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GLI ANNI

 

 a cura di Ketty Fragalà





 

Autrice Annie Ernaux

Editore  L’orma

Anno 2016

Collana Kreuzville Aleph

Pagine 266

 

 

 

 

 

 



Quello che Annie Ernaux tenta ne “Gli anni”, romanzo uscito in Francia nel 2008, è di indagare come il tempo vissuto si trasformi nel tempo delle nostre vite e lo fa scrivendo un romanzo autobiografico che intreccia la sua storia personale con quella collettiva, disegnando un affresco che si impone come cronaca del nostro mondo.

Annie Ernaux nasce a Lillebonne il I settembre 1940, trascorre l’infanzia e la giovinezza in un contesto sociale modesto. I genitori erano prima operai, poi commercianti. Frequenta una scuola cattolica, poi, per completare i suoi studi, si trasferisce a Rouen dove frequenta l’università e si laureerà in lettere moderne. Successivamente vincerà un concorso e sarà professoressa di lettere prima al College d’Evire ad Annency e poi al Centro Nazionale d’Insegnamento a Distanza (CNED). Nel 1964, all’età di 24 anni si sposa con un uomo, conosciuto durante il periodo universitario, che appartiene alla borghesia di Bordeaux e dal matrimonio, che durerà fino al 1982, nascono due figli.

Entra nel mondo della letteratura nel 1974 con un romanzo autobiografico “Les armoires vides”. Anche nei romanzi successivi i temi trattati riguardano sempre la sua vita, la sua adolescenza, il suo matrimonio, il difficile rapporto col padre, morto quando la scrittrice aveva 27 anni, la figura della madre ,malata d'Alzaimer  e  ancora la sua passione amorosa dopo il divorzio.

Ora è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera è stata di recente consacrata dall’editore Gallimard, che nel 2011 ne ha raccolto gli scritti principali in un volume unico nella prestigiosa collana Quarto. Nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in un acuminato strumento di indagine sociale, politica , esistenziale.

Amata da generazioni di lettori e studenti, le sue opere maggiori sono “Il posto” (1983) considerato un classico contemporaneo, “Gli anni” (2008) "romanzo mondo" salutato come uno dei capolavori dei nostri tempi. Da poco è stato pubblicato “L’altra figlia”.

Ne “Gli anni”, Annie Ernaux tenta di catturare le immagini di quel “tempo in cui non saremo mai più" (pag. 264). La citazione iniziale tratta dall’opera di Ortega y Gasset dice: “Abbiamo solo la nostra storia ed essa non ci appartiene”. E’ molto bello e illuminante un pensiero di Céchov, posto in esergo:

Sì. Dimenticheranno.  E’ il nostro destino, non ci si può fare nulla. Ciò che a noi sembra serio, significativo, molto importante, col passare del tempo sarà dimenticato e sembrerà irrilevante. Ed è curioso che noi oggi non possiamo assolutamente sapere che cosa domani sarà ritenuto sublime, importante e cosa meschino, ridicolo[…].E la nostra vita, che oggi viviamo con tanta naturalezza, apparirà col tempo strana e scomoda, priva di intelligenza, non sufficientemente pura, forse addirittura immorale”( Anton Céchov).

Una citazione che mette in evidenza come si rischia di scontrarsi contro l’oblio, contro quelle immagini  che prima o dopo, scompariranno tutte, ma a cui è necessario attaccarsi nel tentativo di avvicinarle, di ritardare il più possibile la caduta nel buco nero della memoria.

 Il nodo affrontato nel libro è comprendere come il tempo che abbiamo vissuto diviene la nostra vita e così il testo è sì autobiografico, ma anche cronaca collettiva del nostro mondo dal dopoguerra ad oggi, nodo che l’autrice scioglie attraverso la bellissima fusione tra la voce individuale e il coro della Storia.

