienza dell'importanza delle
relazioni. La seconda sfida è quella del rapporto con l'altro sesso.
Due gli elementi che mi hanno colpito: il primo è che moltissimi
padri citano come modello di riferimento le madri.
Leggo un piccolo frammento di intervista di un padre
cinquantenne che dice: "Se devo valutare l'atteggiamento di mio
padre nei miei riguardi nella primissima età, direi che è pari a
zero, anche perché la divisione tra ruoli maschili e femminini era
totale. Mio padre è un grande assente io sto cercando di essere un
grande presente. Ricordo delle sue prese di posizioni assurde, io
oggi sono uno che cerca di ragionare fin troppo. Mi accorgo che sto
cercando di creare un tipo di rapporto che è quasi all'opposto di
quello che ho avuto io. Io sono lo controfigura di mia madre che
invece c'era e c'è anche oggi. Mia madre mi ha insegnato un
patrimonio mio padre era un fallito. Fare figli è stata come
un'opportunità ricercata per pareggiare un conto con la vita,
significava mettere in campo un modo nuovo di essere padre diverso da
quello che abbiamo ricevuto"
Si tratta di una testimonianza estrema, non siamo
tutti su queste posizioni, però è molto paradigmatica perché parla
del rapporto molto negativo con il proprio padre, dell'assunzione
della madre come modello anche di paternità e del rapporto con i
figli come occasione di uscire dallo scacco del rapporto con il
proprio padre. Questo racconto incrocia le tre sfide di cui vi
parlavo: la relazione con i padri, con l'altro sesso e con i figli.
Da una parte c'è, anche in maniera forse meno estrema anche con
altri padri che ho incontrato, un riconoscimento dell'autorevolezza
femminile, dell'importanza e della competenza relazionale nella cura
e nella capacità di ascolto e di empatia che molti padri, secondo
me, riconoscono e che in parte cercano di far propri. Questo quando
c'è in atto un meccanismo positivo. In altri casi questo
riconoscimento di una disparità o di una asimmetria nel rapporto
madre - padre - figli può essere vissuto come fonte di paura o di
gelosia quindi la questione cui accennava Sara prima ovvero sentirsi
in qualche modo esclusi o superflui o fuori da una relazione, che può
essere percepita come una fortezza inespugnabile nel rapporto di
intimità molto stretto che si crea nel rapporto tra madre e figlio.
In questi casi ci può essere una reazione sia di tipo aggressivo o
competitivo o violento ma anche reazione di fuga e sottrazione.
Viceversa mi sembra che questo riconoscimento di un'assimetria,
disparità possa funzionare nel momento in cui si riesce a passare
dal registro dell'invidia a quello dell'ammirazione, quindi anche a
saperlo nominare raccontare, esplicitare e farlo diventare terreno di
scambio.
L'ultima cosa che vorrei dire più nello specifico è
che ultimamente ho fatto studiato una realtà particolare, quella
delle associazioni dei padri separati, un universo particolarissimo
che ho incrociato per molti motivi. Ci sono infatti connessioni forti
con altre realtà maschili tipo Uomini3000, Maschi Selvatici, Pari
diritti per gli Uomini. Ho dedicato quasi un anno di ricerche a
viaggiare su internet, perché la maggior parte di queste
associazioni lavora con internet o hanno internet come principale
nodo di riferimento. Ho avuto occasione di leggere tutti i documenti,
testi, dichiarazioni libri, poi di studiare sui giornali le loro
uscite pubbliche. Per me è stata una cosa molto interessante perché
ho l'impressione che sia un universo di cui sappiamo ben poco. Ho
registrato una quarantina di sigle, associazioni a cui corrispondono:
alcune sono nazionali e sono molto grandi poi ci sono una serie di
locali. Stiamo parlando insomma di un centinaio, o forse di più, di
realtà di questo tipo operanti nel territorio italiano. Cito questa
questione perché per me si evidenziano alcune cose. Ovviamente nel
momento in cui la famiglia tradizionale in qualche modo va in crisi,
in cui c'è una libertà femminile dove tutto dipende dal
riconoscimento e dalla condivisione al momento della separazione,
secondo me la figura paterna mostra ancora di più la sua fragilità
e anche l'asimmetria da un certo punto di vista dei ruoli. C'è un
conflitto molto esplicito e molto forte di queste associazioni di
padri che in parte ha sicuramente dei tratti misogini o antifemmnili
molto espliciti in parte però no, in parte corrisponde a una
difficoltà, secondo me, dei padri di trovare una collocazione, un
loro ruolo, di veder riconosciuto un legame affettivo - emotivo -
relazionale. In questo tipo di conflitto ho trovato, per come è
strutturato, l'impossibilità di un confronto reale tra uomini e
donne. Per questo mi ha interessato e colpito perché da una parte
queste associazioni di padri assumono un atteggiamento antifemminile,
antifemminista, per cui attaccano tribunali, assistenti sociali,
associazioni femministe, accusandoli di essere antipaterni, di voler
affossare la figura del padre e di avere un atteggiamento
antipaterno; in parte proiettano le loro paure, le proprie angosce
come se la figura del padre sia stata sottratta dalle donne.
