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Il
cibo e le abitudini al tempo di Jane Austen
A
cura di Paola Nucciarelli
Liberamente
tratto da
La
casa, sopravvivenza della nazione. Donwell Abbey di
Mara Barbuni
integrato
con brani da EMMA di
Jane Austen
Menu,
abitudini e orari dei pasti
La
gentry, la piccola nobiltà
inglese di campagna, descritta da Jane Austen nei suoi romanzi aveva
abitudini molto formali e l’etichetta, anche nei riguardi della
tipologia e degli orari dei pasti, era particolarmente importante e
severa.
A
Chawton dove Jane Austen abitò dal 1809 a 1817, l’orario della
colazione era alle nove, cioè piuttosto presto per le abitudini del
tempo. A Godmersham, ad esempio, si faceva colazione alle dieci (come
a Barton Park in Ragione e sentimento o a casa di Mr. Gardiner
in Orgoglio e pregiudizio). Una colazione consumata ancora più
tardi era «di moda» nei ceti più alti.
Tali
abitudini lasciavano parecchio tempo libero tra il risveglio e il
primo pasto della giornata: Jane lo occupava suonando il pianoforte o
scrivendo lettere, in altre famiglie si era soliti dire le preghiere;
molti gentiluomini andavano a fare una passeggiata corroborante e le
donne uscivano a passeggio generalmente più tardi, nel pomeriggio,
quando non erano in vacanza.
Le
colazioni georgiane erano molto diverse sia da quelle della
generazione precedente – a base di pane, formaggio e birra – sia
dalle successive colazioni vittoriane e di epoca edoardiana, durante
le quali si servivano uova strapazzate, rognone e kedgeree (un
piatto composto da riso e pesce).
Nell’era
georgiana, periodo che va dal regno di Giorgio I a quello di Giorgio
IV fra il 1714 al 1830, a colazione si consumavano soprattutto pane,
torte e bevande calde, approfittando di quella vera e propria
rivoluzione dei costumi che era dipesa, naturalmente, dall’arrivo
in Gran Bretagna di tè dalla Cina, di caffè dall’Etiopia e di
cioccolata dal Messico, tanto che nell’arco di tempo di 100 anni,
tra il 1693 e il 1793, il consumo del tè crebbe del 400%;
Gli
Austen bevevano principalmente tè, e non caffè, a colazione,
mentre è alla ricca tavola del Generale Tilney (L’abbazia di
Northanger) che si beve parecchia cioccolata, accompagnata da una
sorta di pregiato pan brioche francese.
Ospite
a Stoneleigh Abbey, Mrs. Austen, la mamma di Jane, descrive una
sontuosa colazione a base di «cioccolata, tè e caffè, torta di
prugne, pound cake, panini caldi e freddi, pane e burro e pane
tostato». Ed è a Bath che Jane Austen assaggiò per la prima volta
i cosiddetti bun, dei panini dolci decorati con semi di cumino
immersi più volte nella melassa che le fecero venire il mal di
stomaco.
A
quei tempi, dopo colazione, le donne che non dovevano occuparsi di
faccende domestiche più urgenti si mettevano a cucire, e dalle
dodici all’una potevano dedicarsi alle morning calls («visite
del mattino»). La parola morning («mattino»),
evidentemente, aveva un significato diverso da quello attribuitole
oggigiorno. La giornata era divisa nettamente dal pasto denominato
dinner, perciò l’intero periodo prima del dinner, a
qualunque ora esso si consumasse, era morning; e dopo il
dinner era evening («sera»). Solo la sera,
generalmente, uomini e donne si ritrovavano insieme, dopo un’intera
giornata trascorsa separati e intenti a occuparsi di attività ben
distinte.
Nel
corso della storia l’orario del dinner è andato fluttuando.
In origine si trattava di un pasto a metà giornata – dunque di un
«pranzo», potremmo dire – consumato da chi lavorava duramente sin
dalle prime luci dell’alba. Con il procedere del diciottesimo
secolo e con l’aumentare del numero dei «ricchi» che non
lavoravano, l’orario del dinner si spostò sempre più in
avanti, fino a raggiungere le sei del pomeriggio o addirittura le
sette – assumendo per noi il significato di «cena».
Una
delle ragioni di quest’oscillazione oraria è che la società «alla
moda» desiderava sempre distinguere le proprie abitudini da quelle
della gente comune, e non faceva che spostare in avanti il proprio
dinner non appena le altre classi sociali erano riuscite a
sincronizzarsi. Poiché l’orario del dinner era sempre più
lontano dalla colazione, non ci si può stupire che insorgesse la
necessità di riempire quel lungo intervallo di tempo con un
ulteriore pasto. Nel Dizionario del Dottor Johnson del 1755 si parla
di luncheon (poi chiamato semplicemente lunch) per
indicare «la quantità di cibo che può essere contenuta in una
mano», ma non si fa riferimento all’orario in cui si suppone che
questo sia consumato. Questo pasto, dunque, non aveva un nome né un
orario preciso: evidentemente era preparato quando ce n’era la
necessità, e quindi anche più volte al giorno, in caso di visite
di più persone.
