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Nebbia in agosto

 di Kai  Wessel

a cura di Maria Grazia Riveruzzi

 

Produzione: Ulrich Limmer

 Genere: drammatico

Interpreti: Ivo Pietzker  ( Ernst Lossa )

Sebastian Koch ( dott. Walter Veithausen )  

Fritzi Haberlandt ( suor Sophia )

Henriette Confurius ( Edth Kiefer )

 David Bennent ( Ojia )

 Karl Markovics ( Christian Lossa )

 Thomas Schubert ( Paul Hechtle)

 Branko SAmarovski ( Max Witt )

Jule Hermann ( Nandl ) , Niklas Post (Josef )

Sceneggiatura: Holger Karsten Schmidt

Fotografia: Hagen Bogdanski

Montaggio : Tina Freitag

Costumi: Esther Amuser

Distribuzione : Collina filmproduktion e Studio Canal ( Germania 2016 )



Sinossi

Germania, anni ‘40 . E’ la storia vera di Ernst Lossa (Ivo Pietzcker), un ragazzino tredicenne, nato ad Augusta da una famiglia Jenisch, il ceppo nomade di zingari a cui fu applicata la legge razziale , come per gli Ebrei , dopo l’ascesa di Hitler al potere.

 Orfano di madre e con un padre ambulante non in grado di mantenerlo , fu affidato a varie case e  riformatori  . Dopo un’infanzia priva di affetti  e ricca di maltrattamenti, viene giudicato “non educabile”, perché ribelle e indisciplinato e viene confinato nel 1944 nell’unità psichiatrica di Kaufbeuren. Ernst è sano ed intelligente e presto si accorge  della sparizione misteriosa di alcuni malati . Non corre molto tempo dalla scoperta dei delitti perpetrati nell’istituto sotto la supervisione del dottor Veithausen . Perciò Lossa inizia ad opporre resistenza , aiutando i compagni più deboli e organizzando  con loro delle piccole ribellioni. Ma Ernst è in grave pericolo , è diventato una spina nel fianco del dottore . Decide quindi di fuggire insieme a Nandl, il suo primo amore… Purtroppo eventi improvvisi  lo costringono a rimandare il progetto…

Il professor Michael von Cranach, direttore della clinica psichiatrica di Kufbeuren dal 1980 al 2006  ha contribuito a fare luce sui crimini dell’eutanasia perpetrati negli istituti psichiatrici negli anni ’40 e ha fornito consulenza storica alla produzione cinematografica del film .

Regista

Kai Wessel

Nato il 19 settembre 1961 ad Amburgo , in Germania . Si è distinto per acclamati film storici .Ha diretto nel 2002 “ The Kear of the fist kiss “ ; nel 2007 “ Intemperie” ; nel 2009 “ Hilde “ ; nel 2010 “ Es war einer youns “ e nel 2016 “ Nebbia in agosto”.




Si è occupato anche di televisione , realizzando in 12 puntate “ Klemperer-Ein LebenIn Deutschland“ (1999), in cui raccontava la storia dell’intellettuale ebreo Victor Klemperer durante il Terzo Reich.

In “ Hilde “, film presentato alla Berlinale , il cineasta ripercorre la vita di una vera e propria icona tedesca : l’attrice e cantante Hildergarde Knef . Con questo film biografico , nato da un’idea della produttrice Judy Tossell , Kai Wessel è salito allaribalta del cinema internazionale.

Per questa sua predisposizione a portare sullo schermo fatti e personaggi storici, il produttore Limmer , affascinato dalla storia del piccolo Ernst Lossa, si è rivolto a  Wessel per la realizzazione e direzione del film “ Nebbia in agosto”.

Il regista confessa che la sua opera non voleva essere soltanto una denuncia del massacro di migliaia di bambini , vittime del programma nazista di eutanasia; la finalità intrinseca era quella di mettere a confronto  questo argomento con i giovani  porli di fronte ad una storia commovente e avvincente che rispetta la realtà dei fatti.

