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LETTURE
SUL PADRE a cura di Lilly Rosso e Marisa Rotiroti
Stralcio
da un’intervista a Silvia Vegetti Finzi del 2016
Come
osservava il grande psicoanalista inglese Donald Winnicott “là
dove c’è un ragazzo che lanci la sua sfida per crescere deve
esserci un adulto pronto a raccoglierla: a livello più profondo è
una questione di vita o di morte per lo sviluppo dell’adolescente”.
Il vero rischio dei ragazzi oggi è proprio questo: l’assenza di
una generazione di adulti pronti a raccogliere la sfida e a
fronteggiare lo scontro, in una società per molti aspetti
“adolescenziale”, in perenne fase di passaggio e di
trasformazione, che tende a restringere il divario fra generazioni e
a negare ogni differenza.
C./
P.: A proposito di funzione
paterna e di ruolo: quale spazio rimane oggi quando il gesto o il
dire del padre non è più solidale con il dire sociale, quando il
padre si scolla, nel dire privato, dal dire pubblico? E come è
possibile questo rimando senza cadere nell’invocazione che dal
padre porta al padrone?
S.
V. F.: In una “società senza
padri” come l’attuale, il ruolo paterno tende a confondersi
sempre di più con quello materno. Come si sa, le funzioni tendono
sempre più a somigliarsi: spetta sia al padre che alla madre
prendersi cura dei figli, rispondere ai loro bisogni, offrire loro
affetto, sicurezza e protezione. Tuttavia quello di cui si avverte
maggiormente la mancanza oggi non è il padre come figura maschile:
l’uomo dal quale il figlio è stato generato è ben presente nella
sua mente, come in quella della madre, anche quando non c’è come
nei casi dei genitori separati. Quello che in molti casi viene a
mancare , come osservava un famoso psicanalista francese da poco
scomparso, Serge Lebovici, è il “principio paterno”, su cui si
fonda la norma, la legge, l’autorità: il terzo polo nel triangolo
familiare che attira a sé il figlio e lo separa dalla madre gettando
un ponte verso l’esterno, fra la famiglia e la società. Manca
insomma, nel mondo interiore dei figli maschi più ancora che nelle
figlie femmine, un’immagine di padre che raffiguri qualcuno che
“sta più in alto”: qualcuno a cui guardare e con cui
confrontarsi, anche attraverso una sana conflittualità, per poter
accedere al suo livello.
Diventa
così più difficile oggi per gli adolescenti identificarsi in una
figura paterna in gran parte spodestata dal suo ruolo, che non
trasmette più ai figli una tavola delle leggi, un codice morale da
fare proprio o al contrario da modificare o rifiutare. E, nello
stesso tempo, diventa più difficile anche separarsi da
quell’universo femminile, materno, che in questa fase storica
sembra avere il sopravvento. Questo non impedisce ai figli di
proiettarsi all’esterno della famiglia e di avere una vita sociale
soddisfacente. Né di costruirsi una coscienza interiore, un codice
morale.
C./
P.: Un codice morale che si
costruisce su quali basi, secondo il vostro modo di vedere?
S.
V. F.: Ma tutto questo avviene
nel segno della madre, più che nel “nome del padre”. Anche la
società finisce così per essere vissuta come una grande madre,
dalla quale ci si aspetta tutto senza dare nulla in cambio:
indulgenza, assistenza, protezione. Non solo, ma contro questa
società “materna” ci si può scagliare, come fa il bambino
piccolo con la mamma, quando lo delude, non risponde ai suoi bisogni,
non appaga i suoi desideri. Ed è proprio nella vita sociale che il
declino della figura paterna come principio di autorità e di legge
interiore, dà i suoi segnali più allarmanti. La delinquenza
minorile, come forma estrema di ribellione, è sempre esistita. Ma
mai come oggi appare priva non solo di movente ma anche di sensi di
colpa: il comportamento antisociale non avviene più nel segno della
rivolta contro il padre, la sua legge e le istituzioni che lo
rappresentano. Ma si perde nel magma indistinto, indifferenziato di
un arcaico universo materno, in quanto non è ancora intervenuta la
“legge del padre” a stabilire un nuovo ordine e un nuovo
equilibrio.