Dall'altra è diventato molto un conflitto di posizione, quindi in
sostanza si gioca a chi ottiene di più o riesce ad ottenere di più
in questo tipo di situazioni. C'è poca discussione, almeno in questi
casi che ho studiato, ma mi pare anche nel dibattito che ho iniziato
ad approfondire, sul piano della civiltà delle relazioni che invece
secondo me sarebbe l'aspetto più interessante. Mi colpiva
l'osservazione che faceva Marina Terragni in uno degli ulitmi numeri
di Via Dogana Lo svantaggio maschile. Lo svantaggio maschile non
corrisponde affatto a un vantaggio femminile, in questo contesto
trovo che sia molto interessante. Mi aveva anche colpito molto la
riflessione che faceva Lia Cigarini sulla questione del rischio di
voler stravincere in questo tipo di situazioni.
Concludo dicendo che ho identificato tre tipi di
paradossi in questo conflitto.
Tre paradossi che spiegano per me perché questo
tipo di conflitto non è produttivo.
La cosa che mi interessa è capire la modalità
attraverso cui si è strutturato questo genere di conflitti che
secondo me parla dello stato delle relazioni tra uomini e donne,
padri e madri. Comprendendo come è strutturato si capisce come sia
improduttivo e come diventi per me importante riuscire a capire, come
uomo, che alternative ho per nominare un desiderio di relazioni
affettive tra padri e figli, di valorizzare la figura paterna senza
fare una questione di potere".
Deriu racconta poi un fatto curisissimo e
paradossale. "Gli uomini delle associazioni in situazioni di
difficoltà, di spaesamento adottano il linguaggio delle pari
opportunità, dell'uguaglianza. Nel momento in cui si sentono messi
da lato allora assumono su di sé il linguaggio delle pari
opportunità, tant'è che c'è anche un'associazione che si chiama
Pari diritti per gli Uomini. Mi verrebbe da dire che forse la
mancanza di un confronto reale sulle relazioni e sull'importanza del
riconoscimento del ruolo del padre e dell'importanza delle relazioni
affettive nel rapporto tra padri e figli, uomini e donne, si
trasforma poi in un rifugiarsi di questi uomini in un linguaggio che
è quello della parità e dell'uguaglianza che impedisce perfino di
riconoscere quell' asimmetria che in altre situazioni gli stessi
padri riconoscono e nominano".
"Vorrei riprendere un paio di spunti prima di
dare avvio alla discussione - inizia Laura Colombo - Quando Sara e io
abbiamo iniziato a discutere sul posto del padre, avevamo presente il
lavoro fatto nel ciclo di incontri in Libreria sulla relazione
madre-figlia e anche la domanda che Ida Dominijanni ha posto a Luisa
Muraro a proposito de L'Ordine simbolico della madre, un libro dove
il padre è un'assenza. Luisa ha poi precisato che si tratta di
contestare la necessità della legge del padre e non di precludere la
possibilità della figura paterna. Abbiamo sentito l'esigenza di
ragionare su questa possibilità, organizzando anche alcuni incontri
pubblici in Libreria, e questo è il primo. Vorrei precisare da
subito che il senso politico di questi incontri per noi è affrontare
la cosiddetta relazione di differenza, la relazione tra i sessi -
come diceva prima anche Sara, quando parlava di erotismo. Parlare del
padre sta per noi nella prospettiva di affrontare nodi che all'oggi
sono impellenti, perché investono fenomeni sociali complessi come la
violenza alle donne: quello che ci sta a cuore è una
rappresentazione del rapporto tra i sessi lontana dai modelli
patriarcali e da quanto propongono i media, e un cambiamento del
senso comune per cui la donna non sia colpevolizzata per la sua
libertà e l'uomo accetti profondamente - e non solo
intellettualmente - lo squilibrio in gioco e l'asimmetria tra i sessi
- per esempio quando c'è in ballo il suo desiderio di paternità,
quando si toccano i temi che riguardano la vita e la riproduzione, ma
non solo, quando si vuole affrontare il diverso rapporto col potere,
il lavoro, i soldi…
Voglio precisare subito questa cosa perché il tema
è complesso, ed è necessario quindi porre la prospettiva in modo
chiaro. Non stiamo parlando della famiglia o di un fantomatico
ritorno alla famiglia tradizionale. Sappiamo che esistono famiglie
monoparentali e famiglie lesbiche con figli. Non si tratta di
sdoganare una famiglia-tipo escludendo pezzi di reale, di esistenza e
di esperienza.
Per noi si tratta, come ho già detto, di dare
possibilità a una nuova civiltà tra donne e uomini, e di farci
carico di un pezzo di storia importante - quella del femminismo - che
ha dato molti frutti e qualche contraddizione. Cito ancora Ida
Dominijanni che nel suo saggio sull'ultimo libro di Diotima dice: "La
differenza oggi […] è data da ciò che noi abbiamo messo o rimesso
al mondo della madre, della sua potenza e della sua impotenza, della
sua realtà e della sua fantasmaticità, in replica, in mimesi o in
differenza dalle tradizionali declinazioni del materno. Dopo
quarant'anni di femminismo, la madre non ci sta alle spalle: per
l'immaginario sociale, le madri siamo noi. La percezione reale o
fantasmatica della madre riguarda direttamente la percezione reale o
fantasmatica di ciò che nel femminismo abbiamo detto e fatto; perciò
è importante e difficile tentare di decifrarla".
