Sei su Archivio / 2018 / cinema
Nebbia
in agosto
di
Kai Wessel
a
cura di Maria Grazia Riveruzzi
Produzione:
Ulrich Limmer
Genere:
drammatico
Interpreti:
Ivo Pietzker ( Ernst Lossa )
Sebastian
Koch ( dott. Walter Veithausen )
Fritzi
Haberlandt ( suor Sophia )
Henriette
Confurius ( Edth Kiefer )
David
Bennent ( Ojia )
Karl
Markovics ( Christian Lossa )
Thomas
Schubert ( Paul Hechtle)
Branko
SAmarovski ( Max Witt )
Jule
Hermann ( Nandl ) , Niklas Post (Josef )
Sceneggiatura:
Holger Karsten Schmidt
Fotografia:
Hagen Bogdanski
Montaggio
: Tina Freitag
Costumi:
Esther Amuser
Distribuzione
: Collina filmproduktion e Studio Canal ( Germania 2016 )
Sinossi
Germania,
anni ‘40 . E’ la storia vera di Ernst Lossa (Ivo Pietzcker), un
ragazzino tredicenne, nato ad Augusta da una famiglia Jenisch, il
ceppo nomade di zingari a cui fu applicata la legge razziale , come
per gli Ebrei , dopo l’ascesa di Hitler al potere.
Orfano
di madre e con un padre ambulante non in grado di mantenerlo , fu
affidato a varie case e riformatori . Dopo un’infanzia
priva di affetti e ricca di maltrattamenti, viene giudicato
“non educabile”, perché ribelle e indisciplinato e viene
confinato nel 1944 nell’unità psichiatrica di Kaufbeuren. Ernst è
sano ed intelligente e presto si accorge della sparizione
misteriosa di alcuni malati . Non corre molto tempo dalla scoperta
dei delitti perpetrati nell’istituto sotto la supervisione del
dottor Veithausen . Perciò Lossa inizia ad opporre resistenza ,
aiutando i compagni più deboli e organizzando con loro delle
piccole ribellioni. Ma Ernst è in grave pericolo , è diventato una
spina nel fianco del dottore . Decide quindi di fuggire insieme a
Nandl, il suo primo amore… Purtroppo eventi improvvisi lo
costringono a rimandare il progetto…
Il
professor Michael von Cranach, direttore della clinica psichiatrica
di Kufbeuren dal 1980 al 2006 ha contribuito a fare luce sui
crimini dell’eutanasia perpetrati negli istituti psichiatrici negli
anni ’40 e ha fornito consulenza storica alla produzione
cinematografica del film .
Regista
Kai
Wessel
Nato
il 19 settembre 1961 ad Amburgo , in Germania . Si è distinto per
acclamati film storici .Ha diretto nel 2002 “ The Kear of the
fist kiss “ ; nel 2007 “ Intemperie” ; nel 2009 “
Hilde “ ; nel 2010 “ Es war einer youns “ e nel
2016 “ Nebbia in agosto”.
Si
è occupato anche di televisione , realizzando in 12 puntate “
Klemperer-Ein LebenIn Deutschland“ (1999), in cui raccontava
la storia dell’intellettuale ebreo Victor Klemperer durante il
Terzo Reich.
In
“ Hilde “, film presentato alla Berlinale , il cineasta
ripercorre la vita di una vera e propria icona tedesca : l’attrice
e cantante Hildergarde Knef . Con questo film biografico ,
nato da un’idea della produttrice Judy Tossell , Kai Wessel è
salito allaribalta del cinema internazionale.
Per
questa sua predisposizione a portare sullo schermo fatti e personaggi
storici, il produttore Limmer , affascinato dalla storia del
piccolo Ernst Lossa, si è rivolto a Wessel per la
realizzazione e direzione del film “ Nebbia in agosto”.
Il
regista confessa che la sua opera non voleva essere soltanto una
denuncia del massacro di migliaia di bambini , vittime del programma
nazista di eutanasia; la finalità intrinseca era quella di mettere a
confronto questo argomento con i giovani porli di fronte
ad una storia commovente e avvincente che rispetta la realtà dei
fatti.