Recensione

Se c’è un mezzo di denuncia più spettacolare, più toccante e più immediato , questo è il cinema. Film tratti da romanzi veritieri o ispirati da fatti realmente accaduti svelano ciò che viene taciuto o ignorato dalla storiografia ufficiale, dalla stampa, dal mondo della cultura in generale .

Sono le storie particolari , quelle individuali più di quelle di massa a farci comprendere e sentire con empatia l’orrore delle grandi tragedie umane.



Sono le storie a cui puoi dare un nome , un volto , una vita propria, colta nella sua quotidianità da una regia attenta e sensibile , a commuoverci.

Ne sono una prova personaggi  come Madeleine Pauliac (alias Mathilde ), evocata alla memoria da Anne Fontaine nel film “Agnus dei” ;  Sophie Scholl e il fratello, condannati alla pena capitale dalla Gestapo per essersi opposti al nazismo e ricordati da Marc Rothemund nel film “ La rosa bianca” ; la coraggiosa bambina  Fanny che portò in salvo in Svizzera i suoi compagni ebrei e che viene celebrata dalla regista Lola Doillon in “IL viaggio di Fanny”. E ora in Nebbia di agosto” possiamo conoscere un altro piccolo eroe Ernst Lossa , un ragazzino , ribelle , indisciplinato , ma capace di grandi gesti di pietà e di umanità nei confronti dei suoi compagni di sventura.




Il regista Kai Wessel si è ispirato al romanzo omonimo di Robert Domes , pubblicato nel 2008 , dove si racconta la storia realmente accaduta di Ernst , un tredicenne sveglio e intelligente , ma disadattato  e definito dal regime “ non educabile “ ; pertanto sarà internato in un istituto psichiatrico . A portare alla luce la vicenda del piccolo Lossa e delle migliaia di vittime innocenti del programma di eutanasia , messo in atto negli anni ‘ 40 dalla Germania nazista , sono state le ricerche storiche del professore Michael von Cranach , direttore della clinica psichiatrica di Kaufleuren dal 1980 al 2006 e consulente al film. Ma spetta a Robert Domes e a Kai Wessel il merito di aver riesumata dalla polvere del’oblio una delle tante e terribili storie vere svoltasi ai margini dei campi di concentramento.

La  Shoah, intesa nel senso di “ catastrofe ,” sterminio” e designata  di solito a una componente considerevole di Ebrei , in realtà  si estese anche a gruppi della popolazione tedesca , zingari , omosessuali , disabili , malati incurabili che finirono nel programma di epurazione dei regimi nazi-fascisti .

 Il film svela le raccapriccianti conseguenze del programma nazista di eutanasia, chiamato Action T 14, in grado tra il 1939 e il 1944 di uccidere oltre 200 mila pazienti all’interno degli ospedali psichiatrici ( con camere a gas, con avvelenamento o con denutrizione) . Tra questi 200 mila , 5000 erano bambini e ragazzi , disabili , handicappati o incapaci di lavorare.

Il meccanismo, freddo e razionale, di depurare la razza ariana da elementi nocivi e imperfetti fu possibile grazie alla collaborazione di molte volontarie /i . A partire dal 1939 spettò alle levatrici , infermiere, ostetriche , medici segnalare alle autorità di Berlino ogni soggetto deviante fino ad occuparsi , nella fase finale, direttamente della soppressione dei pazienti incurabili . Ernst Lossa ( Ivo Pietzker , classe 2002) , benchè sano , fu eugenizzato per avere scoperto le nefandezze perpetrate nell’istituto  , per essersi ribellato alla disumana macchina nazista . Era diventato una spina al fianco del dottor Walter  Veithausen,  autore della teoria “più umana“ e “più economica“ della “non nutrizione” e responsabile in seguito della morte di almeno 1200 soggetti.