Quando abbiamo parlato con Marco del suo saggio
pubblicato nel volume Mascolinità all'italiana - innanzi tutto
volevamo prendere sul serio il desiderio di paternità degli uomini,
e poi farci carico delle nostre contraddizioni ma anche dei nostri
bisogni. I piani naturalmente si incrociano. Marco nel suo saggio
mette in luce un triplice paradosso: 1) il primo a carico dei padri
che solo per revanscismo reclamano un cambiamento delle regole
dell'affido dei figli, mentre in realtà non sono disponibili a una
trasformazione radicale delle relazioni tra i sessi; 2) il secondo
paradosso in seno alle realtà femministe, che confondono la difesa
delle posizioni delle madri nelle separazioni con l'autonomia e la
libertà delle donne; 3) il terzo paradosso è lo stallo in cui si
trovano donne e uomini che sono realmente interessati a un
cambiamento, in questo panorama di contrapposizione sterile.
Il secondo paradosso mi chiama in causa
direttamente. A me ha evocato la lettera su Via Dogana di settembre,
cui Sara faceva riferimento prima. La cosa che più mi ha colpita di
quella lettera è ciò che la madre fa dire alla figlia: la bambina
direbbe che è disposta ad accogliere il bisogno del padre, c'è la
figura di un padre bisognoso mentre non viene mostrato un bisogno
della figlia, perché il rapporto con la madre è tutto il suo
orizzonte, è tutto il suo mondo, l'universo in cui la bambina
esaurisce il suo desiderio. Mi chiedo se questa sia la realtà, o se
diventi una realtà per la bambina a causa del desiderio materno. La
madre la interpreta, le mette in bocca le parole, fa sì che la
"coppia primordiale" della maternità - quella della madre
con la sua creatura - che è una realtà e una necessità per la
sopravvivenza della piccola, resti tale, coppia chiusa al desiderio
di altro. Mi chiedo: questa è realtà o fantasma materno? Il
desiderio della madre - come abbiamo visto anche nel ciclo di
incontri sul rapporto madre/figlia e come possiamo leggere nei due
libri dedicati all'oscuro materno di Diotima (La magica forza del
negativo e L'ombra della madre) - può essere onnipotente,
inglobante, un inciampo per la figlia e per la stessa madre.
Mi chiedo anche se questa voglia di stravincere
(vedi Via Dogana…) che in qualche modo riporta le ambivalenze
dell'onnipotenza materna al centro della scena - a dispetto della
lotta delle donne per metterne a fuoco i nodi - non sia una delle
conseguenze paradossali del percorso di libertà delle donne, domanda
che anche Ida Dominijanni si fa nel sua saggio sull'ultimo libro di
Diotima.
Il padre c'entra in questo perché - fermo restando
il rapporto del tutto particolare con la madre, l'origine, la fonte
primaria di nutrimento - un movimento della madre che comprenda in sé
il padre e faccia posto al padre dà una possibilità alla figlia di
vedere altre parti di sé, di confrontarsi con l'altro, sempre che ci
siano uomini disposti a farlo, e io so che ce ne sono sempre più. E
questo punto - ossia un gesto intenzionale della madre che lasci
spazio per altro, perché il desiderio di altro si esprima nel
rapporto con la sua creatura - è essenziale in tutte le forme che la
famiglia ha preso in questi decenni.
Anche nella lettera a Via Dogana si dice che "ai
padri bisogna farglielo, un posto", ma lo si fa in nome del
bisogno di lui e del non escludere, giustificando questo con un
pensiero che tende all'essenzialismo, ossia dicendo che "il
proprio della differenza femminile è di non escludere l'altro".
Mi risuona di oblatività, che per me è fastidiosa.
Invece io credo che un passo indietro rispetto
all'onnipotenza - oltre a far gioco anche alla madre perché le
permette che ci sia altro dentro di sé oltre all'essere madre, il
desiderio di far politica per esempio, il suo essere donna,
l'attrazione per il mondo e le sue sfide, l'eros che si rivolge ad
altro - fa spazio anche per la bambina, per un suo possibile
desiderio di altro, e permette di far accadere qualcosa di nuovo.
Insomma, forse è dal desiderio delle donne che un padre può
rinascere. Qui parlo di me come figlia, dell'amore per mio padre che
ha sempre rappresentato per me la forza, che lui con un gesto
particolare e tutto nostro mi passava nei momenti più delicati per
me, e che ora mi restituisce anche la sua fragilità nella malattia.
Per me mio padre ha rappresentato un'occasione per entrare in
contatto con una parte di me, la possibilità di scovare dentro di me
alcune risorse che mi danno forza in determinati momenti difficili,
la determinazione di andare avanti nonostante le difficoltà,
scoperte importanti che ho potuto fare nella relazione con lui.
Parlo di me anche come madre nel rapporto con un
compagno che ha il desiderio di sviluppare una relazione differente
con sua figlia, desiderio che io voglio accogliere e rilanciare anche
perché mi aiuta a fare i conti con le mie paure/desideri di
onnipotenza.
Credo che per le donne che come me sono venute dopo
il femminismo, non ci sia solo un bisogno di aiuto materiale da parte
dell'uomo, con il rischio che si trasformi in una relazione
strumentale, ma un reale desiderio di relazione, perché abbiamo a
che fare con molti uomini trasformati come noi dalla rivoluzione
femminista. Ne ho esperienza nel gruppo Intercity-Intersex già
citato da Sara e di cui anche Marco fa parte.