C./
P.: Qualcosa di più su
questa “legge del padre”? In che senso dite di un mancato
intervento? O si tratta di un ritorno?
S.
V. F.: Certo, è un ritorno!
Ritorna l’antico bisogno di un vero padre: quella mitica figura
maschile di eroe, positivo o negativo, al centro di ogni romanzo
familiare del passato che, nel bene o nel male, lasciava il suo segno
impresso nella memoria e nella coscienza. Poteva essere una figura
ingombrante, massiccia, punitiva delle cui ferite il figlio portava
per sempre le cicatrici, come scriveva Franz Kafka nella famosa
Lettera al padre: “Tutto quello che mi imponevi era un comandamento
divino per me. Mi hai ridotto all’obbedienza ma ne ho ricevuto un
danno interiore”. Ma poteva anche essere un grande maestro di vita,
che lasciava la sua tavola delle leggi ben impresse nell’anima, ed
equilibrava l’influenza materna nella crescita dei figli. Come
scriveva Goethe: “Di mia madre ho la natura gioiosa e il piacere di
raccontare storie. Di mio padre ho la statura morale, il modo
vigoroso e serio di comportarsi nella vita”. E’ questa la figura
di padre di cui oggi si sente la mancanza, non certo quella
autoritaria del padre padrone, della cui scomparsa dalla scena
familiare nessuno prova alcuna nostalgia.
Per
quanto la famiglia sia trasformata, divisa, frammentata, ristretta,
ricomposta, allargata, in fondo non c’è molto da reinventare per
“risanare” il ruolo più in crisi, quello paterno. Occorre
piuttosto che il padre ritrovi la sua funzione di ponte verso la
società e quindi di elemento separatore, fra il figlio e la madre.
Occorre che riconquisti il proprio spazio sulla scena familiare, e
rimanga al suo posto, con fermezza, senza contendere alla moglie il
ruolo materno né al figlio il territorio ormai perduto della
giovinezza. E’ questo il padre che offre al figlio un modello nei
cui aspetti più positivi potrà identificarsi. Senza rinunciare a
sfidarlo con la sua rivolta. E a coltivare sogni e ideali diversi dai
suoi. Fino a dire, come fanno i giovani guardando al padre come
simbolo del mondo adulto, che è loro compito rigenerare con uno
spirito nuovo: “Io non diventerò mai come te!”. Ben sapendo di
avere di fronte una controparte abbastanza forte da reggere i propri
attacchi senza che la relazione venga distrutta.
COME
CAMBIA LA PATERNITÀ marzo 2006
Marco
Deriu, Università di Parma, Ass. Maschile Plurale
Negli
ultimi anni si è registrato nel nostro paese una crescente
attenzione alle trasformazioni delle figure maschili e, più nello
specifico, dell’immagine e del ruolo del padre. Nella letteratura e
ancora di più nei mass media si è cominciato a parlare di "soft
male", di nuovi papà, di padri “pallidi”, di padri
affettivi, di padri materni, di mammi, con espressioni discutibili ma
che segnano in qualche modo la percezione comune di un cambiamento in
corso. Ma tale cambiamento sta davvero avvenendo? La risposta può
essere positiva se ci riferiamo alle ultime generazioni di padri e se
naturalmente teniamo conto che non stiamo parlando di una rivoluzione
che si è realizzata, ma piuttosto dell’inizio di un percorso di
trasformazione ancora in gran parte incerto e indefinito che può
risolversi in direzioni completamente differenti. D’altra parte
sarebbe un peccato non vedere i diversi campi in cui oggi si sta
sperimentando e definendo una nuova forma di paternità. Pensiamo
alla maggiore attenzione dei nuovi padri verso il momento della
nascita e una richiesta o una disponibilità crescente di
affiancamento e condivisione dell’evento della nascita. Per alcuni
padri la gravidanza, il parto e la nascita del bambino possono essere
un'occasione importante di crescita. Alcuni padri che ho incontrato
hanno raccontato come la possibilità di assistere al parto, di
partecipare fino in fondo, di sostenere la moglie, di condividere le
emozioni, perfino in qualche caso di tagliare il cordone ombelicale,