Da
due lettere di Jane Austen del 1798 a sua sorella Cassandra che si
trovava allora ospite nella sofisticata Godmersham nel Kent,
considerato il giardino d’Inghilterra per la magnificenza dei suoi
parchi, possiamo ricavare informazioni sui suoi orari dei pasti. Jane
scrisse, con il suo solito tono ironico:
«Ora noi pranziamo (dine)
alle tre e mezza, e finiamo, immagino, prima che voi cominciate.
Beviamo il tè alle sei e mezza. Temo che ci disprezzerai». In
una lettera scritta da Southampton il 9 dicembre 1808 leggiamo
invece: «Ora non pranziamo (dine)
mai prima delle cinque». Le abitudini, a quanto pare,
cambiavano anche per le Austen.
Anche
nel campo dell’abbigliamento si riconoscevano due grandi categorie,
nettamente divise proprio dall’orario del dinner: c’erano
infatti il morning dress (che possiamo tradurre in «abito da
giorno») e l’evening dress («abito da sera»). Si
supponeva insomma che le persone raffinate si cambiassero
completamente prima di sedersi a tavola, e quest’abitudine, molto
radicata, perdurò nell’alta società fino ai primi decenni del
Novecento; Il servizio a tavola era alla francese: ciò
significa che tutte le pietanze della prima portata (first course)
erano disposte contemporaneamente sulla tavola, con la carne e la
selvaggina a occupare una posizione centrale. I contorni erano
distribuiti ai lati e sugli angoli, mentre i due capi della tavola
ospitavano generalmente pesce (spesso salmone) e zuppa (spesso di
tartaruga). Terminata la prima portata, la tavola veniva sparecchiata
e nuovamente riapparecchiata con altre pietanze: di solito tornava la
carne, ma protagoniste di questo second course erano le
fricassee e le polpette, e poi crostate di frutta, gelatine e
pudding. Dopo la seconda portata veniva rimosso tutto, anche
la tovaglia, e veniva servito il dessert (dal verbo francese
desservir, «sparecchiare», appunto) che non aveva bisogno di
posate perché era costituito essenzialmente da frutta secca o
candita e dolcetti speziati. Solitamente il vino era associato a
questa fase finale del pranzo. Dopo il vino e il dessert,
la padrona di casa si alzava in piedi e tutte le signore la seguivano
in salotto, obbedendo però, nel far questo, a una precisa
disposizione, dettata o dall’età o dal rango o dal fatto di essere
sposate o meno. Una volta allontanatesi le signore, gli uomini
potevano godersi un’ora di conversazione più libera, accompagnata
da vini e liquori. Come sappiamo, Jane Austen non ci racconta mai
questa fase, poiché nella sua narrativa non esistono episodi in cui
non siano presenti delle donne. Se in casa non c’erano ospiti, la
separazione fra uomini e donne dopo il pasto non si verificava.
Il
periodo che intercorreva tra il dinner e il tè della sera era
chiamato afternoon, che d’estate era prevalentemente
trascorso all’aria aperta. Scoccava dunque l’ora del tè, il cui
servizio avveniva circa tre dopo l’inizio del dinner ed era
responsabilità delle signorine di casa. Per l’occasione si
bevevano oltre al tè, il caffè, o anche tisane alle erbe; talvolta
le bevande erano accompagnate da pane tostato, torta o muffin.
Le ore tra il tè e il sonno si trascorrevano in compagnia: la
conversazione, la musica, i giochi di carte, il gioco del backgammon
o la lettura ad alta voce erano le principali occupazioni.
L’ultimo
pasto della giornata era il supper, che era però sostanzioso
solo qualora il dinner si fosse consumato molto presto (e
quindi era abitudine degli anziani, abituati a costumi ormai «fuori
moda», o delle classi sociali inferiori, che lavoravano sin dal
primo mattino); altrimenti, in occasione del supper si
servivano, su un tavolino a parte privo della tovaglia, rinfreschi
leggeri e vino. Una zuppa calda e del vino, spesso allungato con
acqua, si offrivano a chi rientrava da un ballo o da teatro, ma
presto il supper cominciò ad essere servito direttamente
nelle case dove venivano organizzati i balli privati, che duravano
fino a notte inoltrata.