INTERVENTI DEI PARTECIPANTI
"Volevo portare la mia esperienza perchè sono
padre di un maschio di tre anni e mezzo - interviene Stefano Sarfati
- e volevo ripartire dall'intervento di Marco Deriu quando parlava
dei diversi orizzonti di un padre, quello dell'ordine simbolico
paterno piuttosto che di altre situazioni, per dire che io mi ritrovo
moltissimo con la dichiarazione di quel padre cinquantenne. Vado
quasi sempre dicendo, in riunioni con altri uomini le poche volte che
ci sono stato per esempio ad Asolo, che io se c'è un punto fermo che
ho è che c'è un unico ordine simbolico che è quello della madre,
per cui io quando mi muovo nei confronti di mio figlio ho in mente
mia madre. Vorrei dire che non si corre il rischio che entri in
competizione con mia moglie, nè che io mi schiacci in un modello che
non è poi il mio, perché è ovvio che essendo io un uomo, essendo
io il padre, non potrò mai essere la madre. Siccome però l'ordine
simbolico è uno ed è quello della madre che ha fatto me, mia
sorella oppure, nell'altro caso, ha fatto mia moglie, siamo entrambi
figli di madre sappiamo entrambi cos'è la cura materna perché
abbiamo avuto l'esperienza di aver avuto la madre e quindi, nel
momento in cui io sono padre e lei è madre, il riferimento non può
che essere quello. Per cui io mi ritrovo perfettamente nelle parole
di questo padre cinquantenne tranne che per la questione della
contrapposizione al padre. Il mio è stato abbastanza un buon padre,
so che non è stato un buon marito ma questi non sono affari miei. A
proposito volevo dire qualcosa a proposito della fortezza
inespugnabile materna di cui Marco parlava prima. Secondo me ci può
essere la fortezza inespugnabile materna nel momento in cui il padre
cerca di espugnarla con l'ordine simbolico paterno".
Annamaria Rigoni: "mi sono chiesta quale sia la
funzione paterna. Devo dire che non mi sono data una risposta però
ho articolato nel tempo altre domande. Volevo riportare un'esperienza
che ho fatto negli ultimi anni con dei giovani, sia adolescenti sia
giovani uomini e donne dai venti ai venticinque anni. Ho seguito per
un certo periodo questi giovani che stavano definendo un proprio
progetto professionale quindi stavano delineando, stavano sognando,
immaginando, la possibilità di iniziare una vita lavorativa. La cosa
che mi ha colpito in questi gruppi è stata una scoperta del tutto
casuale, avvenuta parlando nel corso una relazione con loro: quelli e
quelle che facevano più fatica a immaginare un progetto lavorativo
concreto erano coloro che non avevano alle spalle una figura paterna,
che vivevano in famgile monoparentali femminili. Ovviamente io non ho
fatto statistiche, non è una cosa scientifica però è qualcosa che
mi ha colpito. E' come se, mentre raccontavano la loro possibilità
di cominciare un lavoro, facessero fatica a trovare un equilibro tra
onnipotenza e impotenza, continuavano a saltare tra frasi del tipo
'io posso fare tutto, ho davanti tutta la vita' oppure 'io non posso
fare niente' 'sono uno schifo, il mondo non mi vuole'. Era più
facile riuscire a costrurire qualcosa che avesse il senso del limite
con coloro in cui riuscivo a intravedere una figura paterna più
equilibrata. Questa è una cosa che mi ha colpito, mi ha incuriosito
e mi ha fatto sorgere nuove domande. E'come se una figura paterna
aiutasse i figli a costruire dentro di sé un senso del limite.
Questa non è una cosa volontaria da parte del padre perché comunque
il padre rappresenta un limite al desiderio del figlio di avere la
madre tutta per sé. E quindi già il fatto che il padre esista,
impone fin dalla prima infanzia di considerare che il desiderio di
onnipotenza non possa essere soddisfatto e quindi, credo che sia un
dato che è indipendente dalla volontà del padre, è un dato che
c'è. Questo implica anche forse che gli uomini si assumano il fatto
che un po' di conflitto con i figli c'ha da essere. Un conflitto che
dev'essere generativo e costruttivo, non un confiltto distruttivo in
cui si dimostra qual è il proprio potere schiacciando l'altro ma un
conflitto nel quale si indica un limite e se lo costruisce insieme.
Queste sono idee nate nella mia relazione con i giovani e nel fatto
che uno dei grossi problemi che incontro anche oggi parlando con i
giovani è il senso del limite. Una domanda che mi sono fatta è
anche se la fuga dei padri non sia in qualche modo complice in questa
fatica a trovare un limite".
Io invece volevo fare una domanda - interviene una
partecipante - una domanda che riguarda un problema al quale io non
so dare risposta, probabilmente non voglio rispondere. Quello che
vorrei sapere è se nell'esperienza di Deriu c'è la capacità di
cogliere una differenza fra i padri di figli maschi e padri di figli
femmine, perché io penso che la paternità si declini in modo molto
diverso. Se penso all'esperienza che io ho, che è molto modesta ma
molto pregnante, io penso a un padre, il mio, così faticoso da
essere a un certo punto da me rinnegato e penso a un compagno così
faticoso da essere rinnegato a un certo punto da sua figlia. Ora in
quest'ultimo caso e cioè del papà di mia figlia, io vedo, per
quanto in un'osservazione superficiale, che il rapporto di quest'uomo
con i suoi figli maschi è molto diverso e io so per mia esperienza
che con la nascita di mia figlia e poi con il fatto che mia figlia
progressivamente diventava grande, io mi misuravo spesso con lei per
somiglianza o per differenza e mi riconoscevo in lei probabilmente
più di quanto mia figlia non si riconoscesse in me per cui immagino
che una relazione padre-figlio maschio abbia caratteri del tutto
diversi però sono assolutamente non in grado di darmi delle risposte
e vorrei indagare questo tipo di problemi".