sia stata un’esperienza fortissima che ricordano come una delle
esperienze più belle della loro vita. Altri padri, cominciano a
condividere maggiormente la cura dei figli in casa. In molti ruoli i
giovani padri di oggi si mostrano capaci di affiancarsi e
all'occorrenza di sostituirsi alle madri per curare i figli in tutti
gli aspetti: farli mangiare, pulirli, cambiarli e accudirli, farli
addormentare, alzarsi di notte quando piangono, accompagnarli al Nido
e in qualche caso addirittura affiancarli nell’ambientamento. Certo
siamo ancora ben lungi da registrare una divisione equilibrata dei
lavori di casa e di cura, ma nelle nuove famiglie che incontro questa
tendenza si va sempre più affermando e questo modifica in maniera
profonda le esperienze di paternità. Tale situazione segnala che non
siamo più in presenza di figure paterne rinchiudibili nell’immagine
tradizionale del “provider” (fornitore) o del “breadwinner”
(colui che assicura il pane alla famiglia). Da questo punto di vista
una simile novità porta con sé molti aspetti positivi. Emerge
chiaramente, per esempio, una maggior confidenza e condivisione della
corporeità tra padri e figli, che comporta una vicinanza ed un
contatto fisico significativamente diversi sia in termini
quantitativi che qualitativi rispetto al passato. I padri si occupano
della cura del corpo dei figli, cambiano il pannolone, fanno il
“bagnetto”, li portano dal pediatra e più in generale li
coccolano con più scioltezza e naturalezza. Manifestazioni d’affetto
e di attenzione come baci, abbracci, l’andare a letto assieme o il
prendere in braccio possono sembrare oggi cose del tutto naturali, ma
fino a pochi decenni fa le esternazioni affettive e le cure corporee
non costituivano affatto una modalità comune e diffusa nei rapporti
padri-figli. Da questo punto di vista esse rappresentano un segnale
rilevante del forte avvento della corporeità nella nell’esperienza
paterna in particolare nei primi anni di vita dei bambini. Questo
rapporto con la corporeità è particolarmente significativo
innanzitutto perché attenua la preminenza della dimensione verbale e
razionale e accentua la comunicazione fisica, non verbale,
letteralmente di pelle. In secondo luogo il contatto corporeo è
senza dubbio un potente mezzo di comunicazione affettiva, che pur
essendo presente anche in passato tuttavia non veniva facilmente
esplicitato o reso pubblico. Evidentemente poi la diminuzione della
distanza fisica porta con sé anche una diminuzione della distanza
psicologica. Molti dei nuovi papà non a caso investono inoltre molto
tempo ed energie nelle dimensioni ludiche, nel gioco, nel
divertimento con i figli e anche questo in termini sociologici
rappresenta certamente una novità. Questa disponibilità di tempo e
di condivisione ludica non era frequente nei rapporti padre-figli in
passato. Tali aspetti di condivisioni ludico-corporee segnalano anche
una disponibilità dei padri a far emergere il bambino che è in
loro, e questo entro certi limiti può essere considerato un aspetto
positivo. Certamente per alcuni padri questo rappresenta anche il
tentativo di far emergere parti dell’esperienza che sono mancate
nella infanzia. Per un altro verso questa tendenza da parte maschile
ad interpretare un nuovo tipo di rapporto con i figli basato sul
gioco, sulla condivisione, sull’intimità, ovvero sulle dimensioni
più piacevoli, può nascondere il tentativo di allontanare da sé le
dimensioni legate alla responsabilità, alla gestione del conflitto,
al contenimento ecc. In particolare si evidenzia in alcune famiglie
che ho incontrato la tendenza ad evitare il conflitto aperto sulle
regole, sui No, sui limiti. Aspetti questi che i padri faticano a
conciliare con l’affettività, tendendo invece a scindere come
figure mentali separate il “padre buono” da quello “cattivo”.