Il libro racconta la vita  di una donna nata nel 1940 che vive esperienze  comuni a molte persone che si muovono nel suo ambiente e nel suo tempo: un’infanzia relativamente tranquilla negli anni della ricostruzione, la guerra, conosciuta soprattutto attraverso le parole dei genitori e dei parenti, la tormentata scoperta adolescenziale del corpo, la gioventù, il matrimonio, la nascita dei figli, la separazione, una nuova pseudo gioventù tardiva da single con i figli ormai autonomi e lontani. Cresciuta nella Francia rurale, Ernaux diventa adulta in un paese che abbandona i modi di vivere tradizionali, contadini, religiosi e si trasforma in una società laica, edonistica e inurbata. E così troviamo la liberazione dal Nazismo, l ’Algeria, la maternità, de Gaulle, il ’68 vissuto con l’illusione di un nuovo inizio, l’emancipazione femminile. Gli anni '80 in cui l’autrice confluisce in una nuova classe media perfettamente integrata nel sistema. Gli anni '90 e il 2000 in un mondo che diventa globale in cui la vita privata sembra separarsi dagli eventi pubblici e questi ultimi appaiono  meccanismi astratti, conflitti incomprensibili, eventi televisivi (11 settembre 2001)  e vive con distanza e stupore la rivoluzione informatica e il continuo rinnovamento tecnologico.

E questa storia collettiva e individuale è narrata attraverso la descrizione di fotografie, video che raccontano pranzi di giorni di festa, amicizie, eventi personali e familiari.

In questa “autobiografia impersonale” come la definisce la stessa scrittrice, la narrazione non è affidata "all'io”, ma, rispondendo proprio alla molteplicità da cui parte il suo progetto di storia collettiva, è affidata al “noi”. Ed è proprio questo che rende singolare questa trama apparentemente classica: l’inversione del rapporto ordinario fra il piano soggettivo e lo sfondo impersonale. Ne “Gli Anni” la superficie narrativa è occupata in buona parte dall’epoca dalle forme della vita sociale, dai costumi, dal rapporto tra le generazioni e fra i sessi. Per raccontare l’ambiente che sta intorno e dentro le biografie, l’autrice usa l’imperfetto, col quale già Flaubert aveva creato un nuovo modo di vedere le cose, costruendo un universo narrativo in cui la vita scorre via, come se i personaggi non avessero mai una parte attiva nell’azione. L’Ernaux se ne serve in modo estremistico e lo rafforza usando il pronome di prima persona plurale. Quindi è attraverso un sentire comune che un’intera generazione si può rispecchiare (anche se non si deve dimenticare che le vicende avvengono in Francia e che quindi molti riferimenti sono direttamente francesi, ma non del tutto sconosciuti al lettore italiano).

 La lettura del libro mi ha fatto rivivere fatti e personaggi che in quel periodo si verificavano in Italia quasi in una sorta di parallelismo nel quale mi sono riconosciuta (soprattutto, vista la differenza d’età, dalla fine degli anni 60 in poi.)

Ma ci sono fatti comuni come la caduta del muro di Berlino e soprattutto l’attentato alle torri Gemelle (11 settembre 2001) quel momento “che non poteva essere creduto, né pensato, né sentito, soltanto visto e rivisto sullo schermo di un televisore” (pag. 229)

Scrive l’Ernaux “tutti cercavano di ricordare in che attività  fossero impegnati nel momento esatto in cui il primo aereo aveva colpito la torre del World Trade Center, mentre coppie si tenevano per mano e si gettavano nel vuoto".