Luisa Muraro:"ho ascoltato i tre discorsi, sono
d'accordo con molte cose che ha detto Marco Deriu ma ho fatto fatica
a innestarmi a un livello più profondo con lui soprattutto perché
lo conosco meno. L'unico punto che avrei obbiettato è stato quello
che ha rilevato Stefano e cioè il caso estremo del padre, perché
così l'hai presentato. Si tratta invece di un caso ordinario ormai:
gli uomini imparano la paternità o imitando o le propri madri o le
proprie mogli, non hanno altro da fare. Cos'avrebbero altro da fare,
non ci sono modelli. Qualcuno allora potrebbe dire 'mi invento, sarò
creativo' ma a questi livelli, in queste cose non si è creativi.
Luisa fa un racconto. "Ho avuto uno studente
che si è laureato sul tema del cambiamento del rapporto tra i sessi.
E' un uomo figlio della madre, molto dolce con una grande
tranquillità interna. Ha sposato la figlia del suo datore di lavoro.
Suo padre è iperautoritario e tremendo ed è assolutamente
inservibile come modello di paternità ma il figlio ha la capacità
di modellarsi. Si è fatto figlio del padre di sua moglie e si è
inserito come in un vecchio sistema matrimoniale celtico, uno dei
meno patriarcali, in cui l'uomo andava a stare casa della donna"
Luisa fa poi riferimento agli interventi di Laura e
Sara. "Invece Laura e Sara le ho sentite altre volte parlare di
questi argomenti. Vorrei far notare che la posizione di fondo che
Sara ha enunciato è proprio scritto ne L'ordine simbolico della
madre: la posizione del padre è quella che ha bisogno di essere
indicata dalla madre, che poi è la posizione di Lacan: la madre
dice: "questo è vostro padre".
Quindi non è che L'ordine simbolico della madre non
consideri il padre, lo considera en passant, senza fare teorie su
questa figura.
I vostri discorsi li ho sentiti, li sento. In
sostanza anche voi, forse anche Annamaria, e tutte le donne che
riflettono sul tema della paternità tendono ad assumere in realtà
la posizione che avete criticato, cioè quella pietistica ovvero
"qualcosa bisogna pur fare di questi, sono qui, vogliono fare i
padri li aiuteremo", "Adesso ci mettiamo a pensare cosa può
fare un padre". Così facendo non so se salvate la dignità del
vostro compagno.
C'è un elemento di materialismo emerso dai vostri
discorsi: si passa dall'ordine di questa gratuità, certo
compassionevole, un po' velata, a qualcosa cha appartiene alla
necessità, cioè voi avete bisogno di un compagno.
Nella società di oggi e anche in quella di una
volta, la donna che fa bambini ha bisogno di un compagno, non importa
che sia il padre naturale, ha bisogno di un compagno degno che tenga
conto delle sue esigenze. Voi l'avete detto denegando "Non è
una relazione strumentale". E' invece una relazione strumentale
ma è strumentale per degli scopi che sono quelli della riproduzione
dell'umanità e può diventare non più strumentale nella misura in
cui si inserisce stima, affetto, riguardo. Solo, si dà il caso, che
per quattromila anni, forse anche di più, gli uomini di qusta
necessità materiale hanno fatto quello che sappiamo, cioè un
dominio. Non dico che gli uomini se ne sono approfittati, sembra una
storiella buffa, ma è un fatto che è capitato ovvero che la donna
abbia pagato questa necessità. Lo vediamo, lo abbiamo visto, le
donne hanno pagato il bisogno in cui erano di un compagno con la
soggezione e tutto un insieme di cose. La fine di questa faccenda non
è venuta dagli uomini, neanche da Freud, da Jung bensì dal
femminismo separatista. Anche questo è un fatto materiale. Voi
potete interrogarvi generosamente di che cosa ne facciamo di questi
nostri compagni, che si dà il caso siano anche i padri fisiologici
delle nostre creature, lo potete fare perché siete in una botte di
ferro, siete in una posizione di forza. Altrimenti non lo potreste
fare, ci penserebbero loro a piazzarsi dove conviene meglio.
Questa brutalità che io porto, questi elementi, non
vogliono dire che non è possibile la questione che nominava Marco e
cioè accedere a un discorso relazionale. Deve esser possibile questa
cosa, però tutta la faccenda, che io conosco benino perché, a suo
tempo, ho avuto momenti di scambio e scontro con le associazioni dei
padri separati, è altamente istruttiva e Marco ha fatto bene a
nominarla. Rende l'idea di che cosa la questione tende a diventare
quando non c'è più legame amoroso. Io sono anche disposta ma allora
torniamo alla compassione, bisogna avere compassione degli uomini
separati perché a volte si sono veramente affezionati alle loro
creature e i giudici con il buon senso e con il minimo di equità che
la fine del patriarcato ha reso possibile non gli concedono più di
tanto. Sappiamo per altro che la nostra cronaca nera è funestata da
comportamenti abberrranti di padri a cui erano stati affidati i figli
da giudici sconsiderati. Quindi questa è la situazione io ce la
metto la compassione e non è un sentimento spregevole.