Così alcuni padri rivendicano esplicitamente la conquista di una
dimensione diversa di relazione rispetto alla tradizionale figura di
padre “che quando viene a casa ti sgrida”. In questo modo essi
comunicano alle madri più o meno esplicitamente la richiesta di
farsi carico (anche) loro della parte più regolativa e contenitiva,
vissuta come compito sgradevole. Se la sperimentazione da parte dei
padri e delle madri di ruoli e funzioni diverse può anche essere
stimolante, oltre che inevitabile, nel patto educativo, tuttavia è
fondamentale che questo non si traduca semplicemente in una fuga dal
conflitto e una delega delle funzioni normative verso l’altro
sesso. Questa innovazione sul piano della presenza corporea e ludica
dei padri comporta dei riflessi importanti anche sul piano della
comunicazione e della complessità della relazione. Di per sé non
c’è nulla che vieta ad un padre tenero e affettuoso di saper
essere risoluto ed intransigente, nel momento in cui le circostanze
lo richiedano e nella misura in cui l’asimmetria di esperienza e di
responsabilità manifesta tutta la sua importanza relazionale ed
educativa. Tuttavia dobbiamo sapere che questo comporta qualche
difficoltà in più. In questi nuovi contesti esperienziali i padri
sono spesso colti alla sprovvista dalla necessità di utilizzare in
modo coerente gli aspetti comunicativi verbali con quelli non
verbali, quelli affettivi assieme a quelli normativi, quelli amicali
vicino a quelli più prettamente genitoriali. I figli finiscono
dunque per rilevare immediatamente l’incoerenza esistente
nell’essere sgridati quando si lasciano andare ad atteggiamenti
aggressivi mentre si sta “giocando alla lotta” con il papà, come
faticano a prendere sul serio un “adesso basta” quando di fatto
all’ingiunzione non segue mai una sanzione. La questione non è
semplice. Alcuni padri molto onestamente confessano la difficoltà a
interpretare il “ruolo del cattivo” quando il tempo disponibile
per stare con i figli è così limitato, oppure ammettono il timore,
nel momento in cui sentono i figli vicini, di vederli ritrarre e
allontanarsi qualora introducano degli elementi di contenimento o di
regolazione che possono frustrare i loro desideri. Dalle parole dei
padri emerge, in alcuni casi, il desiderio nostalgico di un rapporto
con i figli che possa trasmettere loro valori fondamentali in cui
credere e su cui costruire il proprio futuro; regole precise su cui
fondare la propria personalità e contemporaneamente il rispetto e
l’ammirazione verso la figura paterna. Conciliare affetto e valori,
complicità e regole appare oggi molto complicato per entrambi i
genitori, ma soprattutto per i padri che hanno scoperto da poco la
possibilità di una dimensione affettiva più esplicita con i figli.
Così i padri di oggi, che, che nella loro esperienza di figli hanno
tanto desiderato dimostrazioni d’affetto sincere e manifeste dai
loro padri, rischiano d’altra parte di pretendere dai figli di
essere amati e rispettati senza assumersi il rischio del conflitto e
del limite. Si evidenzia qui una dimensione di fragilità emotiva da
parte dei padri. Il timore di dare dei limiti nasconde probabilmente
una insicurezza affettiva dei padri. È presto per stendere giudizi.