E come non condividere il pensiero dell’autrice quando si sofferma sui cambiamenti epocali, sul passaggio da un periodo all’altro che evidenziano, per esempio, come cambia il rapporto con le cose, con il desiderio, l’attesa di possederle di una volta, in antitesi con la velocità e l’utilizzo delle cose di oggi. Le cose “si offrivano agli sguardi e alle ammirazioni altrui”. Come se  custodissero “un mistero e una magia che non si esauriva né  nella contemplazione né  nell’uso” (pag. 44)a differenza di oggi quando, quasi senza accorgersene si è passati dal videoregistratore, al lettore DVD, dalla macchina fotografica alla digitale, all’MP3, all’ADSL, allo schermo piatto, in una rincorsa continua e vana contro l’invecchiamento. Una volta, ad esempio, si ascoltava più volte lo stesso disco senza mai stancarsene e si condivideva l’ascolto: con l’avvento del walkman l’esperienza dell’ascolto diventa un fatto estremamente personale, che esclude il mondo. Molto condivisibile è il racconto dell’esperienza universitaria, in cui, persi nella lettura dei classici e nelle nuove amicizie, ci si sente quasi estranei verso la propria famiglia, che rimane in paese, mentre si vive in città, si frequentano i corsi universitari cercando di finire gli studi per poi entrare nel mondo dell’insegnamento in attesa di costruirsi una famiglia.

E poi, una volta avuta la stabilità lavorativa e affettiva, ci si trova ad appartenere a quella classe media in cui ci sono giornate festive caratterizzate dai pranzi con i parenti o con amici mentre i bambini giocano. E si arriva così alla conclusione di essere diventata “una piccola borghese fatta e finita” iniziando a rimpiangere ciò che non si è potuto fare prima e che adesso è troppo tardi per provare a fare, in un pensiero che si fissa su questa immobilità e che pretende un cambiamento, una maggiore libertà.

Ed ecco il divorzio, i figli che ormai sono grandi e vanno via di casa, una ritrovata libertà,  passioni che fanno pensare che la vita possa rinnovarsi.

Non si può non condividere quello che scrive a proposito dell’avvento delle società dei consumi. Con la “tendenza generale di spendere, di appropriarsi in maniera risoluta delle cose e dei beni non necessari”, tenendo ben presente che “gli ideali del Maggio parigino si convertivano in oggetti e in intrattenimenti” (pag. 127-128). Bella poi la riflessione sul peso che comincia ad avere la televisione come mezzo di comunicazione di massa: solo i fatti mostrati dalla televisione davano accesso alla realtà, lo Stato si allontanava dai cittadini e si avvicinava sempre di più ai media, mostrando “ i politici… in solenni messe in scena…A sentirli snocciolare tutte quelle cifre, senza un attimo di esitazione, nel non vederli mai messi in difficoltà, veniva il dubbio che conoscessero già in anticipo le domande”. (pag. 160) Inizia l’epoca delle cifre, dell’ambiguità, della impossibile chiarezza, cifre che esprimono solo fatalità e determinismo.

L' Ernaux con il suo romanzo sembra costruire un ponte che  attraversa  tutto il '900, fissando con tratti  lucidi ed essenziali i momenti più salienti,  non solo della storia,  ma, anche  e soprattutto,  della storia delle donne,  delle conquiste delle donne,  senza slanci emotivi e forzature  ideologiche , pur dimostrando una forte appartenenza culturale a quei movimenti che tanto hanno inciso e cambiato  le strutturate e stereotipate  concezioni che tanto hanno condizionato  nei secoli la figura femminile.

"La ricerca del tempo  perduto passa dal web" (pag. 245), così scrive parlando di come con l' avvento di internet  e dei social  si possono  ritrovare vecchi  compagni, dati e articoli che altrimenti sarebbero persi.

Ad un  certo punto del libro l’autrice parla delle motivazioni che l’hanno spinta a scrivere “ le è venuta l’idea  di scrivere una sorta di destino di donne, tra il 1940 e il 1984. Qualcosa come “Una vita” di Maupassant in cui poter percepire il passaggio del tempo in lei e fuori di lei, nella Storia, un “romanzo totale” che si sarebbe concluso "con la spossessione di esseri e cose, genitori, marito, figli che se ne vanno di casa, mobili venduti". (pag. 174) E si ispira ancora a Stendhal “Vita di Henry Brulard” poiché l’autrice ha ben chiaro il suo progetto: “unificare la molteplicità di quelle immagini di sé, separate, non accordate tra loro, tramite il filo di un racconto, quello della sua esistenza, dalla nascita durante la seconda guerra mondiale fino ad oggi". (pag.190)

Si tratta quindi dell’esistenza di un singolo individuo che si intreccia e in conclusione si fonde con il movimento di generazioni intere.