L'ultima considerazione materialistica: in effetti
qualcosa bisogna fare dei padri perché le società dove le donne non
si sono ingegnate abbastanza di far qualcosa degli uomini, cioè di
farne dei padri, come l'America Latina, sono in preda a gravi forme
di disordine: un'umanità maschile fa coito, produce bambini, non si
assume la responsabilità, poi vaga facendo malefatte di vario tipo.
Non voglio cadere in stereotipi però la società dell'America
Latina, secondo me, per colpa di come è nata cioè della terribile
invasione spagnola e portoghese (non che siano malnati loro, è un
fatto storico), è sempre in preda a un grave disordine. Qualcosa di
simile avviene anche in Africa. Sono le donne celtiche che hanno
saputo far diversamente con un contratto minimamente libero e le
donne mediterranee con la soggezione pesante agli uomini. Poi la
borghesia certo ha prodotto questo grande cambiamento, l'idiolatria
del lavoro da parte degli uomini li ha 'fregati' perché le donne si
sono 'zompate' e li hanno fatto lavorare a man bassa. Adesso questo è
finito perché adesso lavorano a man bassa anche le donne. C'è un
materialismo in queste cose che io ho ricordato così, ho anche però
afferrato i desideri. Qual è l'elemento desiderante che in tutte
queste cose che ho ascoltato da voi? Ho sentito affiorare uno e uno
solo anche in Ida Dominjanni: i sentimenti di figlie innamorate del
padre, quello è il fattore desiderante".
"Mi lascia perplesso parlare di fine del
patriarcato da una parte e l'affermazione che l'ordine simbolico è
solo materno dall'altra - è l'inizio dell'intervento di Lorenzo
Bernini -. Partiamo da questa seconda: è vero che Lacan sostiene che
la madre afferma: "questo è vostro padre", però Lacan
dice molto altro sul ruolo paterno. Il ruolo paterno è il ruolo del
terzo differenziatore che è stato evocato già due volte negli
interventi che mi hanno preceduto, cioè è colui che interviene nel
rapporto simbiotico madre - figlio. Il padre simbolico di Lacan apre
al figlio l'accesso al mondo discaccandolo dalla simbiosi onnipotente
con la madre. Allora ponendo che il patriarcato sia finito, di cui io
ho dei dubbi, mi sembra che nell'intervento di Deriu, siccome il
patriarcato è finito e l'ordine simbolico è solo quello materno a
chi ha avuto la sventura di nascere con un corpo maschile e di essere
attratto dalle donne con cui fare figli non può fare altro che
cercare di imitare un modello femminile nel rapporto con i figli.
Le alternative che si aprono sono due: ci sono
uomini più cattivi di altri come quelli delle associazioni
divorziati che cercano di accedere a una cultura dell'uguaglianza, di
rivendicarla per sé, ma poi non riconoscono la differenza femminile
e non vanno fino in fondo nell'accettazione della cultura della
relazione. Poi ci sono gli uomini più bravi che si limitano a
cercare di avere con i loro figli un rapporto modellato sulla
relazione materna. Visto che il riferimento culturale è anche
psiconalitico dato che è stato citato Lacan, io mi chiedo: la
funzione del padre simbolico chi la svolge se gli uomini buoni
imitano la madre? Se l'universo simbolico è solo femminile, è
prevista una funzione differenziatrice, qualcuno che pone dei limiti
al narcisismo del bambino e alla fusionalità tra bambino e madre?
Qualcosa di questa funzione non deve per forza
essere svolta da un uomo, ma qualcosa di questa funzione forse, se
uno fa dei figli per amore, bisognerà reintrodurre all'interno della
relazione genitoriale, non è detto che devono esser gli uomini a
farla. Credo, anche se c'è la fine del patriarcato, che questa
funzione vada buttata a mare".
Laura Colombo risponde sulla questione della fine
del patriarcato. "In realtà per me si tratta del fatto che io,
dentro di me, non do più credito alle forme patriarcali. Nel momento
in cui io non do più questo credito, non esiste più. Questo non
significa che non esistano dei problemi nella società. Il fatto che
ci sia solo l'ordine simbolico materno l'ha detto Stefano non
l'abbiamo detto noi."
Stefano Sarfati interviene su quest'ultima questione
"Io parlo sempre a partire dalla mia esperienza di avere un
maschio di tre anni e mezzo ed è proprio un caso calzante. Io
sostengo che l'ordine simbolico sia uno per uomini e per donne ed è
quello della madre. Quando cerco di fare il mio lavoro di cura verso
mio figlio mi ispiro quello che so fare, e quello che so fare l'ho
imparato da mia mamma. Questo non vuol dire che mio figlio abbia due
mamme. Mio figlio ha una madre e un padre e io posso essere un padre
che ha imparato il lavoro di cura da una madre che ha ben saldo
questo fatto dell'ordine simbolico materno unico per me, per mia
moglie e mia sorella. Avere il ruolo di cui parla Lacan, pensando
alla mia esperienza, non so quanto sia fondamentale, ogni tanto devo
dire che intervengo ma non intervengo perchè vedo narcisismo che si
avvita su di sè all'infinito in mio figlio. Penso che ci possano
essere situazioni differenti di caso in caso ma comunque sia a me è
capitato di intervenire, per cui l'unica cosa che volevo risponderti
è questa: ci può essere il padre che sta nell'ordine simbolico
della madre e che contemporaneamente ha il ruolo di cui parlava Lacan
e di cui parlavi tu."