Le trasformazione che stanno affrontando questi padri sono ancora
agli inizi. Sicuramente questi nuovi padri devono darsi il tempo di
esplorare sulla propria pelle i nuovi aspetti della sua genitorialità
e devono al contempo riconoscere ai figli la fatica del correre al
loro fianco in questa nuova sfida
Reinventarsi
la paternità 22/01/2018
Articolo
di Annina Lubbock, Marco Derìu
Annina
Lubbock gender, adviser Nazioni Unite/FAD e cofondatrice della rete
“Il giardino dei padri”
Cosa
sta cambiando nell’esperienza della paternità in Italia? Anche
se più lentamente rispetto ad altri paesi sembra proprio che inizi
ad affermarsi un modello di paternità differente dal passato, più
impegnato e presente nelle responsabilità genitoriali. È quanto
emerge dall’incontro La
reinvenzione della paternità che
si è svolto a Parma a settembre[1] e che oltre all’intervento di
noti studiosi della paternità[2] ha ospitato, in uno spazio che
includeva genitori e bambini, una sessione in cui associazioni e
servizi hanno condiviso le loro esperienze e i loro progetti. In
particolare, la seconda giornata ha visto una sessione di lavoro
dedicata a concordare azioni comuni per far avanzare l’agenda della
"paternità partecipe", fra queste la discussione per
l’adesione alla piattaforma
europea sui congedi[3].
Il modello di
famiglia – culturalmente dominante negli anni del dopoguerra fino
agli anni sessanta – basato sulla rigida divisione di ruoli
fra padre breadwinner e madre caregiver, era un
modello che – hanno notato alcuni relatori – dava sicurezza;
abbassava l’età del matrimonio e aumentava la fecondità. Il
modello si incrina per effetto del generale mutamento economico e
sociale, l’emergere di nuove aspettative delle donne e delle madri
e il contestuale crescere dell'occupazione femminile, ma anche per
effetto del desiderio di un numero crescente di uomini di investire
nella costruzione di spazi di intimità e di cura. L’abbassamento
della natalità, l’innalzamento dell’età in cui si diventa
padri, una diversa aspettativa di maggiore condivisione dei ruoli,
iniziano a cambiare il modo di vivere la paternità. Le coppie sono
ora più instabili e i modelli familiari e relazionali si fanno più
complessi. Diversamente che in altri paesi, dove sono state fatte
negli anni compagne nazionali sulla paternità, il cambiamento in
Italia non è spinto e supportato da un’azione pubblica sul piano
culturale e delle politiche - ma avviene in modo spontaneo dal basso,
anche se un po’ a chiazze, qua e là, nel territorio nazionale.
A fronte dei
cambiamenti in atto nel ruolo paterno, la discussione pubblica – ma
anche le rappresentazioni cinematografiche – hanno dato tuttavia
più attenzione alla 'crisi del padre' alludendo a
un indebolimento del ruolo paterno, piuttosto che al delinearsi di
nuove figure positive di padre e all’affermarsi di nuove relazioni,
più paritetiche. "Massacrante ma meravigliosa" è stata
definita da uno dei padri presenti l’esperienza della paternità
"impegnata" (engaged). Gli uomini – si è
detto – devono fare i conti con le paure e le incertezze, essere in
grado di "ospitare sensazioni caotiche" dentro di sé. Sono
state messe in discussione le presunte dicotomie fra "famiglia
fondata sulle regole" e "famiglia fondata sugli affetti",
nonché fra "autorità senza intimità" e "intimità
senza autorità"; la capacità di dare regole, ruolo che
tradizionalmente era attribuito al padre, si è detto non è
inconciliabile con l’affettività e l’intimità. Occorre
ricercare e costruire un’altra prospettiva quella di una "pacata
risolutezza" o di una "risolutezza senza violenza".
Gli studiosi
intervenuti hanno riconosciuto che le soggettività delle esperienze
legate alle nuove paternità devono essere messe al centro della
ricerca. Occorre quindi mettere a fuoco cosa avviene nei momenti di
crisi – nascita, separazioni, adolescenza – ed
anche avere un’attenzione speculare ai cambiamenti nei ruoli
materno e paterno e nelle relative responsabilità. In generale,
insomma, si rileva la necessità di più sistematiche ricerche
empiriche, condotte su campioni rappresentativi e con metodi
rigorosi.
