Sei su Archivio / 2017 / libri
GLI
ANNI
a
cura di Ketty Fragalà
Autrice
Annie Ernaux
Editore
L’orma
Anno
2016
Collana
Kreuzville Aleph
Pagine
266
Quello
che Annie Ernaux tenta ne “Gli anni”, romanzo uscito in Francia
nel 2008, è di indagare come il tempo vissuto si trasformi nel tempo
delle nostre vite e lo fa scrivendo un romanzo autobiografico che
intreccia la sua storia personale con quella collettiva, disegnando
un affresco che si impone come cronaca del nostro mondo.
Annie
Ernaux nasce a Lillebonne il I settembre 1940, trascorre l’infanzia
e la giovinezza in un contesto sociale modesto. I genitori erano
prima operai, poi commercianti. Frequenta una scuola cattolica, poi,
per completare i suoi studi, si trasferisce a Rouen dove frequenta
l’università e si laureerà in lettere moderne. Successivamente
vincerà un concorso e sarà professoressa di lettere prima al
College d’Evire ad Annency e poi al Centro Nazionale d’Insegnamento
a Distanza (CNED). Nel 1964, all’età di 24 anni si sposa con un
uomo, conosciuto durante il periodo universitario, che appartiene
alla borghesia di Bordeaux e dal matrimonio, che durerà fino al
1982, nascono due figli.
Entra
nel mondo della letteratura nel 1974 con un romanzo autobiografico
“Les armoires vides”. Anche nei romanzi successivi i temi
trattati riguardano sempre la sua vita, la sua adolescenza, il suo
matrimonio, il difficile rapporto col padre, morto quando la
scrittrice aveva 27 anni, la figura della madre ,malata d'Alzaimer
e ancora la sua passione amorosa dopo il divorzio.
Ora
è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese.
Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera è stata di
recente consacrata dall’editore Gallimard, che nel 2011 ne ha
raccolto gli scritti principali in un volume unico nella prestigiosa
collana Quarto. Nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità
dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in
un acuminato strumento di indagine sociale, politica , esistenziale.
Amata
da generazioni di lettori e studenti, le sue opere maggiori sono “Il
posto” (1983) considerato un classico contemporaneo, “Gli anni”
(2008) "romanzo mondo" salutato come uno dei capolavori dei
nostri tempi. Da poco è stato pubblicato “L’altra figlia”.
Ne
“Gli anni”, Annie Ernaux tenta di catturare le immagini di quel
“tempo in cui non saremo mai più" (pag. 264). La citazione
iniziale tratta dall’opera di Ortega y Gasset dice: “Abbiamo solo
la nostra storia ed essa non ci appartiene”. E’ molto bello e
illuminante un pensiero di Céchov, posto in esergo:
“ Sì.
Dimenticheranno. E’ il nostro destino, non ci si può fare
nulla. Ciò che a noi sembra serio, significativo, molto importante,
col passare del tempo sarà dimenticato e sembrerà irrilevante. Ed è
curioso che noi oggi non possiamo assolutamente sapere che cosa
domani sarà ritenuto sublime, importante e cosa meschino,
ridicolo[…].E la nostra vita, che oggi viviamo con tanta
naturalezza, apparirà col tempo strana e scomoda, priva di
intelligenza, non sufficientemente pura, forse addirittura immorale”(
Anton Céchov).
Una
citazione che mette in evidenza come si rischia di scontrarsi contro
l’oblio, contro quelle immagini che prima o dopo,
scompariranno tutte, ma a cui è necessario attaccarsi nel tentativo
di avvicinarle, di ritardare il più possibile la caduta nel buco
nero della memoria.
Il
nodo affrontato nel libro è comprendere come il tempo che abbiamo
vissuto diviene la nostra vita e così il testo è sì
autobiografico, ma anche cronaca collettiva del nostro mondo dal
dopoguerra ad oggi, nodo che l’autrice scioglie attraverso la
bellissima fusione tra la voce individuale e il coro della Storia.
