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La Settima Stanza

 A cura di

Marisa Rotiroti

La settima stanza” è l’ultimo film di Marta Meszaros, presentato a Venezia nel 1995 fra le diverse iniziative organizzate in occasione della Conferenza mondiale delle donne di Pechino.

Marta Meszaros, nata a Budapest nel 1928, è figlia dello scultore Laszlo Meszaros fuggito in Russia nel 1936 per sottrarsi al regime fascista e scomparso in seguito alle purghe di Stalin. Marta torna in Ungheria nel 1946 giusto in tempo per sperimentare di persona il socialismo dal volto umano e la crudele repressione durante la rivolta del 1956.

 Certamente le sue esperienze personali, molto ben descritte nei lungometraggi ”Diari” (Diario per i miei figli, Diario per mio padre e mia madre, Diario per i miei amori), hanno creato un legame psicologico tra la regista e la donna Edith Stein.

La regista ha dichiarato di essere stata colpita dalla figura di Edith Stein, morta a circa 50 anni nel campo di Auschwitz, (prima di sapere che era stata beatificata da Papa Paolo Giovanni II), dopo aver scoperto su un giornale di Cracovia la sua vicenda terrena. A tale proposito la Meszaros dichiara, in un’intervista, di aver avuto l’impressione che Edith abbia posseduto una forza tale da non farsi scrupolo di lottare contro i mali della società e che quindi sia stata “uno spirito libero che ha attraversato il suo tempo usando la forza per cercare una verità interiore e non la conquista del potere”.

La realizzazione di questo film che la Meszaros ritiene il suo miglior film è stata lunga e difficile.

 Affascinata dal profilo umano della Stein, dalle sue vicende umane ricche di forza e di coerenza ha atteso 7 anni fino a quando ha trovato un produttore, Francesco Panphili, e una casa di produzione, la Morgan film, che hanno accettato la sua impostazione e la sua scelta. Non si può, però, comprendere l’importanza di Edith Stein, una delle donne più significative del nostro secolo, se non si conoscono le vicende della sua vita vissuta all’insegna di una tensione altissima e di una ricerca costante del proprio Sé.

Edith Stein nacque a Breslavia il 13 ottobre 1891. Ebrea, orfana di padre, ultima di sette tra sorelle e fratelli, ricevette dalla madre una rigida educazione ebraica.

Edith è curata dalle sorelle più grandi e, d’intelligenza vivace, fin da piccola si dimostra molto chiusa; non si confida con nessuno, nemmeno con la madre che la predilige su tutti i figli\e perché è la più piccola e perché è nata nel giorno del Kippur (festa dell’Espiazione).

All’Università di Gottinga, unica donna, studiò filosofia con Husserl. Si laureò con la lode in filosofia nel 1916 a Friburgo e a 25 anni diviene l’assistente di Husserl.

E’ una donna curiosa e affamata di verità. Leggendo il filosofo cattolico Max Scheler entra in contatto con il Cristianesimo. Con la lettura della “Vita “ di Santa Teresa d’Avila approda alla conversione al cattolicesimo.

Attraverso l’esperienza mistica della santa intuisce che Dio è Amore. Nel 1922 ricevette il battesimo con il nome di Teresa Edvige. Questo è per Edith un periodo di grande serenità oscurato solo dal dolore di sua madre che non accetta la sua conversione. Tutta la famiglia vive la sua scelta come un tradimento , un distacco dal popolo ebreo. Da questa data fino al 1931 si ritira nel convento delle domenicane a Speyer, dove insegna filosofia al liceo del convento. E’ molto conosciuta nell’ambiente colto di quegli anni per i suoi scritti filosofici e morali e viene spesso invitata per conferenze a Colonia, Monaco, Praga e Vienna.

 Nel 1932 le viene offerta una cattedra universitaria a Munster e lei comincia ad avvertire che qualcosa di terribile sta per accadere alla Germania.

Nel 1933 a causa delle leggi razziali è obbligata a lasciare l’insegnamento all’Università. Nonostante le venga offerta una cattedra universitaria nell’America Latina , Edith sceglie di entrare in un Carmelo, convinta che la salvezza non stia nell’attività umana, ma nel portare la croce assieme a Cristo. Nel 1934 si fa suora di clausura nel Carmelo di Colonia.

Qui comincia la storia raccontata dal film della Meszaros.

Di questo film erano state preparate 15 sceneggiature, ma la regista ha deciso di darne una personale interpretazione limitandosi a rappresentare gli anni più difficili della sua esistenza, evidenziando quegli aspetti della protagonista che l'’hanno maggiormente colpita: la sua capacità di lottare contro ogni forma di potere, in particolare contro quello nazista, le sue capacità di ricercare dentro di sé in piena libertà interiore, le ragioni e le finalità del proprio esistere.