Collaborarono con lui, in particolare, suor Sophia ( Fritzi Haberlandt ) e l’infermiera Edith Kiefer ( Henriette Confurius ) , denominata l’angelo della morte  perchè dispensava ai bambini del veleno nel succo di lampone o zuppa di verdura stracotta e priva di nutrimento ai pazienti adulti . Dopo alcuni anni di carcere, i responsabili degli eccidi furono amnistiati: il medico nel 1954 e l’ infermiera Kiefer , autrice di 200 soppressioni, pochi anni dopo ha ripreso il suo lavoro proprio nei reparti pediatrici .



Per tutta la narrazione la regia mantiene alta la tensione e in costante suspence lo spettatore/trice.  Il film appartiene ad un genere di thriller melodrammatico a cui fa da sfondo una scenografia desolante e deprimente, caratterizzata da un’ambientazione estetica cupa e grigiastra rotta dal biancore dei teli delle lenzuola. Con sapienza ed intelligenza Wessel riproduce sullo schermo “la normalità del male“, perché l’eliminazione di esseri umani avviene tra sorrisi , tra canti di accompagnamento alle camere a gas ,  con gesti caritatevoli e  volti pietosi. Gli stessi dialoghi dei carnefici, volti a giustificare il loro operato, contengono una logica così astringente da essere quasi convincente nella sua irrazionalità .

Ma la parabola agghiacciante di Ernest, bambino indomito , che rivendica il diritto di vivere per sé e per i suoi compagni, lascia allo spettatore /trice un senso di disgusto e di rabbia, quando si perde la speranza del trionfo del bene sul male .

Storia

Quando si pensa alla violenza, al serial killer, si pensa al mondo maschile. Alla donna è assegnata la cura , la protezione dei minori, la conduzione della famiglia. Ma la storia dimostra il contrario.

La storica Claudia Koonz In una sua ricerca storiografica sul ruolo delle donne nel Terzo Reich, pubblicata… col titolo “ Le donne del Terzo Reich” ha dimostrato con sua grande sorpresa che le tedesche , da un punto di vista sociale e politico , collaborarono attivamente alla diffusione e realizzazione dell’ideologia nazista con la stessa convinzione e dedizione del genere maschile. Il ruolo delle donne del Terzo Reich non corrispondeva all’immagine tradizionale di subalternità e di marginalità, ma svolgeva attività di grande importanza sia nel sociale che in politica.

Hitler stesso andò al potere grazie al voto delle donne che lo sostennero sin dagli esordi. In cambio  favorì l’istituzione del Ministero delle donne

(Frauenministerium) a capo del quale fu posta la fuhrerin Gertrud-Klink .

Era un’organizzazione comandata e formata da sole donne appartenenti a tutte le classi sociali e offriva loro di uscire dalle mura di casa e di contribuire fattivamente al benessere del popolo tedesco. Era un’emancipazione femminile che non interferiva con l’egemonia maschile, ma consentiva a tutte di misurarsi con la realtà esterna .

L’ideologia nazionalsocialista, se da un lato veicolava l’immagine di donna custode della stirpe ariana, dall’altra le offriva inedite possibilità di lavoro , forme di attività sociale, di volontariato, di impegno politico.

Nacquero strutture femminili parallele a quelle maschili o in alternativa, dove poter esercitare un ruolo di protagonismo sociale. Alcune furono la macchina di propaganda di Goebbels, altre proiettavano le loro fantasie di potere su Hitler .

Più volte mi sono chiesta come fosse stata possibile una tale complicità femminile con il partito nazionalsocialista e con l’ideologia razzista  al punto di cooperare all’avvenuto genocidio . Alla luce degli studi di Claudia Koonz e della teoria del modernismo e attivismo del partito in favore delle donne , ho avanzato l’ipotesi che l’idea di appartenenza ad un gruppo , ad un partito , ad una associazione abbia costituito un mantello di protezione , di sicurezza; un terreno dove affermare la propria soggettività per secoli avvilita; la possibilità di uscire dall’anonimato e brillare di luce riflessa. L’identificazione acritica ad un’ideologia , partitica o associazionista rischia di coniugarsi con un processo di omologazione che riconduce alla subalternità e all’anonimato.

 
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