Il
libro racconta la vita di una donna nata nel 1940 che vive
esperienze comuni a molte persone che si muovono nel suo
ambiente e nel suo tempo: un’infanzia relativamente tranquilla
negli anni della ricostruzione, la guerra, conosciuta soprattutto
attraverso le parole dei genitori e dei parenti, la tormentata
scoperta adolescenziale del corpo, la gioventù, il matrimonio, la
nascita dei figli, la separazione, una nuova pseudo gioventù tardiva
da single con i figli ormai autonomi e lontani. Cresciuta nella
Francia rurale, Ernaux diventa adulta in un paese che abbandona i
modi di vivere tradizionali, contadini, religiosi e si trasforma in
una società laica, edonistica e inurbata. E così troviamo la
liberazione dal Nazismo, l ’Algeria, la maternità, de Gaulle, il
’68 vissuto con l’illusione di un nuovo inizio, l’emancipazione
femminile. Gli anni '80 in cui l’autrice confluisce in una nuova
classe media perfettamente integrata nel sistema. Gli anni '90 e il
2000 in un mondo che diventa globale in cui la vita privata sembra
separarsi dagli eventi pubblici e questi ultimi appaiono
meccanismi astratti, conflitti incomprensibili, eventi televisivi (11
settembre 2001) e vive con distanza e stupore la rivoluzione
informatica e il continuo rinnovamento tecnologico.
E
questa storia collettiva e individuale è narrata attraverso la
descrizione di fotografie, video che raccontano pranzi di giorni di
festa, amicizie, eventi personali e familiari.
In
questa “autobiografia impersonale” come la definisce la stessa
scrittrice, la narrazione non è affidata "all'io”, ma,
rispondendo proprio alla molteplicità da cui parte il suo progetto
di storia collettiva, è affidata al “noi”. Ed è proprio questo
che rende singolare questa trama apparentemente classica:
l’inversione del rapporto ordinario fra il piano soggettivo e lo
sfondo impersonale. Ne “Gli Anni” la superficie narrativa è
occupata in buona parte dall’epoca dalle forme della vita sociale,
dai costumi, dal rapporto tra le generazioni e fra i sessi. Per
raccontare l’ambiente che sta intorno e dentro le biografie,
l’autrice usa l’imperfetto, col quale già Flaubert aveva creato
un nuovo modo di vedere le cose, costruendo un universo narrativo in
cui la vita scorre via, come se i personaggi non avessero mai una
parte attiva nell’azione. L’Ernaux se ne serve in modo
estremistico e lo rafforza usando il pronome di prima persona
plurale. Quindi è attraverso un sentire comune che un’intera
generazione si può rispecchiare (anche se non si deve dimenticare
che le vicende avvengono in Francia e che quindi molti riferimenti
sono direttamente francesi, ma non del tutto sconosciuti al lettore
italiano).
La
lettura del libro mi ha fatto rivivere fatti e personaggi che in quel
periodo si verificavano in Italia quasi in una sorta di parallelismo
nel quale mi sono riconosciuta (soprattutto, vista la differenza
d’età, dalla fine degli anni 60 in poi.)
Ma
ci sono fatti comuni come la caduta del muro di Berlino e soprattutto
l’attentato alle torri Gemelle (11 settembre 2001) quel momento
“che non poteva essere creduto, né pensato, né sentito, soltanto
visto e rivisto sullo schermo di un televisore” (pag. 229)
Scrive
l’Ernaux “tutti cercavano di ricordare in che attività
fossero impegnati nel momento esatto in cui il primo aereo aveva
colpito la torre del World Trade Center, mentre coppie si tenevano
per mano e si gettavano nel vuoto".