Marco Deriu. "Considero gli interventi che sono
stati detti di per sè interessanti, significanti e molto
arricchenti"
Marco inizia il suo intervento con la questione del
patriarcato. "Personalmente ritengo che il patriarcato sia
finito, nel senso di un ordine che non riceve più l'autorizzazione o
il riconoscimento che aveva prima e questo si vede in tantissimi
aspetti del vivere sociale su cui possiamo parlare. Non ritengo che
l'ordine simbolico sia solo materno, penso che non è detto che
all'uomo resti solo la possibilità di assumere il modello materno.
Nell'esperienze che ho incontrato molti padri hanno fornito modelli
positivi e quindi lì il problema non si pone negli stessi termini.
Ma per molti si pone, come in quell'uomo del racconto che ho fatto
prima in cui il modello materno è o unico o di principale
riferimento, per cui credo che ci possa essere qualche problema
nell'assunzione imitativa di quel modello, però ritengo che di lì
si debba passare nella situazione in cui non ci sono altri modelli di
riferimento. Non finisce lì per me. Ho parlato della possibilità di
sperimentare, quando dico di sperimentare intendo proprio esperire e
poi caso mai di ragionarsi nel mentre si fanno esperienze,
sperimentare a posteriori una modalità di vivere la maschilità, la
paternità in relazione. Quindi queste tre sfide relazionali di cui
parlavo prima sono molto importanti, sono percorsi credo in cui si
possa vivere la propria maschilità, paternità, in modo diverso
nella misura in cui si accetta di avere uno scambio, un confronto
differente con la propria storia di relazioni, quindi con il proprio
padre e i propri universi familiari ma in particolare per quello che
riguarda il maschile con i propri padri. Credo che altrettanto
importante sia assumere un confronto con le donne, con l'altro sesso,
e che questa sia un'occasione molto forte per conoscersi, per essere
visti e per costruire un rapporto dialettico, di dialogo con se
stessi e credo anche, la terza cosa di cui prima non ho parlato, che
sia molto importante come padre, come adulti, costruire un rapporto
di scambio diverso con i figli. Credo che soprattutto nella società
in cui viviamo c'è un'esperienza che fanno i più giovani che è
diversa da quella che abbiamo fatto noi e credo che una delle sfide
nel costruire modelli di autorevolezza differenti stia nella capacità
di mantenere una relazione di asimmetria, non scivolare in modelli
orizzontali, egualitari cui peraltro molti padri assumono. Ma per me
è importante avere in mente che l'asimmetria non è necessariamente
una gerarchia che quindi può essere anche un'asimmetria variabile,
che ci sono cose che gli adulti possono apprendere dai più giovani.
Mi è capitato, avendo lavorato molto con i padri, che finchè
chiedevamo che cosa loro avevano dato ai figli uscivano molte
risposte ma quando la domanda era che cosa ti ha dato tuo figlio
rimanevano ammutoliti, alcuni mi hanno hanno detto che ci avrebbero
pensato e mi avrebbero scritto. Non riuscivano a mentarlizzarla
questa questione, sono convinto che ci sarebbero state moltissime
cose da dire ma non le vedevano, non le riconoscevano perchè non
rientra nel tipo di rapporto che un padre si immagina nella sua
funzione paterna.
Per tornare alla questione della funzione paterna io
ho molta difficoltà a dire qual è la funzione paterna dei padri al
di là del fatto che non amo molto la parola funzione.
Credo di poter riferire alcuni elementi che tornano
nella mia esperienza, un'esperienza di figlio un po' particolare: ho
perso i miei genitori quando ero piccolo, avevo 10 anni, però ho
avuto molte figure maschili che per me hanno avuto la funzione del
padre o dell'adulto, maschi di riferimento e in molte fasi della vita
avere un'autorità maschile di fronte a me per me è stato cruciale.
Una cosa che sento tantissimo, che mi differenzia
dalle figure femminili materne è il rapporto con il rischio, il
rapporto con il pericolo, la capacità di rischiare, esporsi, non
tutelarsi completamente, che naturalmente sono consapevole che può
avere sbocchi negativi ma per me anche molti positivi. La capacità
di stare in gioco nell'esperienza del reale senza avere come primato
assoluto quello dell'autoconservazione o della protezione e quindi
avere accesso a tutta una serie di esperienze che il materno che
consoco io direbbe: "non farlo, non toccarlo, non provare, non
andare". C'è nella mia esperienza un rapporto con il dolore,
con le ferite, con un certo tipo di esperienze negative e per me il
rapporto con alcune figure maschili è stato importante.
Riguardo la questione dell'esplorazione del mondo,
forse un altro elemento che aggiungerei nelle figure maschili e
paterne secondo me è l'elemento della ricerca di un senso di
giustizia, di un orientamento da un punto di vista etico - morale.
La domanda sulla differenza tra figli maschi, figli
femmine, non è la prima volta che mi viene posta e non ho risposte
particolarmente intelligenti da dare purtroppo. Credo che ci siano
differenze sicuramente perchè entra in gioco con figli maschi una
dimensione di competizione mimetica molto forte, che tra l'altro nei
nuovi padri è fortissima perchè, nella misura in cui si entra in
uno spazio di intimità maggiore, nella misura in cui tante cose
vengono condivise, dalla musica ai giochi agli interessi, c'è tutta
una dimensione di competizione fortissima che non era ipotizzabile
secondo me con padri di decenni fa. Mentre invece nel rapporto con la
figlia sicuramente c'è una dimensione erotica, non c'è dubbio, noi
abbiamo paura nominarla ma c'è ed è importantissimo che ci sia
altrimenti il rapporto della figlia con l'universo maschile
risulterebbe molto difficoltoso. Poi l'altro elemento che entra negli
automatismi mentali del maschile nel rapporto con le figlie è la
dimensione della protezione più forte nei confronti della figlia che
del figlio.