Recensione
Se
c’è un mezzo di denuncia più spettacolare, più toccante e più
immediato , questo è il cinema. Film tratti da romanzi veritieri o
ispirati da fatti realmente accaduti svelano ciò che viene taciuto o
ignorato dalla storiografia ufficiale, dalla stampa, dal mondo della
cultura in generale .
Sono
le storie particolari , quelle individuali più di quelle di massa a
farci comprendere e sentire con empatia l’orrore delle grandi
tragedie umane.
Sono
le storie a cui puoi dare un nome , un volto , una vita propria,
colta nella sua quotidianità da una regia attenta e sensibile , a
commuoverci.
Ne
sono una prova personaggi come Madeleine Pauliac (alias
Mathilde ), evocata alla memoria da Anne Fontaine nel film “Agnus
dei” ; Sophie Scholl e il fratello, condannati alla pena
capitale dalla Gestapo per essersi opposti al nazismo e ricordati da
Marc Rothemund nel film “ La rosa bianca” ; la coraggiosa
bambina Fanny che portò in salvo in Svizzera i suoi compagni
ebrei e che viene celebrata dalla regista Lola Doillon in “IL
viaggio di Fanny”. E ora in Nebbia di agosto” possiamo conoscere
un altro piccolo eroe Ernst Lossa , un ragazzino , ribelle ,
indisciplinato , ma capace di grandi gesti di pietà e di umanità
nei confronti dei suoi compagni di sventura.
Il
regista Kai Wessel si è ispirato al romanzo omonimo di Robert Domes
, pubblicato nel 2008 , dove si racconta la storia realmente accaduta
di Ernst , un tredicenne sveglio e intelligente , ma disadattato
e definito dal regime “ non educabile “ ; pertanto sarà
internato in un istituto psichiatrico . A portare alla luce la
vicenda del piccolo Lossa e delle migliaia di vittime innocenti del
programma di eutanasia , messo in atto negli anni ‘ 40 dalla
Germania nazista , sono state le ricerche storiche del professore
Michael von Cranach , direttore della clinica psichiatrica di
Kaufleuren dal 1980 al 2006 e consulente al film. Ma spetta a Robert
Domes e a Kai Wessel il merito di aver riesumata dalla polvere
del’oblio una delle tante e terribili storie vere svoltasi ai
margini dei campi di concentramento.
La
Shoah, intesa nel senso di “ catastrofe ,” sterminio” e
designata di solito a una componente considerevole di Ebrei ,
in realtà si estese anche a gruppi della popolazione tedesca ,
zingari , omosessuali , disabili , malati incurabili che finirono nel
programma di epurazione dei regimi nazi-fascisti .
Il
film svela le raccapriccianti conseguenze del programma nazista di
eutanasia, chiamato Action T 14, in grado tra il 1939 e il 1944 di
uccidere oltre 200 mila pazienti all’interno degli ospedali
psichiatrici ( con camere a gas, con avvelenamento o con
denutrizione) . Tra questi 200 mila , 5000 erano bambini e ragazzi ,
disabili , handicappati o incapaci di lavorare.
Il
meccanismo, freddo e razionale, di depurare la razza ariana da
elementi nocivi e imperfetti fu possibile grazie alla collaborazione
di molte volontarie /i . A partire dal 1939 spettò alle levatrici ,
infermiere, ostetriche , medici segnalare alle autorità di Berlino
ogni soggetto deviante fino ad occuparsi , nella fase finale,
direttamente della soppressione dei pazienti incurabili . Ernst Lossa
( Ivo Pietzker , classe 2002) , benchè sano , fu eugenizzato per
avere scoperto le nefandezze perpetrate nell’istituto , per
essersi ribellato alla disumana macchina nazista . Era diventato una
spina al fianco del dottor Walter Veithausen, autore
della teoria “più umana“ e “più economica“ della “non
nutrizione” e responsabile in seguito della morte di almeno 1200
soggetti.