E
come non condividere il pensiero dell’autrice quando si sofferma
sui cambiamenti epocali, sul passaggio da un periodo all’altro che
evidenziano, per esempio, come cambia il rapporto con le cose, con il
desiderio, l’attesa di possederle di una volta, in antitesi con la
velocità e l’utilizzo delle cose di oggi. Le cose “si offrivano
agli sguardi e alle ammirazioni altrui”. Come se custodissero
“un mistero e una magia che non si esauriva né nella
contemplazione né nell’uso” (pag. 44)a differenza di oggi
quando, quasi senza accorgersene si è passati dal videoregistratore,
al lettore DVD, dalla macchina fotografica alla digitale, all’MP3,
all’ADSL, allo schermo piatto, in una rincorsa continua e vana
contro l’invecchiamento. Una volta, ad esempio, si ascoltava più
volte lo stesso disco senza mai stancarsene e si condivideva
l’ascolto: con l’avvento del walkman l’esperienza dell’ascolto
diventa un fatto estremamente personale, che esclude il mondo. Molto
condivisibile è il racconto dell’esperienza universitaria, in cui,
persi nella lettura dei classici e nelle nuove amicizie, ci si sente
quasi estranei verso la propria famiglia, che rimane in paese, mentre
si vive in città, si frequentano i corsi universitari cercando di
finire gli studi per poi entrare nel mondo dell’insegnamento in
attesa di costruirsi una famiglia.
E
poi, una volta avuta la stabilità lavorativa e affettiva, ci si
trova ad appartenere a quella classe media in cui ci sono giornate
festive caratterizzate dai pranzi con i parenti o con amici mentre i
bambini giocano. E si arriva così alla conclusione di essere
diventata “una piccola borghese fatta e finita” iniziando a
rimpiangere ciò che non si è potuto fare prima e che adesso è
troppo tardi per provare a fare, in un pensiero che si fissa su
questa immobilità e che pretende un cambiamento, una maggiore
libertà.
Ed
ecco il divorzio, i figli che ormai sono grandi e vanno via di casa,
una ritrovata libertà, passioni che fanno pensare che la vita
possa rinnovarsi.
Non
si può non condividere quello che scrive a proposito dell’avvento
delle società dei consumi. Con la “tendenza generale di spendere,
di appropriarsi in maniera risoluta delle cose e dei beni non
necessari”, tenendo ben presente che “gli ideali del Maggio
parigino si convertivano in oggetti e in intrattenimenti” (pag.
127-128). Bella poi la riflessione sul peso che comincia ad avere la
televisione come mezzo di comunicazione di massa: solo i fatti
mostrati dalla televisione davano accesso alla realtà, lo Stato si
allontanava dai cittadini e si avvicinava sempre di più ai media,
mostrando “ i politici… in solenni messe in scena…A sentirli
snocciolare tutte quelle cifre, senza un attimo di esitazione, nel
non vederli mai messi in difficoltà, veniva il dubbio che
conoscessero già in anticipo le domande”. (pag. 160) Inizia
l’epoca delle cifre, dell’ambiguità, della impossibile
chiarezza, cifre che esprimono solo fatalità e determinismo.
L'
Ernaux con il suo romanzo sembra costruire un ponte che
attraversa tutto il '900, fissando con tratti lucidi ed
essenziali i momenti più salienti, non solo della storia,
ma, anche e soprattutto, della storia delle donne,
delle conquiste delle donne, senza slanci emotivi e forzature
ideologiche , pur dimostrando una forte appartenenza culturale a quei
movimenti che tanto hanno inciso e cambiato le strutturate e
stereotipate concezioni che tanto hanno condizionato nei
secoli la figura femminile.
"La
ricerca del tempo perduto passa dal web" (pag. 245), così
scrive parlando di come con l' avvento di internet e dei
social si possono ritrovare vecchi compagni, dati e
articoli che altrimenti sarebbero persi.
Ad
un certo punto del libro l’autrice parla delle motivazioni
che l’hanno spinta a scrivere “ le è venuta l’idea di
scrivere una sorta di destino di donne, tra il 1940 e il 1984.