Nel film Edith spiega a una sua consorella che, la sera prima del giorno dei voti, le chiede aiuto nella paura e confusione della grande scelta, quale sia il percorso ideale  dell’anima di cui parla Santa Teresa d’Avila: “ Il cammino che ci porta al centro di noi stessi passa per sette dimore o sette stanze.

 

 La giovane donna che non sarà mai suora intravede, attraverso il racconto di Edith, la strada chiara che vuole seguire: il desiderio di maternità troverà legittimazione da parte di Edith. Edith così racconta:

Nella I stanza l’anima è muta e sorda, ancora prigioniera del mondo esteriore (qui comincia il suo percorso); nella II stanza l’anima lotta contro le attrattive del mondo esteriore; nella III stanza l’anima si purifica attraverso la meditazione, nella IV stanza domina l’immaginazione: la conoscenza, l’intelligenza e la memoria pesano sull’anima; nella V stanza il mondo profano non ha più influenza sull’anima che è libera da ogni costrizione; la VI stanza è la camera della sofferenza dove l’anima ha lasciato tutte le tentazioni del mondo e aspetta ……quello che si trova nella VII stanza che lei ancora non consce…”

Le tappe di tale percorso sono evidenziate nel film, simboleggiate da passaggi, da “soglie” che continuamente si chiudono dietro le spalle della protagonista nei vari periodi della sua vita.

I diversi momenti del film sono collegati dal personaggio di Franz Heller, un uomo che ha abbandonato la scienza per servire il potere, perfettamente integrato nel sistema nazista. In lui convivono odio, stupore, incomprensione per tutto ciò che non riesce ad afferrare di Edith, ma che lo turba.

Il rapporto madre – figlia percorre tutto il film, amore materno e amore filiale che non riescono  a trovare l’incontro.

Le annotazioni che la regista ci offre sulla madre e sulle sorelle ci rendono partecipi di un continuo riferimento alla genealogia femminile. La sorella Rosa infatti ripercorrerà le stesse scelte di Edith, diventerà portinaia nel convento di Colonia e morirà con lei nel campo di concentramento. La Meszaros nel film non sottolinea soltanto i rapporti contrastati di Edith con Heller, la madre, la famiglia e simbolicamente anche col popolo ebraico, ma sottolinea anche il conflitto con se stessa e con la vita all’interno del convento, luogo di relazioni tra donne che devono confrontarsi con la quotidianità.

Il cammino interiore di Edith, il cammino della Croce, viene accentuato dal volto particolarmente intenso della protagonista (l’attrice rumena Maia Morgenster) viene messo in evidenza attraverso varie scelte espressive della regista.

Per esempio: l’eliminazione al massimo dello spazio che circonda i personaggi; spesso la macchina da presa indugia su porte, cancelli, finestre e ostacoli di diverso tipo che si frappongono tra il mondo interiore di Edith con la sua ansia di ricerca e il mondo esterno.

 

I colori dominanti giallo e nero sembrano sottolineare i momenti dello spirito di Edith (nero era l’abito degli ebrei e giallo la stella di David).

La scelta delle luci e delle ombre isola i personaggi per cui ogni episodio diventa simbolico. Alcune immagini si ripetono e  ci ricordano che stiamo assistendo a un’ascesa spirituale.

Penso alle diverse occasioni in cui Edith è allungata per terra, con le braccia a forma di croce, a simboleggiare la partecipazione alla passione di Cristo o all’immagine dell’entrata nella “settima stanza” tutta bianca di luce, prima della visione finale di Edith stretta alla madre in posizione fetale nella camera a gas in un ultimo grande abbraccio materno -  filiale, un abbraccio d’amore ed anche un abbraccio simbolico di riconciliazione col popolo ebraico.

 

Questo film offre parecchi spunti di riflessione. Io sono stata particolarmente affascinata dai contrasti che Edith si trova ad affrontare con il mondo intorno a sé, con la famiglia d’origine, col potere e con se stessa all’interno del Carmelo.

 

Altri spunti:

1)    Vita e opere di una filosofa che per la sua personalità, le sue idee, le sue scelte appartiene alla punta femminile  cattolica più avanzata del nostro secolo;

2)    Ascesa spirituale di Edith Stein, la sua ricerca interiore, il suo punto di arrivo in Cristo attraverso i gradi che supera in riferimento alle “sette stanze” ;

3)    Distorsione della dottrina nazista;

4)    Rapporti tra Nazismo ed Ebrei;

5)    Vita nel Carmelo, regole: rinuncia, obbedienza, preghiera e meditazione. Rapporti tra il Carmelo e il mondo.

 Soverato, 14 maggio 1998

 
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