Collaborarono
con lui, in particolare, suor Sophia ( Fritzi Haberlandt ) e
l’infermiera Edith Kiefer ( Henriette Confurius ) , denominata
l’angelo della morte perchè dispensava ai bambini del veleno
nel succo di lampone o zuppa di verdura stracotta e priva di
nutrimento ai pazienti adulti . Dopo alcuni anni di carcere, i
responsabili degli eccidi furono amnistiati: il medico nel 1954 e l’
infermiera Kiefer , autrice di 200 soppressioni, pochi anni dopo ha
ripreso il suo lavoro proprio nei reparti pediatrici .
Per
tutta la narrazione la regia mantiene alta la tensione e in costante
suspence lo spettatore/trice. Il film appartiene ad un genere
di thriller melodrammatico a cui fa da sfondo una scenografia
desolante e deprimente, caratterizzata da un’ambientazione estetica
cupa e grigiastra rotta dal biancore dei teli delle lenzuola. Con
sapienza ed intelligenza Wessel riproduce sullo schermo “la
normalità del male“, perché l’eliminazione di esseri umani
avviene tra sorrisi , tra canti di accompagnamento alle camere a gas
, con gesti caritatevoli e volti pietosi. Gli stessi
dialoghi dei carnefici, volti a giustificare il loro operato,
contengono una logica così astringente da essere quasi convincente
nella sua irrazionalità .
Ma
la parabola agghiacciante di Ernest, bambino indomito , che rivendica
il diritto di vivere per sé e per i suoi compagni, lascia allo
spettatore /trice un senso di disgusto e di rabbia, quando si perde
la speranza del trionfo del bene sul male .
Storia
Quando
si pensa alla violenza, al serial killer, si pensa al mondo maschile.
Alla donna è assegnata la cura , la protezione dei minori, la
conduzione della famiglia. Ma la storia dimostra il contrario.
La
storica Claudia Koonz In una sua ricerca storiografica sul
ruolo delle donne nel Terzo Reich, pubblicata… col titolo “ Le
donne del Terzo Reich” ha dimostrato con sua grande sorpresa
che le tedesche , da un punto di vista sociale e politico ,
collaborarono attivamente alla diffusione e realizzazione
dell’ideologia nazista con la stessa convinzione e dedizione del
genere maschile. Il ruolo delle donne del Terzo Reich non
corrispondeva all’immagine tradizionale di subalternità e di
marginalità, ma svolgeva attività di grande importanza sia nel
sociale che in politica.
Hitler
stesso andò al potere grazie al voto delle donne che lo sostennero
sin dagli esordi. In cambio favorì l’istituzione del
Ministero delle donne
(Frauenministerium)
a capo del quale fu posta la fuhrerin Gertrud-Klink .
Era
un’organizzazione comandata e formata da sole donne appartenenti a
tutte le classi sociali e offriva loro di uscire dalle mura di casa e
di contribuire fattivamente al benessere del popolo tedesco. Era
un’emancipazione femminile che non interferiva con l’egemonia
maschile, ma consentiva a tutte di misurarsi con la realtà esterna .
L’ideologia
nazionalsocialista, se da un lato veicolava l’immagine di donna
custode della stirpe ariana, dall’altra le offriva inedite
possibilità di lavoro , forme di attività sociale, di volontariato,
di impegno politico.
Nacquero
strutture femminili parallele a quelle maschili o in alternativa,
dove poter esercitare un ruolo di protagonismo sociale. Alcune furono
la macchina di propaganda di Goebbels, altre proiettavano le loro
fantasie di potere su Hitler .
Più
volte mi sono chiesta come fosse stata possibile una tale complicità
femminile con il partito nazionalsocialista e con l’ideologia
razzista al punto di cooperare all’avvenuto genocidio . Alla
luce degli studi di Claudia Koonz e della teoria del modernismo e
attivismo del partito in favore delle donne , ho avanzato l’ipotesi
che l’idea di appartenenza ad un gruppo , ad un partito , ad una
associazione abbia costituito un mantello di protezione , di
sicurezza; un terreno dove affermare la propria soggettività per
secoli avvilita; la possibilità di uscire dall’anonimato e
brillare di luce riflessa. L’identificazione acritica ad
un’ideologia , partitica o associazionista rischia di coniugarsi
con un processo di omologazione che riconduce alla subalternità e
all’anonimato.
|