Il
cibo nei sei romanzi canonici
Nei
romanzi di Jane Austen, per la precisione Ragione
e Sentimento, Orgoglio e Pregiudizio, Mansfield
Park, Persuasione, Emma e
Northanger Abbey, il cibo ha spesso un valore allusivo. Le
descrizioni di Delaford, la tenuta del Colonnello Brandon, da parte
di Mrs. Jennings in Ragione e sentimento e di Donwell Abbey,
la casa di Mr. Knightley, in Emma contengono importanti
riferimenti al cibo, perché i due uomini sono rappresentati come
ineguagliabili amministratori di proprietà terriere, e, per
proprietà transitiva, come ottimi
possibili mariti con
importanti rendite. Non è un caso che tutte le dimore
destinate a ospitare la vita coniugale delle eroine austeniane siano
caratterizzate dalla presenza del più perfetto simbolo della
felicità e della prosperità: la frutta.
Delaford abbonda di more, Mansfield Parsonage ha le albicocche, al
rettorato di Woodstone Catherine Morland godrà delle sue mele, a
Pemberly la frutta nasce anche in serra, Donwell Abbey è famosa per
le fragole. Infatti, in una splendida giornata d’estate, Mr
Knightley invita tutti gli amici nella propria tenuta per una merenda
sul prato e per mangiare le sue fragole pronte per essere raccolte.
Dal romanzo Emma del 1815 si legge:
“… e la
signora Elton, in tutta la sua felicità, con il cappello grande e il
cestino, era più che pronta a condurre il gruppo a cogliere,
accettandone certe, e valutandone altre… le fragole;
e solo le fragole potevano adesso essere
l’oggetto dei pensieri o dei discorsi. “il miglior frutto
d’Inghilterra… il più amato di tutti… sempre sano… Questi
fragoleti sono i più belli e le fragole del tipo migliore…È
delizioso coglierle da soli… l’unico modo per goderle davvero…
La mattina è decisamente il momento migliore… non ne sono mai
stanca… ogni specie è buona… la fragola di giardino è
infinitamente superiore… nessun confronto…le altre sono a stento
mangiabili…le fragole di giardino sono molto rare…quelle del Cile
sono le più popolari…quelle bianche hanno la fragranza più
delicata…il prezzo delle fragole a Londra…un’abbondanza di
fragole a Bristol… Maple Grove… la coltivazione delle fragole…
quando si devono rinnovare i fragoleti…i giardinieri sono di parere
completamente opposto… nessuna regola generale… non c’è modo
di far cambiare sistema ai giardinieri… un frutto delizioso… solo
un po’ troppo ricco perché se ne possa mangiare in
quantità…inferiore alle ciliegie… il ribes è più
rinfrescante…l’unica obiezione al cogliere le fragole è il
doversi curvare… il sole abbagliante… sono morta dalla
stanchezza… non ce la faccio più… devo andare a sedermi
all’ombra. Questa fu per una mezz’ora la conversazione,
interrotta solo una volta dalla signora Weston preoccupata della
salute del cavallo del figlio. “ EMMA
Pag. 307
Tra
i romanzi di Jane Austen, è proprio Emma quello in cui i
riferimenti al cibo sono maggiormente diffusi. Questa caratteristica
potrebbe dipendere da uno stile narrativo particolarmente attento
alla rappresentazione minuziosa della realtà, e dal fatto che la
protagonista è inequivocabilmente descritta non solo come individuo,
ma anche e soprattutto come membro di una comunità. Sembra quasi che
tutti i protagonisti di questa piccola società siano tenuti insieme
da questioni alimentari: leggiamo spesso di doni elargiti in forma di
cibarie, di Emma Woodhouse che consegna regolarmente del cibo agli
indigenti del villaggio, di Mr Knightley, il futuro marito di Emma,
che regala mele di prima scelta alle povera famiglia Bates. E’
proprio la noiosa Miss Bates che nel romanzo dice:
“Le mele sono della migliore
qualità per essere cotte, senza dubbio; tutte di Donwell, alcune
della generosissima provvista donataci dal signor Knightley. Ce ne
manda un mucchio ogni anno; e di certo nessuna mela si conserva tanto
bene come quelle dei suoi alberi. EMMA 211-212
Il
cibo è protagonista anche di una delle scenette più celebri del
romanzo, quella in cui Emma, affacciata alla porta della bottega di
Mrs. Ford, si perde ad osservare il quotidiano movimento del
villaggio: «quando i suoi occhi caddero sul
macellaio col suo vassoio, su una linda vecchietta che tornava dalla
spesa col suo cesto pieno, su due cani che si contendevano un sudicio
osso, e su una frotta di bambini ciondolanti intorno alla vetrinetta
del fornaio, occhieggiando il panpepato, seppe di non aver ragione di
lamentarsi, e si divertì»
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