Sia nelle
analisi degli studiosi che negli interventi degli attori sociali e
istituzionali è emerso comunque il permanere di una certa
ambivalenza nei padri di fronte alle nuove responsabilità
genitoriali. Per alcuni, il lavoro è una via di fuga da un
ruolo la cui gestione è molto complessa. In altri casi
abbiamo padri che si impegnano un po’ di più ma rimangono in un
ruolo secondario e accessorio rispetto alle madri. Viceversa, ci sono
padri che sono in congedo, o fanno da genitore primario. Vi sono i
padri "partecipi" che spesso si scontrano con datori di
lavoro poco rispettosi delle esigenze di un genitore, specie se uomo.
Il cambiamento del ruolo paterno – e specularmente di quello
materno – dunque, è in corso, ma resta incompiuta la
metabolizzazione o l’istituzionalizzazione di ciò che significa
essere un "buon padre".
Queste
incertezze sono lo specchio anche di una difficoltà più generale
delle famiglie oggi. I servizi e i centri che fanno counseling alle
coppie o agli uomini, hanno parlato di insicurezze e sensi di
impotenza dei genitori, di difficoltà a porre le regole. Hanno
sottolineato l’importanza dell’educazione dei futuri padri nelle
scuole, e dell’educazione emozionale anche per i genitori.
Importanti
sono le esperienze di condivisione fra padri, rappresentate
dai "circoli di
papà" presenti al
seminario, i quali hanno però rilevato la difficoltà di ottenere e
sostenere nel tempo la partecipazione dei padri. Per molti padri è
infatti difficile combinare lavoro fuori casa e lavoro di cura e
aggiungere pure l’impegno associativo e pubblico sulla paternità.
Al seminario c’è stato un utile scambio di idee fra gruppi
su come facilitare la partecipazione dei padri. È stato notato che
la disponibilità a farsi coinvolgere, ma anche la domanda di aiuto,
aumenta nei momenti di crisi – la nascita, il conflitto familiare o
la separazione – e
quando i figli sono adolescenti e propongono un confronto e anche un
conflitto per far spazio al loro futuro.
È abbastanza
diffusa nella pubblicistica l’idea di una presunta difficoltà
degli uomini a "mettersi in gioco" e ad esternare le loro
emozioni. I racconti dei partecipanti, soprattutto di chi è in
contatto diretto con i padri, vanno in senso opposto: i padri
desiderano uscire dall’invisibilità e condividere le loro emozioni
e le loro difficoltà, ma hanno bisogno di poterlo fare in
spazi sicuri, confrontandosi con altri padri. In presenza delle
madri, percepite spesso come più esperte e che tendono a volte a
dominare lo spazio genitoriale, i padri parlano con minore libertà.
I servizi per le famiglie hanno raccontato di padri mandati
controvoglia dalle madri agli incontri, di madri che si presentano
agli incontri per genitori senza i padri, ritenendoli non
interessati. E di padri che invece – con lo stupore delle loro
compagne – finiscono per coinvolgersi, anche in modo intenso. È il
caso per esempio delle esperienze di quegli asili nido che hanno
organizzato incontri per soli papà, molto apprezzati e frequentati.
Si è convenuto in effetti che l’asilo nido costituisce un
eccellente osservatorio dei cambiamenti nelle famiglie. Un altro
luogo in cui occorre cercare di intercettare i padri sono i corsi di
preparazione alla nascita.
Insomma, i
padri si "mettono in gioco" e si impegnano quando lo
possono fare in tempi e luoghi appropriati. È importante che questo
sforzo di costruire nuove paternità sia accompagnato socialmente e
politicamente poiché, come è stato notato, la paternità è a tutti
gli effetti una conquista sociale e di civiltà e non un dato di
fatto che può a un certo punto essere dato per scontato.
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