A pag. 263-264 scrive: “Sarà una narrazione scivolosa, in un imperfetto continuo che divori via via il presente fino all’ultima immagine di una vita” . In quella  che lei vede come una sorte di autobiografia impersonale non ci sarà nessun “io” ma un “si” e un “noi”.

Il suo inavvicinabile modello, ma dal quale si distingue nettamente, rimane Marcel Proust, spesso citato nel libro. A lui si ispira per descrivere, come fece lui, un’esistenza che si intreccia con il volgere del mondo di una generazione e di una società intera.

 “La ricerca del tempo perduto” cerca di far conoscere una vita analizzandola , come materia ricca, piena di aura e di dettagli e l' io narrante proustiano  rievoca e analizza vicende e stati d’animo in una sottile, costante analisi dei moti più segreti del cuore facendo della Ricerca un capolavoro assoluto di analisi psicologica di studio della vita intera. “Gli anni” si fissano sulla serialità dei destini, mentre la Recherche si dilunga nelle sfumature perché racconta la vita di persone che si distinguono dalle masse, “Gli anni”, narra le esistenze ordinarie di contadini inurbati, di membri della classe media post-bellica, frequentatori di supermercati, pendolari. Mentre l’opera di Proust occupa sette volumi, soprattutto perché il mondo di cui si parla è analizzato nelle minime differenze di sensazione e nel fluire dei ricordi, “Gli anni”, si chiudono in meno di 300 pagine, perché alla fine tutto sembrerà identico, tutto sparirà, mentre il  passato in Proust è rivissuto e recuperato non attraverso la successione ordinata degli avvenimenti, ma attraverso la memoria stimolata da associazioni di idee e da analogie di sensazioni ed emozioni.

Ciò che resta è lo sguardo analitico, riflessivo con cui l’Ernaux fissa alcuni ricordi, è l’immagine della condizione umana: l’esistenza impropria che stiamo vivendo è a tutti gli effetti la nostra vita; la accogliamo come se fosse solo nostra , anche se sappiamo che in effetti non è così; cerchiamo di trovarvi una felicità e un senso momentanei; vorremmo salvarla dal tempo, perché è tutto ciò che abbiamo.

E’ lo stile narrativo che colpisce in questa scrittrice.  L’impersonale precede e sovrasta le scelte personali. Queste ultime accadono nelle lacune del testo, non vengono raccontate. E’ vero che parte dal commento di foto e di video che la ritraggono in una certa stagione della vita, ma gli eventi decisivi che hanno dato forma a questa stagione restano spazi bianchi. Il passato non è visto come esperienza vissuta, entra come immagine esposta con frasi cariche di un’aura tutta privata (“Il balletto  delle automobiline all’autoscontro, la camera d’albergo a Roma, le filastrocche”.)

Il passato sembra un’immagine morta e l’interpretazione a distanza cerca di dargli un senso usando categorie storiche, sociologiche, antropologiche, sapendo però che fra la bambina, la ragazza, la donna della foto e del video e colei che si rivede a distanza di decenni sussiste una relazione tenue o inesistente.

Forse proprio  per questa spersonalizzazione, per questa oggettiva inappartenenza della vita alla persona che la vive, che questa scrittura piace. E ne “Gli anni” questo senso si spossessione è triplice, perché riguarda la relazione col proprio passato, la relazione con gli altri, la relazione col proprio tempo.

 

 

 

 
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