Molto sinceremante non ho un'eguale esperienza su
questo per dire delle cose intelligenti e originali. Mi viene in
mente un saggio di Chiara Zamboni che mi era sembrato molto
interessante in cui si interrogava sul rapporto tra padre e figlia,
quindi quello potrebbe essere un suggerimento".
Sulla questione del modelli imitativi interviene
Sara Gandini: "non credo che si tratti di imitare un modello ma
semmai di reinventare, magari sulla base delle relazioni che ognuno
di noi instaura, che può essere sia la relazione con la madre che
con un eventuale padre. Ma vedo questi giovani uomini, le relazioni
che instaurano tra di loro, che cercano di inventare e di mettere in
pratica e credo che tutto ciò sia molto importante. Ho visto
l'associazione Maschile Plurale. Le relazioni che hanno tra di loro
sono importanti anche per me, per come mi pongo anche rispetto questi
uomini. E' importante vedere i confilitti che si creano ma anche come
si divertono fra di loro, quindi le relazioni tra uomini io credo che
possano aiutare a stare in una situazione diversa anche con i figli.
Si può reinvetare una civiltà maschile anche basandosi sullo
scambio sulle relazioni tra uomini.
Questo può voler dire, e su questo mi interrogo,
reinventare un ordine simbolico maschile paterno in dialogo con
l'ordine simbolico materno.
Un'altra cosa che mi aveva colpito era la storia di
un ragazzo che raccontava di aver avuto un padre molto violento.
Anche la relazione con la madre non era stata facile perchè in
qualche modo complice di questa situazione. Lui però desiderava
instaurare un rapporto con questo padre. Mi ricordo che raccontava
che per lui era stato importante recuperare, esperire una sensualità
con il corpo del padre e che questo passaggio, il mettersi in gioco
in questa relazione con il padre, per lui era stato fondamentale
anche per recuperare il rapporto con la madre, quasi ci fosse stato
bisogno di passare per il padre per recuperare il rapporto con la
madre. Ho trovato un movimento interessante.
Rispetto al rapporto padre - figlio, padre - figlia,
credo siano molto differenti tra di loro e fioccano i giochi di
specchi come diceva Luisella Brusa.
Con mio padre c'è stata una grossa conflittualità
tra me e lui e in parte hanno giocato le sue paure rispetto
l'abbandono della madre e della moglie. Quindi nel momento in cui io
mi sono separata mi ha 'buttato' addosso tutti i suoi rancori
rispetto questo disagio, quindi credo che anche il conflitto tra i
sessi si gioca nella relazione padre-figlia".
Carlotta: "Si è parlato adesso della
difficoltà dei padri che hanno avuto modelli paterni negativi, anche
della lettera di quell'uomo che raccontava di non avere un modello a
cui riferirsi per creare un proprio modo di essere padre. Quindi, si
diceva, in questo caso, si può ricorrere al buon rapporto avuto con
la madre per inventarsi un proprio modello di padre. Mi viene da
chiedermi: che cosa avviene invece nel momento in cui è il rapporto
con la madre a essere negativo? Le donne non creano il loro materno
soltanto in relazione al proprio rapporto con la madre, almeno non
credo, quindi mi sembrava molto interessante questa ultima questione
riguardante la molteplicità di relazioni, quindi di trovare
all'interno di una struttura simbolica, come diceva Lorenzo Bernini,
il proprio modo di crearsi un paterno e un materno non riferito
semplicemente a dei modelli di padre e madre ma a modelli più ampi.
E comunque mi rimane la questione sul materno negativo".
Luisa Muraro racconta di un suo studente -
lavoratore sposato che, discutendo su questi temi, ha narrato di come
sua moglie abbia acquisito le competenze materne semplicemente
restando incinta
"Rispetto come era prima, cioè più di tanto
non ne sapeva - diceva lo studente -, è diventata, nel giro di nove
mesi, una madre: sapeva tutto e si muoveva bene. Io invece sto
imparando piano piano."
"Non ci vuole un modello per essere madre -
continua Luisa -: ci vuole un desiderio di esserlo e poi il resto
viene. Il rapporto tra una donna e sua madre spesso è non buono o
comunque ha delle ombre terribili anche terribilissime. Sono i maschi
che devono avere un modello per la paternità. Per diventare madre,
mia madre mi ha inconraggiato ma una madre può anche non
incoraggiare la figlia nella maternità e questo crea dei problemi,
non occorrono modelli, madre si diventa, sono i bambini, i neonati il
feto, la situazione che ci fa diventare madri. Poi naturalmente c'è
l'arte, Antonello da Messina, ci sono le poesie, c'è tanta cultura
che ci fa diventare madri, ed è anche il desiderio di paternità
dell'uomo che ci è vicino. E' così che si diventa madri, non con
modelli. Invece padri sì, si diventa con dei modelli. Mio figlio non
ha avuto il padre vicino e continuava a dirmelo, lui si è sempre
crucciato soprattutto perchè vedeva riprodursi un vuoto lì tra lui
e i suoi figli maschi".
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