Qualcosa come “Una vita” di Maupassant in cui poter percepire il
passaggio del tempo in lei e fuori di lei, nella Storia, un “romanzo
totale” che si sarebbe concluso "con la spossessione di esseri
e cose, genitori, marito, figli che se ne vanno di casa, mobili
venduti". (pag. 174) E si ispira ancora a Stendhal “Vita di
Henry Brulard” poiché l’autrice ha ben chiaro il suo progetto:
“unificare la molteplicità di quelle immagini di sé, separate,
non accordate tra loro, tramite il filo di un racconto, quello della
sua esistenza, dalla nascita durante la seconda guerra mondiale fino
ad oggi". (pag.190)
Si
tratta quindi dell’esistenza di un singolo individuo che si
intreccia e in conclusione si fonde con il movimento di generazioni
intere.
A
pag. 263-264 scrive: “Sarà una narrazione scivolosa, in un
imperfetto continuo che divori via via il presente fino all’ultima
immagine di una vita” . In quella che lei vede come una sorte
di autobiografia impersonale non ci sarà nessun “io” ma un “si”
e un “noi”.
Il
suo inavvicinabile modello, ma dal quale si distingue nettamente,
rimane Marcel Proust, spesso citato nel libro. A lui si ispira per
descrivere, come fece lui, un’esistenza che si intreccia con il
volgere del mondo di una generazione e di una società intera.
“La
ricerca del tempo perduto” cerca di far conoscere una vita
analizzandola , come materia ricca, piena di aura e di dettagli e l'
io narrante proustiano rievoca e analizza vicende e stati
d’animo in una sottile, costante analisi dei moti più segreti del
cuore facendo della Ricerca un capolavoro assoluto di analisi
psicologica di studio della vita intera. “Gli anni” si fissano
sulla serialità dei destini, mentre la Recherche si dilunga nelle
sfumature perché racconta la vita di persone che si distinguono
dalle masse, “Gli anni”, narra le esistenze ordinarie di
contadini inurbati, di membri della classe media post-bellica,
frequentatori di supermercati, pendolari. Mentre l’opera di Proust
occupa sette volumi, soprattutto perché il mondo di cui si parla è
analizzato nelle minime differenze di sensazione e nel fluire dei
ricordi, “Gli anni”, si chiudono in meno di 300 pagine, perché
alla fine tutto sembrerà identico, tutto sparirà, mentre il
passato in Proust è rivissuto e recuperato non attraverso la
successione ordinata degli avvenimenti, ma attraverso la memoria
stimolata da associazioni di idee e da analogie di sensazioni ed
emozioni.
Ciò
che resta è lo sguardo analitico, riflessivo con cui l’Ernaux
fissa alcuni ricordi, è l’immagine della condizione umana:
l’esistenza impropria che stiamo vivendo è a tutti gli effetti la
nostra vita; la accogliamo come se fosse solo nostra , anche se
sappiamo che in effetti non è così; cerchiamo di trovarvi una
felicità e un senso momentanei; vorremmo salvarla dal tempo, perché
è tutto ciò che abbiamo.
E’
lo stile narrativo che colpisce in questa scrittrice.
L’impersonale precede e sovrasta le scelte personali. Queste ultime
accadono nelle lacune del testo, non vengono raccontate. E’ vero
che parte dal commento di foto e di video che la ritraggono in una
certa stagione della vita, ma gli eventi decisivi che hanno dato
forma a questa stagione restano spazi bianchi. Il passato non è
visto come esperienza vissuta, entra come immagine esposta con frasi
cariche di un’aura tutta privata (“Il balletto delle
automobiline all’autoscontro, la camera d’albergo a Roma, le
filastrocche”.)
Il
passato sembra un’immagine morta e l’interpretazione a distanza
cerca di dargli un senso usando categorie storiche, sociologiche,
antropologiche, sapendo però che fra la bambina, la ragazza, la
donna della foto e del video e colei che si rivede a distanza di
decenni sussiste una relazione tenue o inesistente.
Forse
proprio per questa spersonalizzazione, per questa oggettiva
inappartenenza della vita alla persona che la vive, che questa
scrittura piace. E ne “Gli anni” questo senso si spossessione è
triplice, perché riguarda la relazione col proprio passato, la
relazione con gli altri, la relazione col proprio tempo.
|